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Juliet Anno Numero 86 feb-mar 98



COLLOQUIO CON WOLFGANG WELSCH

A cura di Maurizio Bortolotti



Art magazine
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Lo svilupparsi della dimensione tecnologico-scientifica è stato uno dei processi più influenti avvenuti in questo secolo che abbia riguardato la nostra vita e interessato profondamente anche la sfera culturale. Così, soprattutto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, all'interno della cultura occidentale il modello scientifico si è direttamente o indirettamente imposto ovunque nella dimensione tradizionalmente considerata "umanistica". Tuttavia, negli ultimi decenni il dibattito filosofico ha individuato la dimensione artistica come alternativa al pensiero scientifico. L'arte ha infatti caratteristiche proprie che il modello scientifico di sapere, adottato anche dagli storici dell'arte, ci impedisce di vedere e che invece i filosofi cercano di sondare in tutta la sua incompletezza e indefinibilità. La prospettiva elaborata da Welsch nel corso della conversazione tiene continuamente conto della complessità della realtà contemporanea e si situa all'interno di una posizione che lui stessa definisce "relativista", a partire dalla quale l'unica possibilità che egli intravede è un percorso sviluppantesi all'interno di ciascuna singola individualità. In tutto questo l'arte, con la sua dimensione di non-conosciuto che va al di là delle categorie usuali, costituisce un importante punto di riferimento. L'argomento proposto consisteva perciò nello sviluppare una doppia linea di discorso, comprendente da un lato l'importanza dell'opera d'arte per il pensiero filosofico contemporaneo e dall'altro il rapporto tra l'arte e la verità. Il discorso di Welsch si articola riconoscendo l'importanza della singola opera d'arte e l'impossibilità di definire la verità dell'opera in un senso filosofico convenzionale, ma tuttavia questo fatto ne costituisce anche la forza. Poiché l'arte rivela la capacità di coinvolgere l'intera dimensione esistenziale di noi tutti come singoli individui e dunque offre la possibilità di rispecchiare in ognuno singole e frammentarie verità, le quali non hanno più la grandiosità delle Utopie o dei "grandi racconti" filosofici sul senso complessivo del mondo. Ma in tale situazione l'arte si relaziona al mondo offrendo a ciascuno la possibilità di sperimentare una verità irrappresentabile in termini razionali, ma resa accessibile in quelli esistenziali.
Wolfgang Welsch insegna all'Università di Magdeburg ed è stato il più convincente e acuto sostenitore del post-moderno in Germania. È autore e curatore di alcuni volumi, tra cui il recente: Aktualität des Aesthetischen, München, Fink Verlag, 1993; di suo in italiano è stato tradotto il saggio intitolato: "La terra e l'opera d'arte", pubblicato nel 1991 dalla casa editrice Gallio di Ferrara.

-Bisogna dire, innanzitutto, che per la filosofia e l'estetica tradizionali la singola opera d'arte non era veramente importante. I grandi estetologi del Settecento e dell'Ottocento hanno sviluppato soprattutto i loro concetti universali sull'arte, i quali avrebbero poi dovuto adattarsi a ogni singola opera. Penso che questo sia stato un errore e una cosa negativa dell'estetica tradizionale. Nell'introduzione alla sua famosa "Estetica", Schelling dichiara di essere orgoglioso di conoscere personalmente solo qualche opera d'arte, non più di cinque o sette. Ma questo gli era sufficiente per sviluppare il suo pensiero sull'arte. Credo che oggi l'opera d'arte ci abbia finalmente convinto che una dimensione come quella fosse sbagliata. Si è avuto infatti un cambiamento nel XX secolo, dovuto a personalità come Adorno, e la singola opera d'arte è divenuta molto importante. In particolare, per quei pensatori che sono stati definiti "postmoderni"; come Jacques Derrida e Jean-François Lyotard in Francia o Gianni Vattimo in Italia. Lyotard una volta ha detto che "la filosofia entra nel teatro dell'arte e ha a che fare con essa in questo momento attuale poiché il venire alla percezione dell'arte aiuta la filosofia nel suo percorso, laddove i critici falliscono". Così, l'interesse della filosofia per l'arte consiste nel fatto che vi è in essa qualcosa che non si è ancora potuto capire e che si situa oltre i limiti della nostra comprensione, al di là delle categorie usuali. Questo è un aspetto importante dell'arte che riguarda direttamente il filosofo. In quanto, provare a capire ciò che sembra essere comprensibile è l'approccio più tradizionale all'arte; per esempio, quello dell'Ermeneutica di Hans Georg Gadamer. Mentre nella linea di pensiero post-moderna è diverso. Essa sostiene di lasciare perdere questo punto della capacità di comprensione e mostrare invece l'arte venire alla comprensione, cioè il modo in cui essa rompe la comprensione introducendo sempre qualcosa di mancante. Perciò, l'approccio post-moderno non consisterà tanto nel tradurre il significato dell'opera d'arte, ma nell'insistere sulla proprietà intraducibile di questa; in altri termini, sul suo essere proprio. E questo punto a me sembra molto interessante.
Ciò riguarda anche la mia esperienza personale. Infatti, l'arte è stata per me una guida per costruire la mia filosofia fin dagli anni in cui ero studente a Monaco. Ricordo che dopo le lezioni all'università andavo spesso nelle gallerie d'arte o nei cinema, dove si potevano vedere molti film di Jean-Luc Godard, che credo di non avere mai capito del tutto ma naturalmente non era questo il problema. Infatti, a quel tempo l'arte era in grado di rispecchiare il mio sentire orientato verso la realtà contemporanea molto più della filosofia, che era ancora all'antica e non si occupava di problemi contemporanei. In questo senso, l'arte è stata per me di grande aiuto. Perciò, se alla fine degli anni Ottanta ho acquistato una certa notorietà per essermi occupato del pensiero post-moderno in Germania, devo ammettere, in verità, che la mia linea di pensiero era un miscuglio delle esperienze dell'arte che avevo avuto alla metà degli anni Sessanta. Esse potevano riguardare l'opera di Joseph Beuys o quella di John Cage o di Godard. Nel mio libro, uscito anche in traduzione italiana, "La terra e l'opera d'arte" vi è per esempio un'allusione al lavoro di Yves Klein, ai suoi "pezzi blu" in particolare, poiché amo questo tipo di assolutismo e la realizzazione perfetta e potente di un solo colore. È questo assolutismo di una potenza che si trova spesso nell'arte moderna e per me costituisce un fatto importante. Infatti, a differenza della filosofia e dei filosofi che spesso cercano di conoscere ogni cosa occupandosi di tutto, gli artisti partono da un particolare per svilupparlo successivamente, trasformando la loro opera in un mondo. Così, possono iniziare da un dettaglio per arrivare a una grande rivelazione, o scoperta.
Parlando più in generale, credo che attualmente non stiamo vivendo nel migliore dei mondi né nel migliore dei tempi. Per molti di noi l'impegno sociale è caduto dopo il Sessantotto e la gente oggi è come posta all'interno di un processo di individualizzazione, come viene descritto dai sociologi, nel quale tutto ciò che si può fare è trovare il migliore modo possibile di vivere. Così, all'interno delle modeste capacità di ogni singolo si può solo cercare di sviluppare quelle capacità al meglio. Credo che uno spostamento del genere sia avvenuto anche in arte. Non voglio dire con questo che l'arte sia stata sconfitta, ma che se la gente percepisce l'arte come un modello per la propria vita, la propria realizzazione personale o etica, credo che questo sia un punto veramente interessante dell'attualità; anche se un punto terribile. Anche questo ha determinato l'importanza dell'opera d'arte per l'estetica, la filosofia e per ciò che sta accadendo oggi.
Secondo il mio punto di vista, negli ultimi decenni o anni, l'arte ha un po' perso il suo senso di partecipazione al presente; mentre negli anni Sessanta era considerata come la cosa più importante per capire che cosa stava accadendo nel mondo e che cosa si sarebbe dovuto fare in futuro. Oggi, non sono convinto che questo sia ancora vero. Per alcune opere d'arte probabilmente lo è, ma nel complesso si respira un'atmosfera rilassata. Per questo motivo, per comprendere l'attualità ho guardato anche alle statistiche economiche, alla biologia o alla microbiologia genetica; mentre per me è difficile trovare ancora oggi nell'arte qualcosa di eccitante come provavo trent'anni fa. Non è solo una mia impressione, se per esempio Arthur Danto scrive della fine dell'arte nel nostro tempo. Filosoficamente non condivido la sua posizione, ma l'impressione generale è che l'arte oggi non si trovi nella sua condizione migliore. Forse, la debolezza dell'arte riflette una debolezza della cultura a livello più generale. Anche se è importante osservare le eccezioni, come ad esempio quelle rappresentate da artisti quali Bruce Nauman e Bill Viola, che personalmente amo molto. Infatti, nella attuale situazione sono particolarmente interessato a ciò che si pone ai confini tra forme tradizionali d'arte e forme elettroniche; in questo miscuglio. Non sono un sostenitore dell'arte elettronica come tale, mentre mi interessano molto le installazioni all'interno delle quali una persona può muoversi; in quanto esse cambiano lo schema delle relazioni normali che si osservano nel mondo. Infatti, trovo molto affascinante l'interazione nell'installazione in cui sono combinate insieme l'arte, come la pittura, il movimento, come la danza, e le installazioni elettroniche, come il cinema. Tale combinazione non consiste soltanto nel mettere insieme cose che esistevano già, lasciandole essere come sono, ma nel costruire nuove relazioni. Perciò, esse rappresentando un'esperienza mentale fuori dall'esperienza comune, in cui si creano connessioni inaspettate tra vedere e sentire. Questo è il punto interessante per la filosofia.
Ma allora, viene da chiedersi, qual è il punto di confine dell'opera d'arte? Essa non è solo il pezzo che abbiamo in mostra, ma anche la posizione dello spettatore mentre sperimenta quel tipo di percezione. Così, se si può dire che nelle opere d'arte dipinte tradizionali l'arte è finita, in queste installazioni essa non lo è. Infatti, l'opera d'arte si realizza compiutamente quando qualcuno la intercetta e percepisce, rispecchiando cose che appartengono ad un'esperienza di tipo mentale. Amo molto questa idea e mi chiedo che cosa farebbe oggi, per esempio, Leonardo se fosse ancora vivo. Certamente vi sono alcune possibili risposte, ma una potrebbe essere che egli non apparterrebbe forse alla scena artistica ma sarebbe magari un designer di software per Internet. Cioè, si occuperebbe di nuovi modi di comunicazione tra la persone. E in effetti, anche durante la sua vita, la pittura non è stata la sua principale occupazione. La questione si pone perciò nei seguenti termini: è più creativo inventare qualche nuovo modo di comunicazione tra le persone o realizzare meravigliosi dipinti o installazioni? Dove si pone oggi il punto della creatività? Anche questo discorso appartiene alla possibilità di definire e comprendere l'artista contemporaneo nella sua relazione con il pensiero filosofico.
Infatti, nel nostro tempo il pubblico resta bloccato a una sorta di definizione istituzionale dell'artista collocato nel mondo dell'arte, ma se puntiamo l'attenzione sulla creatività come capacità di costruire un senso, l'arte è allora fuori da ogni definizione classica e persino dallo stesso mondo dell'arte. Durante l'intero XX secolo si è cercato di espandere il concetto di arte e di viverlo. Basti pensare all'esempio di Marcel Duchamp. Quando nella sua celebre opera "La mariée mise à nu par ses célibataires, même: Le Grand verre", conosciuta semplicemente come "Il grande vetro", si fecero delle crepe egli, anziché arrabbiarsi, disse che questo era un fatto meraviglioso. Ed è stato una delle poche persone che all'inizio del secolo ha accettato un fatto contingente all'interno del proprio cammino creativo. Allo stesso modo, le incomprensioni sono utili in filosofia: molto spesso ciò che si può dire è sbagliato come lo può essere un'interpretazione. Così, anche lo scrittore Marcel Proust sostiene che ogni artista ha la propria idea su una poesia, un libro, un quadro, ma lo spettatore può recepire l'opera in modi diversi. Dunque, credo che l'importanza di un'opera d'arte per l'artista e per lo spettatore sia diversa. Questa è una cosa difficile da accettare per esempio da parte degli storici dell'arte; i quali pensano che esista invece una corretta interpretazione e tutto il resto sia sbagliato. Essi hanno bisogno di definizioni chiare secondo il modello fornito dalla scienza, ma ciò significa non comprendere l'essenza dell'arte.
Bisognerebbe a questo punto riflettere sull'affermazione di Hegel relativa alla "fine dell'arte", con la quale egli non intendeva tanto significare la fine della produzione artistica quanto che sostanzialmente l'arte non sarebbe stata forse più così importante in futuro. Qualcosa di più importante sarebbe invece diventata la scienza e, collegato a essa, il fatto che avrebbe influenzato il nostro approccio alle arti; un approccio che sarebbe avvenuto sempre più attraverso le scienze. Così, l'uomo moderno, l'uomo del futuro, non andrebbe più nei musei a vedere le opere degli artisti ricavandone un'esperienza diretta, ma nelle biblioteche a leggere libri su di essi per capire che cosa la scienza ha da dire sull'arte. Il mio sospetto è che veramente qualche storico dell'arte insegua questa idea.
Tuttavia, occuparsi di arte in questo modo mi sembra prossimo ad ucciderla. Perché se si costruisce l'opera nell'interpretazione questa potrebbe avere la prevalenza e giungere a possedere più artisticità dell'opera stessa; al punto che se l'interpretazione dovesse contraddire l'opera si finirebbe con l'accreditarla ugualmente. Perciò, Hegel aveva ragione su questo punto: l'arte corre il rischio di essere trascurata per tenere la scienza o la teoria dell'artista come verità su di essa. E questo significherebbe far svanire l'arte stessa.
Per tale ragione, ad esempio, nell'opera di Baudelaire non c'è alcuna cultura generale ma solo un discorso rivolto agli eletti; qualcuno che veda indirizzata la propria sessualità ne " Les fleurs du mal". Egli decide infatti chiaramente che questo libro è una lettura solo per persone che hanno avuto esperienze simili: cioè per un numero molto ridotto, per tutti gli altri resta un puro fatto di comprensione. Perciò, almeno a partire dal XIX secolo, direi che la grande arte appare sempre più come un'isola isolata e non vi è necessità che essa calzi uno schema comune. In questo senso, mi sembra che l'arte rompa gli schemi anziché adattarli e che l'artista sia dedito all'innovazione e all'apertura di quegli schemi. Per la stessa ragione Duchamp non è stato capito per lungo tempo, così come non lo sono stati i serialisti in musica o i dadaisti e gli espressionisti tedeschi nell'arte; all'inizio per loro esisteva solo il gruppo a cui appartenevano. La comprensione della maggioranza della persone è arrivata in seguito e l'arte di questi artisti è stata ammirata con cinquanta o cento anni dopo. La stessa cosa si può dire per Monet e Van Gogh.
Credo infatti che la condizione dell'isolamento appartenga alla struttura stessa dell'arte moderna, non solo per ragioni pratiche. Ma questo potrebbe essere dovuto al fatto che l'arte moderna si inventa un nuovo schema, rompe con le regole precedenti per inventarne di nuove. Tuttavia, oggi la situazione sembra presentarsi all'opposto: l'arte non è più forse così isolata e questo potrebbe andare a suo svantaggio.
A partire dagli anni Settanta istituzioni artistiche e mostre di arte contemporanea sono divenute sempre più popolari e molta gente viene appositamente in Germania per visitare la Documenta. Così, anche se molti critici hanno detto che la Documenta del 1992 non fu una buona esposizione, economicamente è stata una delle più riuscite con una notevole affluenza di pubblico. Perciò, l'arte è diventata popolare anche grazie alla sua filiazione economica e alla sponsorizzazione delle banche e dell'American Express. Infatti, tutti oggi vogliono vedere l'arte, guardarla e leggerne sulle riviste; in questo senso non si può più parlare di isolamento dell'arte contemporanea. E forse vi è un relazione fondamentale proprio tra il debole stato dell'arte e il grande interesse dimostrato dal pubblico per essa.
Così, una delle questioni cruciali che riguarda oggi l'arte è proprio quella del suo rapporto con la verità. Vorrei innanzitutto dire qualche parola sul problema della verità, che è una questione che appartiene tipicamente all'ambito della filosofia, ma di cui non è mai possibile dire con esattezza che cosa essa sia. Per tale motivo resta un problema. Oggi vi sono filosofi come Richard Rorty che sostengono che non è interessante la questione della verità e che dovremmo tralasciare questo problema. Personalmente, credo che l'unica verità di cui in filosofia si possa parlare sia quella sostenuta dal logico Alfred Tarski; secondo cui la verità in senso filosofico è una verità fatta di proposizioni, di asserzioni sugli oggetti. Tuttavia, questo è soltanto un tipo di verità, ma ne esistono anche altri, e non solo tipi diversi di comprensione; quali l'adaequatio, la "teoria del consenso", la "teoria della coerenza". Ma la verità di alcune frasi intorno al mondo è diversa, in quanto verità, da quando dici :"Egli è un vero amico" o "questo è un vero dio". Con la prima s'intende infatti l'essenza stessa del concetto di amicizia. È questo un senso ancora diverso di verità. Un altro significato di verità è quando dici: "Allora piove o no?" Questo significato è vero poiché corrisponde all'idea o all'essenza di qualche cosa? La questione è ancora aperta e irrisolta. Ci sono poi ancora altri tipi di verità, come quella relativa al vero essere e al vero mondo: questo mondo e l'esperienza che ne è stata fatta è giusta o la società in cui viviamo potrebbe essere migliore? Forse, infatti, questo non è il vero essere del mondo, la "vera" società.
Perciò, a differenza di molti filosofi che oggi si occupano quasi esclusivamente della verità delle proposizioni formulate sul mondo, io ho provato a pormi domande come quella se l'arte ha a che fare con un'altra dimensione della verità; la quale sembra essere stata dimenticata dalla filosofia.
Sull'argomento ho tenuto di recente a Torino una conferenza dal titolo: "Musica e verità", utilizzando la musica come esempio ma avrei potuto anche utilizzare la pittura o un'altra forma artistica, durante la quale ho discusso di questa particolare specie di verità. Il mio punto di vista è che: 1) L'arte non prova a produrre delle asserzioni vere sul mondo, quel tipo di proposizioni che vanno bene al filosofo, ma è una cosa diversa. Questo non vuol dire che l'arte non abbia a che fare con il mondo e neppure che debba presentarlo semplicemente com'é. La mia idea è che forse c'è ancora un po' di verità nel nostro modo di vedere l'arte o la società contemporanea. Ho la sensazione, infatti, che nei paesi industrializzati stiamo assistendo ad un logoramento della vita presente, nonostante vi sia un maggiore benessere. Viviamo insomma in una società dove la vita è tutto sommato molto piacevole ma non molto eccitante. Così, l'arte potrebbe costituire una differenza rispetto a tutto questo creando una rottura, un'interruzione, qualche cosa che noi non ci aspettiamo e di cui non abbiamo ancora il concetto, di veramente non-conosciuto. L'arte, cioè, rompe la crosta delle nostre convenzioni producendo verità. Ciò è possibile perché il nostro modo di comprendere il mondo, la società e noi stessi non è l'unico; vi è in esso qualche cosa di relativo e di insufficiente.
2) Un altro punto fondamentale è che quando ascolto la grande musica, come quella di Johann Sebastian Bach, Ludwig Beethoven, Wolfgang Mozart, John Cage, qualche volta Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono, ho la sensazione di percepire un mondo diverso dalla mia esperienza quotidiana nella quale tutto appare imperfetto. Mentre nel mondo costruito dalla musica ogni cosa mi appare perfetta e molto umana. E ognuno di questi mondi perfetti è diverso dall'altro. Perciò, la mia esperienza di spettatore è quella di guardare o percepire il migliore dei mondi e questo è il senso esistenziale della verità dell'arte.
Così, io penso che l'arte possa rappresentare una speranza e non, piuttosto, un'utopia. Per essere franchi, debbo dire che durante il '68 noi tutti abbiamo fatto una gloriosa rivoluzione nella quale avevamo molti sogni in merito alla costruzione di un mondo migliore; ma l'esito è stato, non solo in Germania ma così anche in Francia, Italia e Stati Uniti, una delusione. Forse, si può allora pensare che tutte quelle speranze di costruire una società migliore siano rifluite all'interno della dimensione dell'opera d'arte. Perciò, quando osservo questo, penso a cosa potrei fare io con il mio lavoro di insegnante in questa università, la quale rappresenta solamente un mondo ristretto. E poiché non posso cambiare l'intera società, posso però essere più amichevole con i miei amici e con gli studenti; poiché forse mi resta una "chance" nel migliorare questi rapporti. Così, all'interno di una tale situazione ciò che sto cercando non è un miglioramento che coinvolga l'intera società, ma il rapporto con un piccolo gruppo. Ed è dentro tale prospettiva che l'esperienza dell'arte, così come l'ho descritta, dà speranza e intuizioni per migliorarti. Cioè, un'opera d'arte ti chiama a fare uno sforzo per migliorare la vita e renderla più vera e umana. Questo è, dal mio punto di vista, il modo più importante attraverso cui l'arte si relaziona alla verità. Un tale tipo di appello oggi io lo trovo solo nell'arte e non già nella filosofia, nella politica o nella società. È questo che lega l'arte e la verità alla condizione di vita contemporanea.
In questo senso, si può affermare che la mia prospettiva è relativista e che io sono un relativista; poiché so che tale visione delle cose nasce dalla mia esperienza personale. E molte persone della mia generazione hanno avuto la medesima esperienza, anche se non tutti. Devo tuttavia precisare che quello che ho appena esposto non è altro che un suggerimento e una possibilità; non pretendo sia l'unica. Ve ne sono forse delle altre, anche se personalmente non le conosco. Ma se qualcuno oggi mi spiegasse un altro modo di mettere insieme arte e verità, sarei disposto a discuterne apertamente e magari a lasciarmi convincere. Credo tuttavia che noi non abbiamo più una prospettiva unica che possa valere per tutti, ma che ve ne siano diverse; ed è corretto, per questa ragione, pensare che persone diverse scelgano altrettante possibilità. Questa è la mia meta-prospettiva: la pluralità delle prospettive.
Il punto centrale resta comunque per me la relazione tra vita e opera d'arte. Come si è detto all'inizio, per i filosofi contemporanei è molto importante non eliminare la capacità di comprensione dell'arte; non eliminare cioè quella differenza che è propria dell'arte, la quale è stata concepita qualche volta come irrappresentabile. Perciò, sono convinto che l'arte sia molto vicina a rompere l'ombrello sociale sotto il quale viviamo e credo che essa dovrebbe rappresentare per noi tale importante differenza. Così, all'interno di tale connessione con la verità, la filosofia e l'arte stanno in una condizione di irrappresentabilità e non di conferma dell'ombrello sociale. Infatti, quando guardo ad esempio la serie degli "incidenti" di Andy Warhol, penso che l'arte da questo punto di vista non ha mai significato il suo essere puramente autonoma. Anche se lo fosse la sua autonomia avrebbe sempre un significato per la vita delle persone.
Perciò, l'art pour l'art di Baudelaire rappresenta sì l'estrema autonomia ma anche, dal punto di vista dell'artista, un modello etico di comportamento; uno "stile di vita" all'interno della società industrializzata. In questo senso l'arte è sempre l'opposto della società ed è nell'autonomia della sua forma che viene rappresentato l'umano come dovrebbe essere in questo mondo. Bisogna però fare attenzione a non stabilire tale connessione troppo direttamente, come ha fatto per esempio Beuys.
Così, alla domanda se è vero che l'arte prova a migliorare il mondo? Debbo rispondere che non è questa la mia prospettiva. Infatti, dal mio punto di vista, l'effetto dell'arte è indiretto e volto solo ad ampliare la dimensione della mente. Se si vuole invece stabilire una connessione troppo diretta tra il mondo e l'arte questa potrebbe avvicinarsi al kitsch.