Associazione Culturale Satura
Genova
piazza Stella, 5/1
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WEB
Sei mostre
dal 6/3/2015 al 17/3/2015
mar-ven 9.30-12.30 e 15-19; sab 15-19

Segnalato da

Satura Art Gallery




 
calendario eventi  :: 




6/3/2015

Sei mostre

Associazione Culturale Satura, Genova

Giovanni Tomaselli 'L'intreccio delle forme'; Paola Pastura 'Oltre il visibile'; Saverio Lombardo 'Nulla e' vero, tutto e' permesso'; Antonio Pini 'Intime reminiscenze'; Grafica d'autore. Rassegna d'arte contemporanea a cura di Mario Napoli; Rodolfo Vitone 'I suoi primi novant'anni'.


comunicato stampa

Giovanni Tomaselli
L'intreccio delle forme

L’estrema libertà di espressione di cui godono gli scultori contemporanei, non vincolati a specifici soggetti dettati dalla committenza, ha permesso a Giovanni Tomaselli di inventarsi un proprio stile molto originale, con un comune denominatore che attraversa tutte le sue numerose opere: la linea curva e la spirale. Le varie parti compositive vengono poi assemblate in modo da creare composizioni più o meno facilmente interpretabili. Possiamo infatti affermare che il grande pregio delle opere dell’artista consiste nell’essersi “inventato” una tecnica che in qualche misura rimanda a una forma “cubista” sui generis straordinariamente applicata alla scultura. Tomaselli riesce con grande abilità a creare un magico ”mix” prendendo di ciascun aspetto di questa corrente artistica una particolare caratteristica e unendole poi sapientemente nelle sue opere. Utilizza per esempio gli aspetti di semplificazione delle forme tipiche del cubismo formativo o, per quanto riguarda il cubismo analitico, propone una visione prospettica, raffigurando il soggetto da diversi punti di vista, con forme che vengono scomposte e ricomposte. Non utilizza però l’indecifrabilità dei suoi soggetti che sarebbe tipica di questa corrente: non perde mai di vista l’esplicita comprensione di ciò che assembla, accostandosi al cubismo sintetico. Questi aspetti salienti che caratterizzano tutta la sua produzione sono particolarmente evidenti in opere come: “Formula uno”, “Dal cuore del chicco un amore di caffè”, “Attraverso l’onda”. Spesso Tomaselli introduce la figura umana nelle sue sculture, non solo attraverso una rappresentazione figurativa fedele alla realtà, ma attraverso l’astrazione e compenetrazione delle forme. Il suo particolarissimo stile rivela grandi capacità tecniche e la sensibilità interpretativa di andare oltre il dato oggettivo.

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Paola Pastura
Oltre il visibile

Posta la natura come interlocutrice privilegiata, la pittura di Paola Pastua evoca, in forme assolte dalla riproduzione del reale, l’involucro del visibile per disvelare l’essenza delle cose. Una pittura che si nutre delle sensazioni e dell’esperienza dei luoghi, di quelle sedimentazioni anche inconsce che si depositano nella memoria e confluiscono nell’esigenza di cogliere il fenomeno naturale che pervade il mondo. La concezione che sta alla base di ogni opera è quella di una superficie sulla quale affiorano immagini evocate dal ricordo o dalle emozioni; l’artista parte da precisi riferimenti figurali per superare la visione iniziale, dissolvendo nel colore i contorni e ogni connotazione oggettiva. Ogni dettaglio è volutamente abolito: solo i colori mantengono inalterate la loro forza e l’aderenza alla realtà. La visione si espande fino ad occupare tutto lo spazio, come se la tela racchiudesse una porzione di una dimensione molto più ampia, la cui forza espansiva tende a valicare qualunque limite imposto. L’opera esprime il senso di continua trasformazione insito nelle cose, solo sulla tela è possibile catturare e rendere eterno quel singolo istante che fa parte di un flusso in continuo divenire. Il risultato è simile a quello che si otterrebbe immortalando un soggetto in movimento: un’immagine sfocata; allo stesso modo, i rigidi confini della forma sono aboliti, superati, perché la finitezza è un’apparenza transitoria. Ecco allora spalancarsi di fronte ai nostri occhi apparizioni repentine, come se ci venisse concesso di scorgere il senso delle cose. Immergendosi nelle profondità del colore, come in abissi ignoti, si ha l’impressione di intuire qualcosa d’altro, di vedere svelato il mistero dell’esistenza. La luce è intessuta nella materia, non scende dall’alto, ma pervade ogni cosa, illuminandola dall’interno. La poetica di Paola Pastura trova una consonanza tra materia e luce, una corrispondenza tra i sentimenti e il colore. La passione per il colore, guidata dall’esperienza, produce intense cromie; l’artista, infatti, usa i colori con audacia, spaziando nella tavolozza per rendere appieno le energie racchiuse nella terra, nell’acqua, nella vegetazione.

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Saverio Lombardo
Nulla è vero, tutto è permesso

Fotografo di moda e beauty, Saverio Lombardo è preparato a restituirci una fotografia di donna fortemente ritoccata, fino alla resa quasi irreale d’impeccabile perfezione richiesta dalle pagine patinate pubblicitarie. Non scegliendo di rappresentare una donna reale, bensì una donna-bambola. Ribaltando il concetto canonico della modella che risulta finta per quanto è perfetta, concentra la sua attenzione sulla bambola: e ne coglie la “realtà” con sfumature e accenti tali da rendere la naturalità della donna vera, senza uso del fotoritocco, ma solo con interventi o passaggi di carattere manuale. Il soggetto non è una semplice bambola, ma quella Barbie conosciuta in tutto il mondo e mito di numerose generazioni. Culto già dalla fine degli anni Cinquanta, Barbie ci ha accompagnato attraverso mode e generazioni: idealizzata nella sua fisicità tanto più credibile quanto più irreale (il volto angelico, le gambe affusolate e innaturalmente lunghe, la vita sottilissima, il seno prorompente), sfodera requisiti che la rendono senz’altro un’icona in cui immedesimarsi, pur impossibile da emulare. L’artista vuole sfatare l’idea di bellezza utopica che ha finito col pervadere la vita reale. Ed espone Barbie per svelarne il lato “umano” più vicino al nostro sentire.

Pur essendo un fotografo di moda, è contrario all’eccesso dell’uso del fotoritocco, che tende plastificare la donna nell’immagine pubblicitaria, e intende superare la finzione cercando la “verità” in una bambola di plastica. Saverio Lombardo ricerca, attraverso diverse posture e tagli d’immagine, di dare vitalità a Barbie, analizzandone un’impossibile mimica per conferire uno spessore emotivo agli scatti. Il risultato è una Barbie che assume pose e sguardi in grado di svelare paradossalmente sentimenti che appartengono a ogni donna. La sua esperienza gli permette, tramite un sottile gioco di sfocature, di cogliere quella luce che trasforma la porosità della plastica in un’illusione di reale epidermide. E l’alternarsi di luci e attimi, gli incroci di sguardi complici e le inquadrature particolari rendono “viva” la bambola più famosa del mondo. Momenti catturati con pose ravvicinate ed un effetto mosso tra luci colorate caricano di umanità la naturalità di gesti e movenze. L’autore osserva ed espone la bambola come una donna, senza manipolare digitalmente le immagini. Rendendo naturale pelle e seni con semplici giochi di trasparenze e profondità di campo, accentua la sensualità dell’oggetto; e con un susseguirsi di movenze e momenti quasi rubati costruisce una sorta di intimità in grado di trasformarla in soggetto. Un progetto che impegna l’autore da più di dieci anni, e declinato in diverse versioni. Un instancabile lavoro che lo porta a concepire immagini sempre nuove, a ricercare diversi effetti naturali e singolari sensazioni tattili. (testo critico di Barbara Vincenzi)

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Antonio Pini
Intime reminiscenze

Gli “arazzi” di Antonio Pini nascono dal recupero di materiale che comunemente si considera scarto. Rilievi e concavità corrispondono alla mappatura tattile di una memoria che è segnata dallo scorrere del tempo. Ecco allora spiegato il senso delle ondulazioni, dei graffi e degli schizzi di colore sulle superfici, che qui diventano racconti pop-up astratti, retti dal simbolismo puro della forma e del colore: come per Broodthaers, la reinvenzione pratica / verbale del supporto è scherzo e rivendicazione . Il cerchio è il perimetro primario nel quale racchiudere il segno grafico e inserire il testo come insieme visivo che emerge innanzitutto dalla materia. L’approccio è quello tipico della Fiber Art contemporanea che parte dalla riscoperta delle tecniche tradizionali per giungere a una concezione ampia e filosofica: il gesto non è più solo funzionale o esclusivamente decorativo, ma diventa un manifesto d’intenti. Si comincia dall’Oriente – ricordando lo zen, la rapidità del tratto calligrafico e il dinamismo sostanziale del Gutai e si approda alle tendenze dell’Espressionismo Astratto occidentale, con Jackson Pollock e soprattutto Franz Kline come maestri; fino a rientrare in Italia con Giuseppe Santomaso e il Gruppo degli Otto. In questi lavori, prevalgono le tinte fredde accanto all’assoluto relativo del bianco e nero, a contrastare la semplicità del cartone o il biancore delle gocce di biacca. L’osservatore ha così la sensazione di penetrare nelle opere mentre le “legge”, decodificandone la stratigrafia attraverso l’autoironia della destrutturazione interpretativa. Lo sguardo è spinto a inscrivere figure note all’interno di una versione ultra-minimale che ribalta la saturazione della realtà. Si aprono finestre che, creando effetti tridimensionali, mostrano l’urgenza della comunicazione primitiva, l’esigenza cartografica della partizione, la ricerca operativa di un denominatore.

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Grafica d'autore
Rassegna d'arte contemporanea a cura di Mario Napoli

La riconoscibilità del segno, cui può far da spalla una riflessione quasi programmatica riguardo al colore. Molto spesso soltanto un lavoro di grafica, facendo leva proprio su questi due punti, può aiutare a percepire la perfetta misura di una vera genialità ideatrice. SATURA art gallery presenta alcuni selezionati nomi storici del contemporaneo in versione essenziale e sperimentale con una mostra totalmente riservata alla loro produzione grafica, sfera creativa a volte poco contemplata, eppure importantissima per inquadrare e completare in maniera logica un'intera parabola artistica. Uno sguardo sintetico sulla seconda metà del Novecento attuato attraverso la produzione meno nota di maestri e autentiche “star” dell'espressione visuale, spaziando tra movimenti avanguardisti e neo-avanguardie d'inclinazione decisamente più mediatica. Dall'informale internazionale “doc” di rappresentanti come Emilio Scanavino e Antoni Tàpies - due artisti dai metodi ben distinti e distinguibili all'interno di una visione comunitaria dell'arte - alle ricercatezze optical di Victor Vasarely, fino a coprire gli ideali faceto-concreti di un'iconografia pop che ha superato sé stessa incontrando l'estrosità di Keith Haring, lì dove colore e segno hanno raggiunto il ruolo della “divertente” denuncia sociale. Artisti presentati: Valerio Adami, Harold Altman, Georges Braque, Alexander Calder, Lynn Chadwick, George Chemeche, Claudio Costa, Piero Dorazio, Arman Fernandez, Paul Flora, Jean Marie Haessle, Keith Haring, Robert Indiana, Alex Katz, Sugai Kumi, Roy Lichtenstein, Gehrard Marcks, Henry Matisse, Francois Morellet, Zoran Music, Dufy Raoul, Donald Saff, Emilio Scanavino, Daniel Spoerri, Antoni Tapies, Victor Vasarely.

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Rodolfo Vitone
I suoi primi novant'anni

Nel cinquantennio che ci sta alle spalle Genova si è iscritta nelle vicende dell'avanguardia soprattutto per i contributi dati a una situazione che si potrebbe dire, con etichetta larga, "nuova scrittura". Ci sarebbe, ovviamente, da ricordare anche l'Arte Povera, che nel capoluogo ligure ebbe la sua prima uscita ufficiale, e perfino il battesimo, ma poi migrò altrove. Invece i protagonisti della “nuova scrittura” sono rimasti più a lungo a covare le loro ricerche nella metropoli chiusa tra monti e mare, e forse per questo portata a schiacciare le proprie energie migliori, nel caso che queste tentino di rimanere in patria, entro una morsa di tradizionalismo. E proprio all'inizio del cinquantennio in questione ci volle una bella folata temporalesca dall'esterno, per portare aria nuova: si trattò di Eugenio Battisti, piombato nella città ligure con una carica enorme di energie che si espressero in varie iniziative: fra l'altro, la nascita di "Marcatré", di cui Rodolfo Vitone fu il primo editore, rivista pronta a inserirsi nel dibattito della neoavanguardia, accanto al "Verri"; perfino il giovane Celant fece le sue prime apparizioni nel ruolo di allievo prediletto del ciclone-Battisti. Sferzati da quel pungolo, i genovesi meglio disposti seppero riscuotersi e andare anche oltre, maturando appunto quell'"oltranzismo" che si addice alle situazioni compresse. Qualcosa del genere si potrebbe ripetere per Firenze, che non a caso fu il laboratorio in cui nacque la poesia visiva di Pignotti e Miccini. Ma gli sperimentatori di Genova intuirono che bisognava fare qualcosa di più, che non bastava cioè allineare parole ed immagini, lasciandole ciascuna nelle forme consuete a una civiltà tipografica avanzata, confermata, più che essere contraddetta dall'avvento dei rotocalchi e da altre forme visive pur sempre affidate alla stampa.

Il materiale verbale doveva ritrovare tutta la sua concretezza, secondo la prospettiva che in effetti era già stata riportata alla poesia "concreta", e entrare nell'opera alla pari con ogni altro materiale di esperienza: questo, in definitiva, il nuovo traguardo cui giunsero in modo precipuo gli sperimentatori genovesi, in quanto il limite storico della poesia concreta propriamente detta era stato quello di lasciare le parole, anzi, le lettere, entro un loro lazzaretto, per evitare che si contaminassero andando in giro per il mondo. Invece i Genovesi non vollero evitare l'impurità, abbatterono i cordoni sanitari, patrocinando la grande commistione reciproca, tra le lettere e tutto ìl diverso da loro. Ecco così le linee di ricerca cui si sono ispirati Ugo Carrega da una parte e gli Oberto, Martino e Anna, dall'altra. Vero è che anche i primi due ad un certo momento obbedirono alla tentazione dell'esodo. Ma altri sono rimasti, come Rodolfo Vitone, a continuare sulla strada del grande missaggio, dove la lettera non arretra di fronte ad alcun passo, per ardito ed estremo che questo possa sembrare. Ci fu una fase di espansione incontenibile, in sintonia con gli happening statunitensi, in cui Vitone portava certe lettere enormi a innestarsi su spettacoli da strada, a siglarli col loro gigantismo, come in altrettanti "rebus" proposti all'attenzione di un popolo di Ciclopi. Infatti una delle costrizioni cui sottoponiamo la popolazione delle lettere è quella di ridurle in dimensioni piccole, lillipuziane, come utensili che non devono dare fastidio, né permettersi di prevaricare.

Ma che cosa succederebbe, se un bel mattino ci svegliassimo, e dovessimo constatare che quei nostri sudditi fedeli (della mente) sono cresciuti, vittime di un'ipertrofia inopinata? Furono quelli gli anni attorno al '68 e dintorni, quando l'intero sistema dell'arte "esplose" fuori dalle misure convenzionali; poi esso "implose", ritornò a proporzioni più usuali ed affabili, e anche Vitone ne ha tenuto conto, non rinunciando però alle mescolanze "impure". Se ci rivolgiamo alla produzione di questi ultimi anni, constatiamo, innanzitutto, che le lettere non sono ritornate, docili e "pentite", entro i piccoli formati loro assegnati per tradizione, ma al contrario, sono rimaste a giganteggiare, fiere anche di una loro relativa purezza, di elementi pur sempre a matrice concettuale, a definizione pubblica, il che ne fa altrettanti stereotipi. Quei segni dell'alfabeto sono pertanto, nelle opere di Rodolfo Vitone, come dei guerrieri catafratti, delle salamandre che se ne vanno immuni entro un contesto per parte sua quanto mai profanato, viziato da ogni traccia e umore dell'esistenza: macchie, colate, magari brani di scrittura, ma sorpresa quando anch'essa dà luogo ad un tessuto pittoresco, corroso dagli agenti atmosferici. Col che si crea una bella dialettica tra elementi rigorosi ed altri invece deliberatamente informi; ed è anche una dialettica tra scale diverse, tra quella grande, "a caratteri cubitali", con cui si presentano le lettere, e le altre successive via via più miniaturizzate, in cui deflagrano tanti minuti accidenti. È tipico del linguaggio, a ben pensarci, il presentarsi a noi proprio come una serie di scatole cinesi che si susseguono, l'una dentro l'altra. Forma e materia, in ogni particella verbale, sono come le facce di un Giano bifronte, non c'è l'una senza l'altra; e soprattutto, non c'è elemento alfabetico che non si presti a sollecitazioni in su e in giù: per un verso, è sempre possibile scomporlo ulteriormente, mettendo in mostra la materia che lo costituisce (come sventrare una bambola e farne uscire l'imbottitura); per un altro, si può procedere a riaggregazioni che tentano di restituire il senso là dove dominava l'informale più spinto. Rodolfo Vitone gioca abilmente su tutte queste possibilità, percorrendole simultaneamente. (testo critico a cura di Renato Barilli)

Inaugurazione sabato 7 marzo 2015 ore 17

Associazione Culturale Satura
piazza Stella, 5/1 Genova
mar-ven 9.30-12.30 e 15-19; sab 15-19
ingresso libero

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