Adrian Paci
After the wall there are some walls
Ovvero: stereotipi di confine
Non si tratta di un muro in particolare, né del famoso Muro di Berlino. No, si tratta piuttosto del titolo di unazione che cerca di mettere a fuoco il modo in cui vediamo e percepiamo linformazione mediatica, o meglio: il modo in cui quellinformazione esiste dentro di noi come insieme di convenzioni, con tutta una serie di distorsioni e interpretazioni diverse.
Lazione è molto semplice: lartista sale a bordo di una barca a motore e attraversa il canale di Otranto, raccoglie dellacqua, parla con lo scafista, viene interrogato dalla guardia costiera e quindi ritorna a casa. Non cè niente di speciale in tutto ciò; eppure lazione di Paci conserva un valore simbolico.
Gran parte della produzione artistica dellEuropa dellEst affronta tematiche sociali e politiche: una scelta che sembra davvero inevitabile, almeno a giudicare dal modo in cui vanno le cose dalle nostre parti. Questo atteggiamento obbliga le opere darte in un preciso schema temporale, legandole indissolubilmente agli sviluppi di un breve momento storico e sociale, e consegnandole allobsolescenza dopo solo un paio di anni. Costringendo lo spettatore a misurarsi con una traduzione in termini estetici di queste problematiche, Paci riesce a scongiurare quel senso di contingenza e tocca la coscienza dello spettatore a un livello diverso, più profondo.
Lo spettatore si trova infatti di fronte a una installazione complessa: una serie di immagini da documentario scorrono su una gigantesca parete di taniche di plastica bianca, riempite di acqua. Ricorrendo alla rappresentazione simbolica, Paci riesce a sedurre immediatamente il tipico spettatore medio (occidentale) che è ormai assuefatto a immagini facili e non impegnate: di fronte allinstallazione di Paci gli spettatori si sentono a proprio agio, sembrano quasi divertirsi, tanto più che i gesti dellartista appaiono a prima vista assolutamente incomprensibili. Nella loro assurdità le azioni di Paci sembrano partecipare al tipico discorso postmoderno che ha ormai imposto lassurdità come norma, insegnando agli spettatori che è normale trovarsi al cospetto del non-senso.
Ed è attraverso questo esercizio di simulazione che si insinua la sottile ironia di Paci, che innesca la curiosità degli spettatori semplicemente mettendo in scena alcune azioni banali.
Raccogliere acqua dal mare si direbbe infatti unazione normale, persino rilassante, se svolta magari in una bella giornata di sole. Ma una volta che linstallazione è completa, ecco che ci si ritrova al cospetto di una gigantesca parete di taniche bianche, riempite dacqua. Allimprovviso lopera si mette in mostra in tutta la sua complessità di punti di vista e implicazioni. Ogni tanica sembra conservare le tracce di un evento osceno, e lacqua acquista qualcosa di misterioso: anche se trasparente, lacqua diventa una sorta di barriera che impedisce allo spettatore di ricostruire la storia nella sua integrità. È come se lultimo grido di un popolo di naufraghi fosse intrappolato in quei contenitori come se bastasse sollevare un coperchio per liberare un suono vorticoso e avvolgente: niente più sirene di Ulisse, ma solo la voce dei rifugiati del nostro tempo che inseguono una vita migliore, salpando verso la terra promessa.
E allora cosa rimane di tutte quelle chiacchiere sulla comunicazione, la fine dei confini, accettare le differenze eccetera eccetera? Resta solo questo gigantesco muro dacqua che sommerge il desiderio. Resta solo il dialogo tra gli spettatori che cercano di capire cosa significhino quelle azioni. Lirrinunciabile tentativo a scavalcare quel muro.
Edi Muka