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Juliet Anno 20 Numero 101 febbraio/marzo



Padanie

Roberto Vidali



Art magazine
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Claudio Massini,

Aldo Damioli, 1998 80x100 cm courtesy Il Milione

Antonio Sofianopulo,

Esiste un sapere iniziatico, interno alla disciplina pittorica e che ha ancora diritto di parola oppure siamo aggrappati alla Zattera della Medusa? Qualcuno potrà accampare dei dubbi, delle sequenze sillogistiche, dei buchi neri o delle cantine buie, eppure, se dovesse esistere, se da qualche parte si dovesse conservare una falda sotterranea, questo sapere sarà codice accomunante, genetico, oppure dovrà riferirsi a un qualcosa di variabile da persona a persona, da soggetto a soggetto? E si potrà concludere: "Finanche da luogo a luogo, da regione a regione, da Padania a Padanìa", dato che -se questa condizione è operativa- una cultura tipo international style è venuta a morire per dissanguamento, si è inabissata come Titanic schiantato dall'iceberg, per fare spazio, invece, a un rigurgito di separatismi astrusi, di segmenti introspettivi, di individualità esasperate, di microgruppi, di sottoinsiemi, di particularità, di municipalismi: ciccio-trippa contro stecco-magro, Tom Tommy che guarda in cagnesco Ciun-Cian, quello imponente assunto a nemico giurato del 'bassotto', biondo versus moro, pedone contro automobilista, e così via.
Sembra qui che, se da una parte si cercano con fatica le basi monetarie per far da motore a un'economia sovrannazionale, da contrapporre allo strapotere colonialista del dollaro, dall'altra le diversità (etniche, religiose) covano sotto la cenere a tenere in vita le loro singolarità, il loro appartenere a un trend sottrattivo, capace di distanziare gli individui. In definitiva, le immagini di pacificazione proposte in tante campagne Benetton, malgrado l'allegria omologatrice del sottinteso golfino di lana, risultano -a distanza di alcuni anni- una mera presunzione di ottimismo che si scontra (purtroppo) contro la più dura quotidianità di un crimine organizzato su scala planetaria.
Ma la rottamazione della modernità non finisce qui, poiché il disoccupato di Terontola, bardato con telefonino, va in vacanza in Polinesia, mentre il povero diavolo dal Medio Oriente (o altre zone periferiche) s'incammina verso l'Europa, come se questa fosse la terra promessa ai suoi padri. L'Occidente diviene allora quella Babilonia che, sebbene accolga nel suo seno tutte le razze e tutti gli intrichi ideologici, all'insegna di una bandiera fintamente liberista e tollerante, non riesce in una vera e propria opera di assorbimento, dato che le frasi gergali, il tatuaggio di appartenenza, il vestire eccessivo stanno conducendo a processi di identificazione (e separazione) costruiti a scompartimenti stagni. Se in passato lo scontro tra popoli diversi portava inevitabilmente allo sterminio o alla sottomissione di uno dei due antagonisti, oggi, all'opposto, il fluire lento e sommesso delle immagini televisive accoppia in una pastetta melensa quanto accade in lingua coreana con ciò che viene tradotto in lingua inglese, lo scannapastasciutte con il divoratore di sushi. Un tanto non ci porta a un'assimilazione onnicomprensiva, bensì dà spazio all'insanabile volontà di riscatto che da parte 'dell'indigeno' s'incarna nel desiderio di possesso di quegli oggetti di consumo che si ritengono assunti a status symbol, cioè aureolati dal marchio, oltre che dall'uso: al Chinotto nostrano suona più giusto preferire la Fanta internazionale, allo stesso modo in cui l'attricetta con tutte le carte in regola, e che abita nel palazzo a fianco del nsotro appartamento, non la conosce nessuno, mentre gli slip della Erzigova -se messi all'asta- andrebbero a ruba. Desiderio di assoluto che si assomma al piacere dell'esclusiva e della diversità, forse.
Insomma, tra i vari aspetti che il marxismo reale non ha proprio centrato e il liberismo stenta a colmare, si trova questa soggettività che distanzia cromosoma da cromosoma, strato epiteliale da strato epiteliale ovvero la caratteristica prima dell'homo sapiens, selvaggio o civilizzato che sia. A tal punto conviene abbandonare le braccia ai fianchi e gridare sconsolati: "Il grande sogno illuminista si è spezzato come brocca fessa: égalité, fraternité, humanité son divenute parole morte e incomprensibili ai più".
L'occidentalizzazione forzata non significa perciò semplice sottomissione a usi e costumi egemoni, tutt'altro... nella maggior parte dei casi, conduce alla commistione e all'affiancamento delle più radicate tradizioni culturali, come ben ci segnalano le città racchiuse nelle metropoli, tipo Chinatown a New York o Kreuzberg a Berlino, il che vale a dire: a fronte delle megalopoli inglobatrici (e che nei palazzacci della periferia si somigliano un po' tutte) ci sono realtà composte da sottoinsiemi, da microcomunità, nel contempo un po' 'esclusive', un po' miste e un po' imbastardite: ghetto nero, rione italico, cicaño, cinese, turco... realtà separate disposte a convivere e ad aggregarsi con molta difficoltà, anche se gli obiettivi laici che sono confitti nel capoccione di ogni singolo abitante (benessere economico, status sociale), a ben guardare, sembrano i medesimi. Quindi, non più comunità cosmopolita (secondo la logica di una cultura affratellata dalla volontà di sperimentare linguaggi sempre nuovi e diversi) -come era ancora la Parigi d'inizio secolo, dove si poteva pensare in russo o yiddish e solidarizzare con uno che parlava spagnolo-, bensì neobarbarie che conduce alla frantumazione della collettività, dato che ove decade il senso di un comune sentire viene a mancare parimenti il desiderio di identificazione o comprensione (lingua, usanze, istituzioni, religione) col/del luogo che ci ospita. Allora, per un verso, civiltà diverse, talvolta arcaiche, si appropriano degli strumenti moderni offerti dalla tecnologia invasiva e, d'altro canto, queste civiltà rafforzano la loro distanza, la loro estraneità agli usi e ai costumi che di queste novità si sono fatti portatori: altro che trionfo del modello occidentale, qui è più giusto parlare di moltiplicazione delle false divinità!
La cultura della revanche capitalistica che si è data all'assalto del mondo intero, armata di una specie di girapale omogeneizzatore, non è ancora capace di dare un ordine sensato al mondo che ha conquistato. Nell'epoca del dopo-muro un vero principio guida è del tutto illusorio; l'unico ordine che questo sistema economico è stato capace di realizzare è quello della disuguaglianza dirompente. Meglio: è quello dell'uguaglianza del consumatore-distruttore di fronte all'arrogante benessere di una élite ristretta. Ecco il perché delle intolleranze, ecco il perché di questi segmenti separati dal corpo della società e che non si sa ancora bene come collocare.
E non vale un discorso sulla distanza (del tipo: "In un futuro radioso ci sarà la terra promessa da cui sgorgherà latte e miele"), dato che per ogni disgraziato pronto a soccombere ce ne saranno di riserva altri tre, pronti a prendere il suo posto, a mettere i bastoni tra le ruote, a far dell'intolleranza una pericolosa bandiera. Qualsiasi programma educativo o qualsiasi progetto di interscambio si scontra contro la dura realtà del metabolismo, nel senso di valore sottrattivo su quanto già era stato fatto: insomma una specie di fiaba di sior Intento all'ennesima potenza, con tanto di girone infernale di carni e legislazioni, di oggetti e cespugli, di virus e piogge acide, di profilattici e pillole regolatrici.
La tivù, grande e ingombrante fratello dell'età postindustriale (quella cioè che alle ruote dentate a far da catena di trasmissione preferisce le fibre ottiche) è sì una grande catalizzatrice presente dalle capanne di paglia nel deserto del Sahel alle catapecchie della borgata romana (dato che in ogni luogo si leva alto il grido: "Toccami il frigo, battimi il culo, ma non sottrarmi il monitor"), è sì una ammaliatrice di bimbi e di adulti, eppure non riesce a farsi educatrice, nella pienezza della parola, nel senso che non è ancora capace di fare comunità, non è capace di tradursi in ideologia partecipe -anche perché la catechesi ideologica (basata sul Vangelo o sul Capitale poco importa) deve puntare a pochi dogmi stringati e convincenti (sul tipo di: "Ama la pittura tua come te stesso", "Pittori di tutto il mondo unitevi"), mentre la suddetta si basa ancora (subdolamente) sulla dispersione di immagini e contenuti, sulle disperate ricette della diversità e del cambiamento, oltre che sulle lingue locali dei vari studi televisivi.
Roberto Vidali