Ottonella Mocellin
È difficile in questi tempi dare un senso alle cose. Ancora più difficile dare un senso alle immagini, eppure le immagini e le parole sono la materia di cui sono fatti i sogni, la materia di cui è fatto il mio lavoro, la materia attraverso cui mi è possibile comprendere il mondo.
Il mio lavoro ha sempre avuto una forte componente narrativa e con l’uso del video questo aspetto è divenuto più chiaro, più eloquente.
La mia sete di narrazione mi ha avvicinata agli altri portandomi in luoghi sorprendenti ed è a queste esplorazioni che devo la crescita, soprattutto emotiva, che ultimamente ha caratterizzato la mia vita e la mia ricerca. Nel contesto di una ricerca incentrata sull’identità, il desiderio di ospitare altre persone all’interno del lavoro si è gradualmente trasformato in un bisogno legato alla necessità di dare un senso al mio percorso.

Riflettendo sul significato di narrazione, biografia e autobiografia, mi sono trovata a raccontare storie di altre persone attraverso il mio corpo, la mia voce e il mio sguardo, nell’intento di creare con la collaborazione, o meglio la condivisione di una storia, un’area di scambio legata alla sfera dell’emotività in cui arte e narrazione potessero assumere il valore di un reciproco dono.

Ospitare qualcuno all’interno del lavoro significa anche, o soprattutto, cedere all’ospite di turno parte del controllo sulla mia produzione artistica: affidarsi; significa progettare qualcosa per la cui realizzazione è necessario collaborare con altri (come nel caso dei video), ma anche citare: fare posto a parole, visioni o emozioni scritte, pensate o provate da altri.
Il lavoro è diventato così sempre più una strategia di sopravvivenza, una sorta di ponte tra me e gli altri.