Sislej Xhafa

Intervista a Sislej Xhafa
Guido Molinari: In alcuni casi hai eseguito o messo in scena delle azioni illegali. L’intervento illecito nasce per porre al centro dell’attenzione un’identità che altrimenti verrebbe ignorata?

Sislej Xhafa: Bisogna innanzitutto capire il significato della giustizia e domandarsi che cosa provoca quel tipo di illegalità che nasce come imposizione dall’alto, senza che esista una corrispondenza nella vita quotidiana, senza che ci sia un rispecchiamento nelle esigenze degli individui. Io a volte intervengo su questo problema attraverso performances illegali che trasmettono la mia individualità nel fare arte e stimolano la comunicazione.
Ad esempio alla XLVII Biennale di Venezia mi sono introdotto abusivamente all’interno dei giardini durante l’inaugurazione.
Avevo la maglia della nazionale di calcio albanese dipinta sul corpo e uno zaino da dove si poteva ascoltare la radiocronaca di una partita di calcio.
Così "vestito" coinvolgevo il pubblico a giocare a pallone.
Mostravo una richiesta di fair play. In quel momento impersonavo il padiglione albanese mobile, un padiglione abusivo che cammina e che gioca, alla ricerca di un’identità nazionale.
Una sana ricerca d’identità che in questo momento non riguarda solo gli albanesi ma anche molte altre nazioni dell’Africa, dell’Asia o dell’Est europeo. I moti migratori sono legati a questo problema e sicuramente saranno al centro dell’attenzione anche nel nuovo secolo.
Ma io credo che si troverà un bilanciamento e una stabilità, purché i paesi dell’Ovest non guardino con ignoranza e indifferenza questo fenomeno ed agiscano con lealtà.

G.M.: Nelle tue opere a volte crei dei paradossi che provocano impatti emotivi molto intensi. Cerchi un effetto shock?

S.X.: Posso risponderti con un esempio: l’intervento realizzato per Over the Edges in Belgio.
A Gand, la cittadina dove si svolgeva la mostra, nella sala d’attesa della centrale di polizia aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, ho trasformato l’ingresso in un posto lussuoso un ambiente arredato per accogliere l’alta borghesia.
C’erano tappeti, specchi antichi, musica in sottofondo e champagne.
Anche in questo caso non volevo assolutamente mancare di rispetto alle istituzioni, piuttosto confrontarmi con uno spazio difficilissimo e quasi fragile. La stazione di polizia diventava la mia casa, pronta ad accogliere qualsiasi cittadino, qualsiasi individuo, compresi i delinquenti e criminali. Come vedi sono una persona ottimista ...

Guido Molinari, in Talent/um tolerare, catalogo, Premio Querini-Furla per l’arte, Fondazione Querini Stampalia, Venezia.
Milano, Charta, 2000