ON SOME COMMON PLACES

Gianni Romano

SU ALCUNI LUOGHI COMUNI


Nel recente numero speciale dedicato a Milano da una popolare rivista di architettura venivano indicati come luoghi della vivibilità cittadina - senza alcun imbarazzo o perplessità - due ricchi negozi del centro. In realtà, dipingere la vivibilità milanese in un modo così ruffiano, è solo un perfetto esempio della perdita di identità di un luogo che sembra faccia fatica a tenere nella dovuta considerazione le identità che la compongono. Milano, somiglia sempre di più ad uno dei condomini immaginati da Ballard. È ormai diventato un luogo comune dire che la metropoli produce alienazione e anomia, evidentemente i luoghi dove è ancora possibile un'aggregazione significativa e comunicativa sono altrove. Più che uno spazio sociale, la città è diventata una Rete di cellule che non si incontrano, senza centro e senza margini. Secondo alcuni è da questa mancanza che emerge la necessità di luoghi virtuali, non per esigenza di simulazione, ma per bisogno di comunicazione. Il virtuale si sviluppa così come reazione ad un mondo che non ha altre realtà fisiche da sviluppare.

Extraterritorialità
Lo spazio che invita all'attività è lo spazio che contiene il presente. Non è un caso, quindi, che in una società che si dimostra tuttora scettica nei confronti della contemporaneità (e di questa sua figlia illegittima che è l'arte) si sia creato uno spazio virtuale, ma fondamentalmente, extraterritoriale. Uno spazio all'interno del quale modi e luoghi trovano spazio anche all'interno di quelle aree interstiziali alle quali di solito si nega accesso perchè non conformi. Eppure è proprio in queste aree di mezzo che i significati si contrattano riscattando i contenuti dal conformismo e dalle banalità. Sono questi luoghi che ci danno il segnale di una metropoli diffusa, di uno spazio dilatato, di un luogo che non è più possibile circoscrivere nei limiti degli spazi dell'urbanistica: una gigantesca metropoli extraterritoriale. Qui è possibile transitare, esporsi, comunicare. Qui è definitivamente svanito il confine tra l'osservatore che interpreta, classifica e ordina ed uno spettatore che si limita a ricevere in maniera contemplativa.
Quello che io auspico, tuttavia, non è certamente l'utilizzo diffuso delle macchine da parte degli artisti - spero sempre che le macchine aiutino a portare l'immaginazione oltre la pura mimesi di una realtà sempre più difficile da rappresentare - quanto una sana convivenza, la consapevolezza di volere ancora investigare la contemporaneità come spazio d'invenzione infinito.

Lo spazio come contenuto
Forse questo è solo uno dei sintomi del cambiamento del paesaggio, che non è più il nostro territorio materiale, ma l'area dove si è spostata la comunicazione. Il passaggio dal "landscape" al "mediascape" comporta un cambiamento sia delle nostre modalità percettive che comunicative, ed è proprio il paesaggio mediale - luogo decentrato per eccellenza - che ci appare sempre di più come non-luogo della comunicazione. Fin dall'inizio, le nuove tecnologie comunicative hanno privilegiato aggregazioni spontanee: le BBS, i gruppi comunitari... o concetti come il MUD (Multi-User Domains = aree di frequentazione multipla) che cercavano di stabilire comunità dialogiche impostate su temi e idee comuni. In questi casi lo spazio è costituito da coloro che lo frequentano. La collocazione di queste aree di discorso all'interno di uno spazio virtuale ha aperto nuove strade per quella complessa architettura di comunicazione rappresentata dall'odierna Rete.
Appare così evidente che, se la singola unità spaziale diventa sempre più insignificante per noi, non riuscendo più a collocarla e definirla come luogo d'incontro e di vivibilità, la tendenza è quella di allargare tale contesto perché si sviluppi (o si coltivi) una consapevolezza dei luoghi. Il luogo, in generale, è il vero spazio per la trasmissione dei contenuti. Ciò accade nel nuovo paesaggio mediale, ma non è del tutto assurdo che questo luogo si manifesti attraverso le periferiche di quelle piccole stanze che sono i nostri computer. La Rete vive di queste incongruenze, la Rete è un misto incredibile tra pubblico e privato. Pensate all'uso della parola "home page", la copertina dalla quale parte il sito della singola persona e della grande azienda. L'home page rivendica la personalizzazione del messaggio, la sua singolarità di spazio privato che si rende disponibile alle infinite potenzialità comunicative della Rete. Laddove nelle nostre città si sta perdendo ogni cultura delle differenze, la Rete ci obbliga a tenerle nella dovuta considerazione. In questo nuovo spazio i due luoghi simbolici tra i quali i contenuti si espandono sono, appunto, l'home page e il World Wide Web. Come dire, casa propria e il mondo intero, locale e globale. In questo contesto inquieto, ma estremamente denso di significati, diventa necessario aprire le proprie coordinate percettive, attraversare quella che sembra la vera metropoli contemporanea: un luogo che spinge il soggetto a ridiscutere ogni confine stabilizzato o normativo.
In questo luogo, nel quale non ha più senso distinguere tra dentro e fuori, la frammentazione è il modello adeguato alla realtà da affrontare, costringendoci a rivedere il modo tradizionale di osservare, vivere e criticare il nesso tra spazio e comunicazione.
Qui ora si scontrano valori e stili, progetti e visioni, secondo modalità diverse da quelle tradizionali. È qui che abbiamo la possibilità di negoziare l'identità attraverso i molteplici territori nei quali le differenze convivono. Soprattutto è in questa situazione di virtualità - che è molto vicina alla virtualità dell'arte - che c'è rimasto tutto da costruire.

Per una poetica dell'Abitare
"All'abitare, così sembra, perveniamo solo attraverso il costruire. Quest'ultimo, il costruire, ha quello, cioè l'abitare, come suo fine. Tuttavia non tutte le costruzioni sono delle abitazioni."
Martin Heidegger
Esistiamo contemporaneamente in diversi luoghi: fisici e virtuali, mentali ed emotivi... Ma c'è ancora un posto che di solito s'ignora - e in effetti è piccolo (almeno il mio) - forse proprio perché sotto i nostri occhi. Secondo Gaston Bachelard "tutti gli spazi abitati comunicano il concetto di casa, un sentimento che fornisce non solo un senso di protezione e rifugio, ma anche un ambiente con dei limiti percettibili...". Si tratta di limiti che si rifanno alla nostra innata attitudine alla centralità e alla nostra naturale richiesta di privacy.
In molti lavori degli artisti italiani - che ne riportino o meno l'immagine ("...non tutte le costruzioni sono delle abitazioni") - la casa viene considerata come punto centrale di riferimento nella nostra relazione con lo spazio; che è poi lo spazio che abitiamo, o lo spazio abitabile. La casa come contenitore dal quale scaturiscono immagini di passioni e di ossessioni, immagini di stanze vuote, alienanti, ingrassate o estremamente lucide. Stanze nelle quali, come nelle stanze figurate della memoria, gli artisti creano un'architettura intima dell'esperienza e della riflessione. Parlo di stanze non per indicare la facile icona di un luogo chiuso e circoscritto, ma un luogo metaforico all'interno del quale non vi sono barriere fisiche, ma esperienze di relazione tra sè e il mondo, stanze nelle quali un semplice oggetto può ricordarci un'immagine dell'infanzia, che a volte rimanda al "Bel Paese", altre volte al tipico - che non tipicizza più - ad un tipico che è referente vuoto e che testimonia soltanto di una perdita d'identità. La casa è certamente una cellula in termini architettonici tradizionali, ma in molte opere simboleggia un'unità di luogo che scaturisce dall'incontro tra l'architettura tradizionale e quella visionaria della comunicazione che è a sua volta composta da varie arti, ma che si basa soprattutto sul nostro contributo e sulla nostra volontà di partecipazione.
L'idea di "casa" e il concetto dell'"abitare" sembrano poco adeguati in un'epoca in cui molti corrono verso il cyberspazio e l'attraversamento appare più significativo di ogni ipotesi stanziale. Anche volendo star dietro ai più entusiasti, non possiamo però fare a meno di notare che è a casa che abbiamo il nostro "personal" computer e che il computer stesso - una volta smontato a pezzi per la gioia dei nostri figli - ci rivela un'immagine non molto distante da quella che i romani immaginavano come quella serie di stanze nelle quali noi distribuiamo la nostra memoria. Le segreterie telefoniche e i terminal della nostra posta elettronica testimoniano la nostra presenza anche se fisicamente assenti. Noi siamo disponibili anche se non ci siamo e questo non sembra provocarci seri problemi d'identità. La casa sembra quindi sostituire la nostra memoria: è dovunque noi siamo, è il luogo dell'eterno ritorno. Il linguaggio html e il linguaggio figurato di uso nella Rete hanno ormai reso comune l'uso del termine "home page". Da qui si parte per proseguire verso nuove strade, qui si torna per chiudere la connessione o proseguire verso altre "home page". Le nostre case sono diventate ambivalenti, da una parte confermano l'idea di rifugio, da un altro punto di vista l'invasione casalinga della tecnologia le ha fatte diventare delle centrali operative che possono portarci mentalmente ovunque. Se le macchine multimediali ci portano verso una fisicità virtuale, in continuo movimento, è anche vero che qui l'uomo non è invitato ad un incontro con un nuovo mondo di fantastici oggetti, ma a scoprire in questi oggetti l'espansione delle proprie capacità comunicative e, forse, a riscoprire dei luoghi da condividere.
Gianni Romano