Sener Özmen


Sener Özmen vive nel sud est della Turchia, nell’antica città di Diyarbakir (Amed), la capitale simbolica della popolazione curda.
Negli ultimi 15 anni Diyarbakir è stata il centro di un impressionante flusso migratorio che ha spinto la popolazione curda a lasciare i villaggi per spostarsi nella città, un centro relativamente più sicuro. Quando si è a Istanbul, New York sembra più vicina di Diyarbakir.
La città è sottomessa a leggi di precauzione straordinaria da non so nemmeno quanto tempo.
Due giorni prima del mio incontro con Özmen a Istanbul, il capo della polizia di Diyarbakir viene assassinato a colpi di kalashnikov: centinaia di proiettili gli trafiggono il corpo. L’omicidio è un chiaro segnale di rivolta contro il processo di normalizzazione che il capo della polizia ha cercato di instaurare nella città.
Özmen teme che l’attentato finirà per riportare Diyarbakir ai tempi del coprifuoco ("Tutti in casa prima delle sei") e delle intimidazioni sistematiche. È praticamente impossibile dedicarsi all’arte contemporanea in questa situazione.
L’arte non è certo una priorità in questo contesto, né per gli artisti né per il pubblico. Özmen ha cercato di adattarsi a questo clima producendo una serie di tre libri — tre narrazioni visive che si dipanano in un intreccio sempre più delirante.
Il libro — il medium scelto da Özmen — è uno strumento trasportabile e personale, che evade da qualsiasi sistema di controllo, da qualsiasi spazio espositivo o produttivo: il libro è un monologo, un racconto semplice e diretto di una cospirazione individuale.
In quale altro modo si riuscirebbe a mantenere una parvenza di equilibrio e sanità mentale in una vita che sembra sempre più assurda? Da che parte si può sfuggire?

I tre libri di Ozmen sono collegati dalla continua riflessione sul rapporto che centro e periferia intrattengono nella città di Diyarbakir: Diyarbakir, infatti, è alla periferia di Istanbul, ma è al contempo il centro più antico e importante del sudest.
Il primo volume, Diario schizoide, intreccia la storia di due amanti, di un narratore e di una sequenza di immagini che descrivono in maniera corsiva la situazione dell’arte contemporanea turca con i suoi protagonisti e agitatori.
In La storia di Tracey Emin, Abdulbaki Readymade, un personaggio che è più o meno un alter ego di Özmen rapisce l’artista inglese Tracey Emin. La storia, che affronta questioni razziali, di genere e nazionali, ha il suo climax in un violento assalto di insetti dalle forme misteriose che subito ricordano strani veicoli d’assalto.
Il terzo libro, Luoghi comuni d’artista vecchi di tre giorni, è il volume più lungo e intricato, nel quale molti artisti e un curatore (il sottoscritto) vengono rapiti da Sener e intrappolati a Hasankeyf*. Come scrive Ozmen alla fine di La storia di Tracey Emin: "Scrivere un testo è sempre stato difficile".

*Hasankeyf è un’antica zona archeologica che è stata allagata in seguito alla costruzione di una diga.
Cfr. http://www.hasankeyf.org

Vasif Kortun