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Assemblea dei lavorat* della conoscenza|30 settembre 2011

Il 30 settembre i Lavoratori dell'Arte di Milano hanno partecipato all'assemblea dei lavorat* della conoscenza al Teatro Valle Occupato di Roma. Una giornata molto ricca dal punto di vista della partecipazione e dei contenuti.
In primo luogo perché è stata un'occasione dove prendere atto della rete nazionale che oggi lotta per affermare la cultura come bene comune.
Il Teatro Valle si può considerare un particolare punto di riferimento nazionale di tutti i movimenti che non intendono accettare l'attuale gestione della produzione culturale: è l'esempio di come la cultura si può gestire dal basso, unendo presidio politico, produzione artistica, sviluppo della coscienza critica, formazione ed elaborazione di inediti strumenti legali.
Nel teatro ci sono giuristi, economisti, studenti, impiegati delle università, da professori di filosofia politica a quelli di macro-economia, lavoratori dello spettacolo, del teatro, del cinema, delle arti visive, della musica, tecnici, macchinisti, giornalisti, bibliotecari, maschere, chiunque si possa definire operatore del contemporaneo.
C'è in modo trasversale chi la cultura la produce e la sa produrre.
Il 30 settembre sono presenti anche gruppi organizzati provenienti da tutta Italia, a dimostrazione che questo movimento è ramificato e non sta delegando ai presidi più visibili, il compito di lottare da soli.
La cosa che colpisce è la percezione di sentirsi catapultati in un contesto storico profondamente cambiato da un giorno all'altro. Come se questi ultimi dieci anni di azioni e analisi politiche, spesso tristi e poco rumorose, si fossero di colpo e simultaneamente rese esplicite nella loro possibilità, rivelando la forza con la quale in questi anni, ognuno di noi ha elaborato e continuato ad alimentare un pensiero critico, che ora torna da protagonista all'interno del dibattito pubblico e nelle pratiche collettive.
Questo movimento pone l'accento sul fatto di essere “costituente” di una nuova pratica di riappropriazione dello spazio pubblico. Non denunciamo semplicemente le forme della precarizzazione che stiamo subendo in tempo di crisi. Al contrario la frammentazione in cui ci condanna la crisi, ci sta unendo nella volontà di riappropriarci del nostro modo di produrre e gestire le istituzioni, proponendo modalità e mezzi inediti.
Nel mezzo dell'assemblea Stefano Rodotà cerca di fare chiarezza sul senso più proprio e rivoluzionario del concetto di Bene Comune, affermando che: “[…] il Comune è esattamente il contrario della personalizzazione, dell'oligarchia e del gruppo ristretto, è la possibilità di tutti coloro i quali sono interessati - e rispetto alla cultura e alla conoscenza lo siamo tutti - di essere allo stesso tempo i gestori, i controllori e i produttori. Questo è il punto essenziale, sennò noi usiamo a vanvera l'espressione di bene comune. Badate che su questa innovazione della cultura politica, nel dibattito pubblico c'è ancora reticenza, e permettetemi di dire ignoranza spaventosa, perché queste cose vengono limitate e ristrette ad una sorta di piccola anomalia italiana, tutto sommato irrilevante, mentre oggi è il grande tema che percorre il mondo, e credo di non usare una espressione enfatica. […]”
Dai risultati referendari alla Sala Arrigoni, dal Valle Occupato al Teatro Marinoni, passando per tante altre realtà, gruppi e soggetti che negli ultimi mesi stanno dimostrando, nella pratica come nella teoria, cosa voglia dire occuparsi, ovvero prendersi cura di cultura, lavoro, comunità, territorio, economie, e cosa sia la riappropriazione attiva della categoria di bene comune e cosa la necessità di una riscrittura partecipata del presente. Tutto questo svela una pratica costituente inedita, dove al pensiero critico segue una proposta già realizzata, a questa una partecipazione già attiva e a quest'ultima uno statuto già fondativo.
In questo senso, dobbiamo prendere molto sul serio la freschezza e il potenziale politico di questa situazione.
La posta in gioco non riguarda la denuncia e l'indignazione verso un sistema che non funziona, ma la legittimità di occupare ciò che è nostro in quanto cittadini, lavoratori e professionisti, dimostrando di esercitare al meglio le nostre competenze per gestire i nostri beni.
Christian Raimo, rappresentate del gruppo TQ, imposta il suo intervento ricordando che in questo tipo di esperienza c'è in gioco il rapporto tra verità e retorica. L'attivazione individuale, la presenza fisica, l'intelligenza che ognuno investe per collaborare a costituire questi spazi, è l'unico modo per sottrarci dall'essere pubblico consumatore di messaggi mediatici e retorici, i più insidiosi dei quali sono proprio quelli più filatropici e “politicamente corretti”.
Due punti sono stati fondamentali in questo percorso: l'individuazione della categoria di bene comune e la definizione della 'classe' dei lavoratori della conoscenza.
L'analisi critica sulle forme di lavoro e di sfruttamento contemporaneo, che mai prima di oggi aveva raggiunto tale coincidenza tra la letteratura di riferimento e la vita reale, quasi come a dire tra chi scrive e chi legge, ha creato un cortocircuito di senso dentro il quale si è svelata la semantica e l'ovvietà dell'anomalia economica e culturale in qui ci troviamo.
La nostra vita è investita in questo momento da un attacco, attraverso la cancellazione e l'espropriazione dei nostri diritti. Ricordano il libro di Bruno Trentin, Da Sfruttati a Produttori, dobbiamo sottrarci dall'auto-produrre la nostra condizione di precarietà. Costruire il bene comune parte proprio da questa attivazione e responsabilità individuale. E' importante smettere di pensare che tutto sommato siamo liberi, e che è solo un brutto momento storico, quando in verità il nostro margine di libertà sta solo nell'essere dei consumatori auto-organizzati, che lavorano nel momento stesso in cui consumano.
Ancora Rodotà: “[…] II bene comune è lo strumento per mettere in atto un tipo di lotta. I beni comuni non sono tali per natura, ma sono tali o perché corrispondo ai diritti fondamentali delle persone o perché sono il risultato di quello che ciascuno di noi vede come obiettivo necessario, ogni giorno, alla libera costruzione della personalità e alla partecipazione ai legami sociali. Questo significa conoscenza, se non c'è conoscenza non c'è possibilità di essere uguali. Questo è il punto fondamentale. […] La costruzione del bene comune è il risultato di un’azione culturale e politica. Non c'è un bene comune per natura. […] Per governare questa vicenda del Valle, ci si sta provando, evidentemente i giuristi possono scrivere lo statuto più bello del mondo, ma se si indebolisce, se si perde la spinta che c'è in questo teatro e quello che ha generato in tutta Italia, lo statuto più bello del mondo ci serve poco o nulla.”
In questo senso sarebbe davvero il momento che la cittadinanza intera, nella sua più ampia trasversalità, risvegliasse il suo diritto di essere parte attiva, rivendicando il suo ruolo legittimo e costituente della gestione dello spazio pubblico. E che lo facesse in ogni città, organizzandosi in gruppi e frequentando pratiche inedite, senza chiedere niente a nessuno, senza prudenza, senza reticenza, esercitando legittimamente dal basso quel potere che lo strumento della delega verticistica e del controllo in mano a pochi, non fa che deviare in un uso retorico, speculatore e, in alcuni casi, sistematicamente criminale.
Si è anche detto che se i governanti, così come gli amministratori locali, sono in grado di accorgersi di questo capitale umano e della preziosità dei processi innovativi che vengono dalla cittadinanza, sono i benvenuti e possono essere un utile interlocutore, nelle loro funzioni di amministratori e politici.
È sotto gli occhi di tutti che l'Europa così come gli Stati uniti e il Nord Africa, sono in uno stato di estrema difficoltà: un controllo economico in mano a pochi organismi di natura non rappresentativa sta concentrando capitali a discapito di welfare e diritti di gran parte di cittadini e lavoratori. La cultura ha un ruolo molto importante nel saper dare una comprensione, una visione e un linguaggio, per costruire un nuovo scenario e un concreto cambiamento di rotta.
Il 15 ottobre ci sarà una manifestazione globale in tutte le capitali europee e statunitensi per dimostrare quanto la società civile non accetti più questo gioco.

Un racconto di Emanuele Braga e Maddalena Fragnito, Lavoratori dell'Arte.


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