Kendell Geers
Non svegliare il cane che dorme

... Ho sempre cercato di essere molto preciso in quello che faccio e dove lo faccio, perché credo che gli artisti devono accettare la responsabilità delle proprie azioni. Un’opera d’arte è prima di tutto uno scambio con lo spettatore, e nel mio lavoro cerco sempre di rispettare gli spettatori, come se si costruisse un dialogo. Naturalmente non esiste uno spettatore modello, né mi sono mai aspettato che gli spettatori fossero tutti uguali. Eppure ci sono molte cose che condividiamo con gli altri: ad esempio, siamo tutti dei corpi collocati in un certo spazio, corpi che osservano un’opera d’arte e reagiscono in base a stimoli che vengono dai corpi stessi. È da questi presupposti che parto per creare una forma d’arte nella quale sia inscritta una precisa responsabilità nei confronti di quei corpi che affrontano la mia opera.

Cerco di creare opere d’arte che siano in qualche modo spiazzanti, per costringere gli spettatori a prendere coscienza delle proprie convenzioni e finzioni ideologiche e morali: voglio che gli spettatori riflettano sulla costruzione fittizia della moralità — costruzione che si incarna nei loro corpi. Ogni cultura si regge su convenzioni diverse e su una diversa invenzione della moralità, e pertanto anche le interpretazioni del mio lavoro saranno diverse.

Lavoro in bilico su una corda molto sottile. E a volte mi capita di cadere, ma preferisco correre il rischio di questa situazione, preferisco instaurare un dialogo, convivere con la possibilità del fallimento, piuttosto che creare uno spazio invisibile sulle pareti di una galleria, uno spazio che di certo piacerebbe a tutti, semplicemente perché non dice nulla, anzi rappresenta soltanto il nulla nella sua veste più affascinante ...

Kendell Geers in conversazione con Otto Neumaier