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Neve dalla montagna, pesci dentro il lago,
orgoglioso il falco, un condottiero ha i capelli intrecciati,
nessuno ottiene ciò che cerca
In una guida geologica della Scozia trovo una foto di Holyrood Park ricoperto di neve, The Scenary of Scotland, The Structure Beneath. E’ facile riconoscere la sagoma di Arthur’s Seat, lo ‘Scranno di Arturo’, la parte sud-ovest del parco al centro della vecchia Edimburgo.
Un cono vulcanico di basalto rosso ed erba che sovrasta i tetti della città come dorso di uno strano animale parzialmente emerso.
Uno scienziato scozzese del XVIII secolo, J. Hutton, scrisse un testo fondamentale per la moderna geologia, Theory of Earth, osservando le rocce e le colate di questo vulcano. E’ un testo che fa scienza usando immagini talvolta leggibili come frammenti poetici. Scriveva, come riportando un racconto passato di bocca in bocca, di processi geologici che operano su una scala di tempo vastissima, in cicli di trasformazione senza fine. Cambiamenti di cui le rocce e le pietre che calpestiamo, affermò tra i primi, sono unici testimoni.
Arthur’s Seat: quando ci stai sopra e sali dai sentieri segnati dai tanti passi, provi la sensazione di essere di fronte a un pachiderma ammansito, che si lascia accarezzare il dorso. Un antenato delle grandi balene, un Ambulocetus di 49 milioni di anni fa, forse, quando i frammenti di osso verso la fine del dorso erano ancora zampe.
Arrampicandoti trovi fitti ginestroni spinosi, in primavera di un verde intenso, macchie di giallo che rilasciano un profumo penetrante di cocco o vaniglia.
Quello stesso odore che ha tracciato per me, in questi ultimi anni, il profilo di un’unica linea di costa: iniziata dalle terre rosse e brune della Scozia, è scesa attraverso qualche aber gallese e tra il granito e i resti di cemento/ferro arrugginito dei bunker tedeschi di Bretagna, si è conclusa, almeno per ora, tra le vertebre minute della ‘coda’ dei Pirenei, nell’Euskadi atlantico.
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