Gate 1 : Necessità di relazione


Trento, 6/7 dicembre 2001
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Stefania Galegati


Stefania Galegati

di Barbara Casavecchia (in Flash Art Italia n. 222, 2000)

Un movimento, ovvero lo sforzo di intraprendere un movimento": Peter Handke individua in questa tensione il nucleo della propria sceneggiatura per Falso Movimento di Wim Wenders (1974), racconto di un viaggio che diventa occasione di mutamento, come nella più classica delle fiabe.
Il titolo allude anche all'inganno prodotto sull'occhio dal rapido scorrere dei 24 fotogrammi immobili della pellicola cinematografica. Se si torna a isolarli in singole unità, l'impressione è quella di riuscire a introdurre piccole pause nel flusso, producendo una (finta) sospensione del tempo.

Il lavoro di Stefania Galegati interviene su questa impercettibile vibrazione dell'immagine, sul punto di diventare altro, nel momento di massima tensione.
La coglie ai livelli dell'infinitamente piccolo, nel progetto in corso per una scultura radioattiva, le cui molecole si agitano mentre il loro insieme attraversa faticosamente confini, con un imprevedibile seguito di lungaggini doganali e ostacoli burocratici.
O per contrappunto ironico, nell'eccessivamente grande della Zona (1999), una piattaforma a rotelle cresciuta fino ad occupare per intero una stanza, diventando di fatto un veicolo inutile, o nell'improbabilmente statico di Shy Hamburger (1999), un video che documenta una settimana di pranzi e cene i cui commensali vengono congelati a comando in una posa rigida, come belle statuine, mentre la videocamera ruota loro attorno, cogliendo cedimenti e battiti di ciglia.

È ovvio che ogni riproduzione tecnica è comunque troppo lenta, ingannevole: può farci vedere - come in una serie di lavori precedenti - bottiglie sospese in aria, un turbine di cartacce, un'artista levitante, una sedia o una finestra finite chissà come sotto una lente grandangolare, ma sono sempre trucchi da quattro soldi, messe in scena deliberatamente naïf. Del resto, la scelta di affidarsi spesso alla fotografia è motivata dal fatto che "non permette la verifica", come spiega l'artista.

C'è una vena di ironica sfiducia nella sua ricerca, che si traduce in presa di distanza nei confronti dell'immagine e di quell'ossessiva accumulazione di immagini che è la memoria.
Ogni ricordo è minato da un cronico principio di incertezza, perché "quando qualcuno racconta una storia antica non c'è da fidarsi", scrive ancora Galegati.
Non c'è quindi ragione di credere ai "C'era un volta" dell'infanzia, neppure a quelli della nonna, nella cui stanza si insinua la presenza inquietante di un nano (Senza Titolo, 2000) scavando la propria sagoma nello spessore del comò in noce, né tantomeno a quelli della letteratura: nel suo ultimo video, Dove si racconta di profondi sospiri e lunghi pensieri, i cavalieri che si affrontano in campo aperto in singolar tenzone sono diventati due gialli caterpillar stantuffanti e asmatici, residuo di un'epoca tecnologica in via di estinzione.
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