Luigi Presicce
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La tua opera nasce in relazione con lo spazio nel quale viene esposta?

Presento lavori inediti, concepiti in serie, tanti fogli in formato A4. In questo c'è qualcosa di meccanico, da stamperia, sono opere che nascono in pochissimi minuti. Questo luogo mi sembrava l'occasione giusta per metterle insieme. Inoltre c'è una stimolante contrapposizione tra il bianco, il candore di questi paesaggi innevati e lo spazio dismesso nel quale sono installati.

Lavorare con la pittura comporta l'inevitabile confronto con tutta la sua storia e la sua attualità...

In realtà guardo poco la pittura, ancora meno la pittura figurativa. Mi piacciono gli astratti di Tillmans, trovo interessante il lavoro di destrutturazione che stanno facendo Peter Doig e Daniel Richter, non mi piace l'iperrealismo: è una pittura che si parla addosso. La mia spinta verso il realismo ha come riferimento Vermeer, ma è piuttosto un'idea del reale che mi interessa e non la rappresentazione fine a se stessa. Il mio lavoro consiste nella ricerca di qualcosa che è nascosto. Non mi interessa tanto il paesaggio in sè, quanto la capacità suggestiva che esso ha sullo spettatore, le visioni molteplici che suscita: può essere il luogo sereno di un pic-nic, come il teatro di un delitto.

Intervista raccolta da Francesco Pavesi


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