Natalie Bookchin
Marking Time

In Marking Time gli spettatori sono invitati a utilizzare un computer con il quale possono controllare le espressioni del viso di tre condannati a morte che compaiono sullo schermo.
Il computer risponde a ogni movimento dell’utente, innescando un continuo processo di feed back.
Cliccando il mouse, ad esempio, si attiva uno studio sul movimento dei prigionieri, trasformati in una serie di disegni animati. Poco più in là una proiezione video mostra il verbale steso da una guardia carceraria, nel quale vengono elencati tutti i movimenti del condannato a morte, raccolti negli ultimi tre giorni che precedono la sua esecuzione.
Interagendo con i volti riprodotti sullo schermo, lo spettatore prende il posto della guardia carceraria e impone il proprio controllo visivo sui tre prigionieri, ma allo stesso tempo lo spettatore si vede trasformato in vittima, in prigioniero, e ogni suo movimento viene monitorato dal computer.
Attraverso l’interazione digitale, lo spettatore si trova a recitare due ruoli in apparente contrasto, lavorando su entrambi i piani narrativi messi in scena dalla proiezione video.
La natura fisica dell’installazione crea un dialogo tra due diversi tipi di spettatori, attivando un contrasto tra la dimensione pubblica della videoproiezione e la fruizione privata e raccolta imposta dall’utilizzo del computer e di un piccolo monitor. Nella video proiezione lo spettatore si trova all’esterno dell’opera, costretto a osservare dall’esterno un regime di controllo pressoché assoluto che costringe la vita e la morte dei prigionieri in ritmi e spazi spietati.
Di fronte al monitor invece, lo spettatore si ritrova faccia a faccia con la narrazione: lo spettatore si trasforma in un’interfaccia che controlla un prigioniero che è già stato giustiziato. Lo spettatore si ritrova così direttamente implicato nella narrazione e non può più interpretare un ruolo passivo.