FRUIT SOUP - Art Basel Miami

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Indice :

1 FRUIT SOUP - una rubrica newyorkese

2 FRUIT SOUP - Residency Events

3 FRUIT SOUP - Il Metropolitan

4 FRUIT SOUP - Dia Foundation

5 FRUIT SOUP - Art Basel Miami

6 FRUIT SOUP - American Culture




Anish Kapoor - ART BASEL Miami Beach



Sarah Lucas - ART BASEL Miami Beach



dal finestrino del bus



ingresso fiera PULSE



interno fiera UNTITLED



lounge TOILET PAPER fiera UNTITLED



TOILET PAPER

“Welcome to Miami/Bienvenido a Miami”.

♪Willy Smith


Immersi e risucchiati dal ritmo serrato delle visite alle fiere, partecipazioni ad eventi e party che Miami ci ha offerto, rieccoci qui sul sedile dell’aereo per New York a batter le dita sulla tastiera, scrivendo in poche battute tutto ciò che è avvenuto.

Arriviamo a Miami. Ci si aspetta la spiaggia, la luce, il caldo soffocante del sole.
E invece il ritardo del nostro volo ci fa atterrare con il buio e la pioggia sembra cadere come mai prima d’ora, scandendo un ritmo ben diverso dalla sfrecciante sigla del noto telefilm “Miami Vice” che ha accompagnato la nostra infanzia durante gli anni Ottanta.

L’indomani, dopo un assaggio della cucina cubana, ci dirigiamo verso la meta principale: allestita presso il Centro Conferenze di South Beach, Art Basel è la protagonista, astro attorno al quale il mercato dell’arte mondiale gravita.
Art Basel è una fiera come tutte le altre, ma per noi in Florida è la prima volta e una certa sensazione di felicità ci fa sorridere; gli stand si susseguono ordinati, i nomi delle gallerie sono i soliti e le facce che s’incrociano non sono proprio sconosciute.

Una fiera è sempre una fiera, per l’appunto, che sia in America o al Polo Nord, ma qui i soldi ci sono e si vedono.
L’unica vera differenza, infatti, di cui subito ci rendiamo conto è che in quel di Miami c’è un gran movimento di collezionisti, la maggior parte di origine sud americana, messicani in prima fila, che chiedono, si informano, conoscono tutto e tutti e, spesso accompagnati da dealer consiglieri, acquistano dei nuovi pezzi così che le didascalie delle opere siano puntinate di piccoli cerchi rossi “venduto”, parcheggiati l’uno a fianco all’altro come le auto di lusso fuori dagli hotel.

Passeggiando nei corridoi incrociamo i vari Hirst, farfalle o colombe che siano, Kapoor, con i grandi marmi rosa, Dan Flavin, Tony Cragg, Paola Pivi, Sarah Lucas, Ed Rushca, Alex Katz e tanti altri, ovviamente i nomi che comunemente l’occhio incontra.
Piantina del piano alla mano individuiamo le gallerie italiane per scambiare magari qualche parola (in inglese of course) e quelle newyorkesi con cui in questi due mesi abbiamo interagito, anche se giustamente tutta l’attenzione è rivolta ai pesci grossi per cercare di concludere l’affare.
Tra uno stand e l’altro incrociamo Eva e Adele, una coppia di performer che da molti anni invadono i luoghi dell’Arte col capo rasato e graziosamente ricopertiti da fiorellini e trucco simil-alieno.

E intanto l’aria condizionata continua a battere sulla testa, mentre fuori l’umidita è al novantasei per cento, fa caldo e le palme si piegano al vento forte proveniente dall’oceano.
Poco da dire, se non che l’ambiente appare molto “established” e in qualche momento ci si sente estranei, quasi spettatori di un mondo chiuso e inaccessibile anche se tutti parlano con tutti senza fermarsi alle apparenze o guardare la tua business card.

E proprio mentre sembra brillare l’oro zecchino, in una quasi noia elettorale, non manca l’equivoco tra realtà e rappresentazione che l’arte contemporanea spesso riserva e che in questa occasione assume toni drammatici, ben lontani da una porta dipinta per errore.
Due donne del pubblico, infatti, sono state protagoniste di una lite di natura personale, sfociata in tragedia quando una ha accoltellato l’altra ferendola a sangue.
Incredibile l’indifferenza pacifica del pubblico che pensava fosse una performance!
Ci viene in mente la moglie di Alberto Sordi in visita alla Biennale nel film “Vacanze Intelligenti”, che presa dalla spossatezza estiva si adagia su di una sedia all’ombra di una pianta e viene scambiata per una scultura.

L’osservazione economico-monetaria ci accompagna anche fuori dalle fiere, dove il frequente rombo del motore di una Lamborghini che passa, piuttosto che di una Ferrari, una Mustang, o una Bentley è davvero ordinaria amministrazione…non crediamo di aver mai visto così tante Rolls Royce tutte in una volta sola.
Carino notare anche le moto che sfrecciano su Ocean Drive con i proprietari rigorosamente senza casco.
Lusso, lusso, lusso! Locali, discoteche, cocktails giganti. Sigari enormi da accompagnarsi al rhum. Cuba è vicina. Divertimento e notti insonni. Eppure la tristezza degli homeless si incrocia anche qui, purtroppo, anche se la loro pelle è abbronzata e i loro vestiti puzzano di mare.

Il traffico è allucinante e spesso ha le meglio sugli appuntamenti fissati, dunque per caso, perdendo l’incontro con una curatrice, ci imbattiamo in un amico, un artista di origini giapponesi ma che da anni è fisso a Los Angeles e che questa estate trovandosi a Milano era stato con noi all’inaugurazione di Progetto Città Ideale presso la Fabbrica del Vapore.
Buon incontro, dato che partecipa a MAIMI PROJECT, altra fiera allestita in un hotel, come è abitudine qui, con un paio di opere interessanti che riflettono sull’idea di ritmo e ripetitività.
Automaticamente abbiamo ottenuto i pass per accedere ad altri appuntamenti fieristici come AQUA, PULSE, UNTITLED, MIAMI CONTEXT, ART MIAMI, MIAMI PROJECT/ART ON PAPER, SCOPE, NADA, tutti luoghi “satellite”, ma per questo non meno importanti.
Gli incontri fortuiti ci hanno permesso di poterne vedere un buon numero senza dover chiedere un mutuo in banca per i biglietti d’ingresso, contando che ciascun ticket varia da 25 a 50 dollari e non sempre ne vale la pena, spesso la delusione di non aver visto nulla di interessante ci ha fatto sentire la fatica di dover correre da una zona altra dell’isola per visitare la maggior parte degli eventi.

Stella fra le seconde, sicuramente UNTITLED, che si svolge sull’oceano in una grande tensostruttura. Moquette a terra e cartongessi ben suddivisi calano lo spettatore in un ambiente confortevole per la fruizione delle opere. Le gallerie partecipanti appartengono ad un livello medio-alto e tutto appare ben orchestrato. Che ti piaccia o no un lavoro, sei comunque immerso in un susseguirsi di vere e proprie “mostre” ben allestite, quasi fossero delle collettive in serie, che offrono uno spirito di ricerca acuto e uno sguardo davvero contemporaneo di quello che il panorama può offrire.
L’intera lounge è riservata alla celebre rivista TOILET PAPER di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari che con le sue ammiccanti immagini colorate e stampate su grandi tappeti, invade le pareti dello stand.

Quindi, se la nostra preferenza ricade sulla ricercatezza di UNTITLED, possiamo anche suggerire che AQUA è probabilmente la più debole a tal proposito.
Svoltasi anch’essa nell’arco di 4/5 giorni, alloggia in un piccolo ma caratteristico e omonimo Hotel/Motel di South Beach. L’edificio a pianta rettangolare, si distribuisce su due piani e le camere completamente svuotate dei loro suppellettili sono allestite a modi Bazar e mostrano opere spesso di bassa qualità.

Arriva la domenica, ultimo giorno della grande manifestazione e durante la sera, ancora una volta, la fortuna ci assiste.
Riusciamo ad ottenere il braccialetto per l’ingresso alla festa finale, ritrovo di “quelli che contano”, dove servono ostriche e fiumi di champagne, in un continuo corteggiamento fra i vari protagonisti di questa fantomatica ARTE CONTEMPORANEA. A seguire discoteca, il mitico The Wall.

Lunedì colazione con il Moment e giornata “lost in translation”.
Martedì visita al museo presso la Wolfsonian International University, con la sua collazione Art Decò, aspettando il taxi per l’aeroporto.

In definitiva:
#l’auto più gettonata a Miami Beach è una Mustang, se sei povero#
#Art Basel e l’unica fiera visitabile. Le altre sono inutili, per il mercato, anche se Untitled è di ricerca#
#uno si aspetta chissacchè e poi sembra di stare a Cesenatico#















FRUIT SOUP - una rubrica newyorkese