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Juliet Anno Numero 98 giugno 2000



ELISA VLADILO

Sebastiano Barassi



Art magazine
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"Open Studio 2000" Londra

Dopo un lungo periodo di quella che si potrebbe quasi definire autocensura, spesso dettata da scelte poetiche, talvolta imposta da fattori esterni di gusto e opportunità commerciale, da qualche tempo il recupero di una dimensione spirituale e di purezza formale sembra essere tornato a imporsi come priorità per un numero sempre crescente di artisti. Un esempio significativo è rappresentato da Elisa Vladilo, artista triestina di origine, ma che dal 1997 vive e lavora a Londra, a seguito di una scelta dettata dall'esigenza di ricerca di nuovi linguaggi e stimoli artistici.
Vladilo è da alcuni anni dedita a sviluppare la propria arte in due direzioni. La prima è rappresentata da interventi su luoghi, che implicano una centralità dell'interazione del pubblico con l'artista e la sua opera, e nasce dall'esigenza di esplorare ed occupare spazi che vanno oltre la superficie della tela, con una ricerca volta, nelle parole di Elisa, ad "un'arte che vada ovunque". I frutti di questo interesse per una 'sfera pubblica' in senso habermasiano sono rappresentati da interventi al Museo del Mare, al Museo Ferroviario e al Centro Donna di Trieste, al Castello di Rivara e nelle strade di Belfast, in spazi, cioè, normalmente non occupati dall'arte. Con questi interventi Vladilo aspira a sviluppare il proprio lavoro superando le barriere dei consueti spazi di fruizione elitaria - il white cube - e dialogando così con un pubblico più ampio di quello tradizionale dell'arte contemporanea. Il suo discorso, però, non nasce esclusivamente da una volontà critica nei confronti dell'establishment dell'arte, ma anche da un interesse per gli spazi ampi, in senso fisico ed etico, dall'esigenza, cioè, di allargare tanto l'estensione fisica dei propri lavori quanto il raggio della loro interazione sociale.
Il secondo filone dell'opera di Vladilo è rappresentato dalle opere su tela. Tanto i suoi dipinti quanto gli interventi sui luoghi sono caratterizzati dal tentativo di entrare in simbiosi con lo spazio a disposizione, bi- o tri-dimensionale che sia. Ed entrambe queste correnti dell'opera di Elisa sono caratterizzate dalla centralità del colore, "usato prevalentemente in maniera timbrica, all'interno di una gamma di tinte primarie pure e brillanti, in assenza di tonalità cupe". Vladilo usa il colore come mezzo per evocare una dimensione di serenità, "gioia di vivere, atteggiamento positivo nei confronti del mondo e della vita, in modo ludico e ironico, ma anche spirituale, riflessivo" e ama pensare ai propri quadri "come una specie di segnaletica stradale, che attraverso pochi segni e colori possa in un attimo ricordare queste sensazioni". Non è per caso, dunque, che fra le sue influenze Vladilo citi la purezza formale e la liricità di Nicola De Maria e lo spirito ludico di Pino Pascali. È soprattutto nei lavori su tela, comunque, che si materializza la ricerca dell'artista per una dimensione più intima e spirituale. Due tele in particolare, oltre a mostrare gli sviluppi del suo lavoro a partire dal suo approdo a Londra, lasciano trasparire questi aspetti dell'arte di Vladilo. La prima è un'opera del 1997, Senza titolo, creata pochi mesi dopo essere giunta in Gran Bretagna, che mostra in tutta la sua intensità la tensione dell'incontro/scontro con una realtà nuova, l'energia positiva che da questa novità scaturisce ma anche la difficoltà a gestire il cambiamento e il rapporto con un mondo sconosciuto che suscita insieme fascino e smarrimento. La purezza delle forme e del colore, come si è detto centrali nell'opera di Elisa, è utilizzata qui per creare un'immagine quasi fuori fuoco, vista troppo da vicino per avere completamente senso. Senso delle proporzioni e significato vengono invece recuperati a distanza di due anni, alla fine del 1999, in Dreaming Ulaan Baator, dipinto che pur con scelte formali affini a Senza titolo propone un'immagine molto più a fuoco, con una visone d'insieme che mancava nelle opere precedenti. Dreaming Ulaan Baator sta a Senza titolo come il totale sta al dettaglio, come lo specifico sta all'anonimo, all'indistinto (senza titolo), con una visione di insieme percepita da un punto di vista più distaccato, frutto di una maggiore serenità che scaturisce dalla sensazione di avere acquisito un più stretto controllo sulla realtà.
Come racconta il titolo, Dreaming Ulaan Baator, "quasi un parola magica", rappresenta anche il tentativo di avvicinare e rappresentare una dimensione naturale - le montagne, il verde - che, come talvolta accade a chi vive in un contesto fortemente urbanizzato, qui arriva ad assumere connotazioni che rasentano il soprannaturale - la luce, il disco volante o aureola -, in questo caso accentuate anche dalla distanza geografica e culturale, dall'esotismo e dalla spiritualità altra di un paese per molti occidentali misterioso come la Mongolia. Vladilo qui guarda a una realtà in cui la natura è ancora una forza indomabile, in cui si vive adattando i cicli umani a quelli delle stagioni e non viceversa, come invece avviene nel 'Primo Mondo'. Viene qui riproposta, senza tuttavia particolari connotazioni ideologiche, una contrapposizione fra Oriente e Occidente, fra la frenesia della iperindividualistica e disumanizzata società metropolitana euro-americana e la spiritualità e naturalità primigenie delle culture centro-asiatiche, peraltro sempre con la consapevolezza che anche queste sono tutt'altro che prive di contraddizioni e forme di disumanizzazione. Questo sguardo rivolto verso ritmi vitali primigeni e ad una dimensione spirituale ha la sua origine, secondo Vladilo, in "una esigenza innata nell'uomo", che l'arte prodotta negli ultimi anni ha spesso trascurato o trattato con troppe remore e reticenze. "Da molto tempo ormai l'arte si concentra quasi esclusivamente sugli aspetti più concettuali della creazione, in cerca di un sempre maggiore individualismo, e talvolta con eccessi intellettualistici. Questo inevitabilmente avviene a scapito della sfera spirituale, che tra l'altro mi sembra venga troppo spesso confusa con la religione. Col mio lavoro cerco di appagare questo bisogno, in una ricerca che è insieme di identità e valori."