Luca Trevisani
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Spesso nei tuoi lavori crei degli ambienti, ma anche delle atmosfere. Che rapporto c'è con lo spazio circostante?

Gli oggetti che costruisco, in effetti, spesso finiscono per diventare degli ambienti che dipendono molto dallo spazio in cui crescono, hanno a che fare con una sensibilità narrativa ma non sono mai la messa in scena di una storia. In questo caso la suggestione è quella di una caverna che collassa: nata in simbiosi con un gruppo di persone, è come se a ogni sua stalattite ne corrispondesse una, che se viene a mancare le toglie sostegno, facendola crollare. Questo è lo stato in cui si presenta. Per costruirla cercavo uno spazio arioso, con un soffitto alto, e mi piace vederlo qui, in uno spazio tutt'altro che domato.

Il bianco è il grande protagonista dei tuoi lavori. C'è un motivo particolare?

Non c'è un perchè. è come voler sapere perchè mi piace il gelato alla frutta. Forse il minimalismo degli anni Novanta mi ha rovinato... guardo molto alle strutture bianche di Absalon, ma anche al bianco, clinico e universale del modernismo. Mi piace usare il bianco con materiali a bassa definizione per ottenere oggetti dall'origine ambigua. I miei sono lavori spesso estesi ma sempre asciutti, che parlano a bassa voce. E' come la sensibilità del white cube: una metafora per rendere palese che siamo in una realtà filtrata, riflessiva, oltre una soglia dove si lavora per sintesi.

Intervista raccolta da Roberta Tenconi


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