FRUIT SOUP - una rubrica newyorkese

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Indice :

1 FRUIT SOUP - una rubrica newyorkese

2 FRUIT SOUP - Residency Events

3 FRUIT SOUP - Il Metropolitan

4 FRUIT SOUP - Dia Foundation

5 FRUIT SOUP - Art Basel Miami

6 FRUIT SOUP - American Culture




noi, Wall Strett, NYC



Jeff Koons: Gazing Ball Paintings, Gagosian Gallery, New York



Chelsea Gallery Map - App



Manhattan Sky

6463,75 sono i km che dividono Milano, città italiana della moda, della cotoletta e luogo in cui viviamo e lavoriamo come artisti, e New York, metropoli per eccellenza e capitale mondiale dell’arte contemporanea, in cui dalla fine di settembre stiamo soggiornando per il tempo previsto dal visto turistico, i classici tre mesi.

Siamo Monica Mazzone e Mattia Barbieri, inviati speciali, e anche se per un breve periodo, vi accompagneremo con questo diario-rubrica dalla "Big Apple" con l'intento di raccontare le vicende artistiche quotidiane che ci circondano, fatti e curiosità, ma anche sensazioni personali, gioie e delusioni che il sistema dell'arte riserva.

Poche parole per descrivere Manhattan, cumulo di cemento che respira, crogiolo di razze, mondi, incroci e modi di vivere.
Alloggiamo in un appartamento dalle dimensioni ridotte, ma in fondo non così tanto per gli standard del luogo, dove riusciamo anche a disegnare e realizzare piccole sculture, in un quartiere “latino”, per così dire, dove al supermercato i commessi parlano solo spagnolo con l’alternativa del portoghese.
Inutili sarebbero degli approfondimenti sulla Grande Mela: infatti, come spesso accade quando ci si trova lontani dalla propria “casa”, più che tentare di analizzare il contenuto in cui ti trovi, è necessario viverlo!
NYC brilla nel cielo delle città americane, come la stella polare indica la direzione da prendere…quella del fare…
Tutto e tutti sembrano proiettati verso una coscienza dell’azione, una sorta di pozzo senza fine in cui chiunque abbia la capacità e la forza di cogliere l’acqua, può cercare il proprio approvvigionamento.
Detto in modo spiccio, New York è una vera risorsa, un fertilissimo territorio in cui chiunque può avere voce in capitolo, creare business e scrivere pezzi di Storia, perché questa realtà, così giovane, mette nella condizione di produrre una quantità di cose nuove in modo disinibito, perché è come se non contasse ciò che sei stato, ma solo ciò che potrai diventare (come recita il film Iron Lady, il racconto della vita dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher).

Chiamata “Nuova Amsterdam”, perché fondata dagli Olandesi, accende immediatamente il nesso nominale con Venezia, altro grande polo nel Mondo e gioiello sull’acqua, centro biennale del panorama artistico internazionale.
È ovvio: Amsterdam è anche detta “la Venezia del Nord” per via dei suoi canali che ne attraversano il centro, dunque “Nuova Amsterdam”, quindi NEW YORK.
In un attimo si passa dalla città teatrale per eccellenza, a quella cinematografica per antonomasia, come ad indicare i capisaldi di Vecchio e Nuovo Mondo.

Come si diceva, New York è ancora oggi il fulcro dell’arte globale.
A Manhattan, letteralmente isola collinosa, l’arte è ovunque: grandi musei, centinaia di gallerie, spazi espositivi, rassegne di ogni tipo invadono il derma metropolitano e divengono punti di aggregazione e ritrovo, non solo contenitori espositivi, dove gli stessi newyorkesi si danno spesso appuntamento per un caffè o un bicchiere di vino.
Nonostante la mappa dell’arte continui a mutare mese dopo mese, dalla metà degli anni Novanta il quartiere di Chelsea rimane il luogo indiscusso delle gallerie ed è tutt’oggi tornato all’attenzione per alcuni progetti speciali nel Meatpacking District, tra cui la seconda sede del Whitney Museum disegnata da Renzo Piano e il restyling della vicina High Line, una splendida passeggiata sopraelevata realizzata su una sezione in disuso della vecchia ferrovia invasa da natura ben curata e da installazioni temporanee di artisti famosi come ad esempio Olafur Eliasson e Kris Martin.
Curioso pensare che il centro del mercato mondiale dell’arte, Chelsea per l’appunto, fino a qualche anno fa era solo una zona in cui venivano smistati quintali e quintali di carne provenienti dal porto della costa est.
Nelle strade pendenti, alcune ancora in ciottolato, scomoda pavimentazione della città vecchia, dove scorreva il rosso del sangue delle bestie al macello, ora sgorga rumoroso il verde del dollaro che domina il jet set.
Un amico, appassionato di spionaggio e di 007, ci ha svelato che in un magazzino di una di quelle strade, era segretamente nascosto l’ordigno atomico, Little Boy…..Forse….
Ma non solo quella zona pullula di gallerie, anche nel LES (lower est side) a in molti quartieri di Brooklyn c’è un susseguirsi di opening che giornalmente ci tengono impegnati e ci fanno rimbalzare da una parte all’altra della città come fossimo in un flipper impazzito.
Ogni giorno un appuntamento diverso, con persone diverse, in luoghi diversi….

Le aspettative sono grandi, l’impegno ancor di più, e così ci troviamo a contattare artisti internazionali, curatori e galleristi per mostrare il portfolio, parlare del lavoro e ricevere consigli che non sempre ti lasciano il sorriso sulle labbra.
Qua si può fare, come ricorda un famoso slogan politico, ma è dura, durissima, la concorrenza è spietata e il numero di artisti che tentano di proporre il proprio “mestiere” è sicuramente più elevato di quello che puoi immaginare.
Alcune sere la delusione di aver visto delle mostre banali passate come operazioni culturali necessarie, invece che sinceramente descritte come investimenti commerciali, nelle gallerie più importanti e conosciute del mondo, in cui lavorano gli “impiegati dell’arte” che trascorrono il week end con la classica gita fuori porta, ti lascia l’amaro in bocca; altre notti le passi parlando con “colleghi” che fra una birra e delle patatine ti mostrano gli ultimi lavori che stanno portando a termine in una residenza nel New Jersey, sabato e domenica compresi, perché come ci ha detto un artista (italiano) non si può andare in vacanza da se stessi.
Nel bene o nel male si riceve comunque un continuo stimolo che ti accende il cervello, l’anima o semplicemente un entusiasmo infantile.

Parliamo, ad esempio, della mostra di Jeff Koons che ha inaugurato l’altra sera in una delle sedi di Gagosian, in cui il celebre artista ha proposto trentacinque stampe (we! ma stampe all’olio però ;) di famosissimi dipinti della storia dell’Arte -dunque europei- Rembrandt, Tiziano, Van Gogh, Rubens, Picasso etc, ridimensionati e portati ad un formato comune, nel cui centro, circa, ha posizionato una sfera specchiante blu, immediatamente riconducibile ai suoi giganti palloncini di metallo.
E in opposizione Still House Group, un’organizzazione emergente gestita da un gruppo di giovani artisti che, spintisi fino al confine con l’oceano, nel blocco di Red Hook, a Brooklyn, hanno creato una zona di collaborazione in cui i membri si rappresentano gli uni con gli altri, lavorano in una sorta di co-working space suddiviso, però, in spazi individuali, il tutto accompagnato da una galleria vera e propria che ha appena inaugurato la prima mostra personale del giovane artista Jhon Garcia, appena venticinquenne, dal titolo ECHO IS AN ECHO IS AN ECHO. Interessante!

Proprio stasera, invece, siamo appena tornati da un Fall Cocktail Art Party, una sorta di festa privata di un artista conosciuto che riceve i propri ospiti nel salotto di casa con l’intenzione di creare nuove connessioni.
In fondo il luogo migliore per discutere di un possibile progetto è un ambiente informale, rilassato, in cui è anche possibile scherzare dimenticando la preoccupazione per i fatti del mondo e i soldi dell’affitto.







FRUIT SOUP - una rubrica newyorkese a cura di Monica Mazzone e Mattia Barbieri