José Alejandro Restrepo

Iconomia

"Se non chiudessimo gli occhi non vedremmo quel che c’è da vedere. Proprio così: aprire gli occhi per osservare, fissarli per riflettere e chiuderli per meditare".

Simón Rodríguez

Molti occhi schizzarono fuori dalle orbite durante le sanguinose battaglie tra iconofili e iconoclasti nella Bisanzio dell’VIII secolo. Il Concilio di Nicea dell’anno 787, nel dichiarare che le icone meritavano rispetto e venerazione ma non andavano adorate, affrontò una serie di dettagli senza risolvere il problema. Da allora è stato il trionfo delle immagini (dal Concilio di Trento e l’apoteosi barocca fino alla Società dello Spettacolo dei giorni nostri). I due partiti in questione, tuttavia, lungi dall’abbassare la guardia, hanno affinato tecniche, tattiche e ideologie.

Possiamo facilmente individuare nella società moderna alcune "enclaves" dove la guerra delle immagini continua con pieno vigore. Contemporaneamente, però, assistiamo come in tempi remoti a un conflitto di rara complessità, dove il culto per le immagini non è in relazione direttamente inversa al loro rifiuto. Si tratta di un terreno ambiguo e paradossale: iconoclasti che difendono l’immagine vera, immagini che per il loro contenuto e potere di azione sono iconoclastiche, forme di "idolatria" che sono iconoclastiche alla luce di una certa ideologia ma iconofile viste da un’altra prospettiva, "illuminati" che si trasformano in iconoclasti a forza di Vedere, iconofili che cercano disperatamente l’immagine ultima e i limiti del visibile, lente transizioni o bruschi scontri tra uno e l’altro atteggiamento, sostituzioni attraverso una totale distruzione ...