L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Intervista (1999 - 2000) Anno 4 Numero 19 Estate 1999



Mariko Mori

M. Gioni & P. Ellis

La terra vista da lontano



ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Damien Hirst
Gemma De Cruz
n. 23 Summer/Estate 2000

Klein-Dytham
Inokuchi Natsumi
n. 23 Summer/Estate 2000

Ugo Rondinone

n. 21 Gennaio-Febbraio 2000

Production of Production
Tim Griffin e Bennett Simpson
n. 21 Gennaio-Febbraio 2000

Maurizio Cattelan
Maurizio Cattelan
n. 21 Gennaio-Febbraio 2000

Matthew Barney
Richard Flood
n. 20 Ottobre-Novembre 1999


Mariko Mori alla Fondazione Prada. Foto di Attilio Maranzano

I tuoi primi lavori erano panorami urbani in cui cyborg e geishe si offrivano ai passanti, come bambole pronte a essere sfruttate e manipolate. Oggi invece insegui una forma di spiritualità: è una fuga dalla città, dal mondo del potere?

All?inizio ero più critica nei confronti della società in cui vivevo. Anzi, non era proprio una critica; era una forma di commento a margine della società. Oggi invece voglio sviluppare un?idea comprensibile in tutto il mondo, attingere all?essenza. Non è una fuga: al contrario, voglio mostrare nuove possibilità, dire al mondo che ci sono situazioni migliori di quelle in cui viviamo normalmente. So che tutto questo può sembrare un?utopia, ma io voglio davvero lavorare alla costruzione di una realtà positiva: voglio agire per il benessere del mondo.

È per questo che le tue immagini si stanno facendo meno sexy? Sei passata dal ruolo di bambola a quella di sacerdotessa, di fata. Oggi usi anche una tecnologia meno seduttiva.

Perché dici che la tecnologia è seduttiva?

Perché è spettacolare, fatta di luci e flash. La tua tecnologia invece è effimera, leggera e piacevole...

Sono molto lieta di sapere che il mio lavoro non ti sembra più sexy. Io cerco di andare oltre la dimensione fisica, di trascendere il tempo e lo spazio. È una posizione che risale alla tradizione giapponese. Il Dream Temple che ho costruito alla Fondazione Prada è uno spazio che funziona come le stanze da tè giapponesi, luoghi di trascendenza, di separazione dalla realtà: nei padiglioni del tè ci si lascia alle spalle il proprio status, la classe sociale, il passato. Sono luoghi neutri in cui si entra sia fisicamente che mentalmente. Luoghi simili all?Utopia descritta da Thomas More, che etimologicamente ci trasportava in un luogo buono, che allo stesso tempo era assenza di luogo.

Ma in realtà la tua utopia, il tuo non luogo, è radicato in una cultura precisa, che è quella giapponese...

Non sono legata solo alla cultura nipponica. Ho vissuto a lungo in Occidente e in Europa, e il mio linguaggio artistico è forse più connesso all?Occidente. Il Giappone rimane solo sullo sfondo, inscritto nel mio DNA. Rappresenta il passato al quale cerco di attingere: un passato che si snoda all?infinito, eterno, almeno quanto il futuro e il presente. Io cerco di occupare una posizione nel presente, ma per farlo devo conoscere perfettamente il passato e devo anche riuscire a immaginare il futuro.

Che idea ti sei fatta del nostro futuro?

Tre anni fa ho mostrato che il futuro sarebbe stato il mondo di oggi. Il Dream Temple è il futuro come lo ho immaginato due anni fa. Ora devo pensare ad altre possibilità per il nostro domani.

La tua ultima installazione alla Fondazione Prada, Dream Temple, ha coinvolto più di quaranta persone, una piccola troupe. Stai diventando una regista ormai: lavori come una rockstar.

Io continuo a essere un?artista individualista, anche se per realizzare le mie idee e i miei sogni devo chiedere aiuto a chi sviluppa le tecnologie migliori. Il fatto è che la tecnologia e i materiali che stiamo sviluppando non esistevano prima: stiamo forzando i limiti per raggiungere una sintesi perfetta. Per la parte architettonica del tempio ho lavorato con un'équipe. Di solito parto da un mio disegno, uno schizzo che viene sviluppato da architetti giapponesi sotto forma di immagini informatiche e modelli. Qui in Italia ho lavorato con altri architetti che hanno costruito il tempio. La tecnologia utilizzata per le proiezioni invece è stata sviluppata negli Stati Uniti, mentre i disegni e l?animazione grafica proiettate nella cripta sono state create in Giappone, con la collaborazione della Shiseido e della Sony. Inoltre ho coinvolto un compositore per la musica e un team che lavorava all?integrazione delle varie parti.

Hai fatto il nome della Sony e della Shiseido: in effetti c?è tutta un?estetica da multinazionale alle tue spalle. Qualche maligno potrebbe dire che stai facendo del costoso entertainment...

No, io non penso alla mia opera come spettacolo: c?è un?idea forte e per trasmetterla bisogna impegnarsi, bisogna creare nuovi strumenti e metodi di lavoro, con i quali costruire spazi inesistenti.

Fittizi, quindi...

No, non sono spazi falsi: i miei ambienti cercano di andare al di là delle normali quattro dimensioni. Sono spazi che forse esistono soltanto all?interno della nostra coscienza. Spazi immaginari, estranei al contesto della realtà. Per raggiungere questi risultati, ho dovuto sperimentare e creare nuovi strumenti espositivi. È per questo che mi rivolgo alle multinazionali, per scoprire quali sono le tecnologie disponibili oggi per poterle rinnovare, spingerle ancora più in là. Ma non ho mai pensato al mio lavoro come una forma di intrattenimento, anche se a volte uso tecnologie e mezzi che vengono dal cinema o dai parchi di divertimento. Gli strumenti sono uguali, ma i metodi sono diversi. La differenza è che l?industria dello spettacolo è costretta a usare quei mezzi, mentre per gli artisti è una sfida, un compito più difficile.

In questo senso il tuo lavoro può essere letto come un commento sull?uso che facciamo della tecnologia.

Il ruolo dell?artista è quello di andare oltre la normale tecnologia. Ad esempio, alla fine del XVIII secolo Ledoux ha immaginato di costruire l?edificio perfetto, una sfera, ma non esisteva ancora la tecnologia necessaria a trasformare il suo sogno in realtà. Il Tempio dei Sogni originale, quello costruito nel 739 dopo Cristo, al quale mi sono ispirata, non doveva essere ottagonale: avrebbe dovuto avere una forma circolare, che era impossibile da realizzare in quell?epoca. Di solito la tecnologia segue le idee e l?immaginazione. Io cerco di invertire il processo. Sviluppo nuove tecnologie per dare vita a nuovi spazi e nuove idee.
Naturalmente la tecnologia dipende molto dall?uso che ne fai: può avere conseguenze terribili. L?importante è ricordare che non viviamo per la tecnologia, ma che al contrario la tecnica vive per noi. Bisognerebbe avere il coraggio di dire al mondo: ?State attenti!?. E agli artisti dovrebbe spettare il compito di scegliere la direzione in cui spingere la tecnologia.

Tu quale direzione hai scelto?

Con Dream Temple volevo creare uno spazio immaginario, che fosse più che altro un ambiente interiore, uno spazio del sé. Allo stesso tempo cerco di collegare questo spazio interno all?esterno: nella cripta ci si trova in un punto in cui la realtà delle quattro dimensioni si intreccia con una serie di realtà diverse. Volevo mostrare il modo in cui la nostra coscienza mescola e intreccia livelli di immaginazione e realtà distanti. Quando guardi un pianeta da lontano, ne percepisci la luce; ma quando ti avvicini, quando atterri sul pianeta, tutto sembra scomparire. Se entri nella luce, la luce si dissolve. Il tempio, con l?animazione grafica e le proiezioni video, dovrebbe condurci a una forma di coscienza in cui ciascuno possa percepire la propria luce. Io credo che ciascuno di noi abbia una luce, dalla quale tutti sono attratti. La tecnologia deve aiutarci a catturare la nostra luce interiore.

Passiamo dall?interno all?esterno, dallo spirito all?immagine: usi gadget coordinati alla Hello Kitty e indossi una maglietta con il logo Mariko Mori...

Mi piacciono le cose divertenti. Mi piace quella sensazione positiva che a volte la cultura popolare può dare, il modo in cui incarna i desideri sociali. Questo è un aspetto che ho imparato ad apprezzare quando facevo la modella. Allo stesso tempo cerco di tenermi a distanza dal quotidiano: non guardo la televisione da un anno, non ho un cellulare. Uso il computer e l?email solo per restare in contatto con la gente. Certo, viaggio in aereo, ma non ho una macchina, non ho nemmeno la patente. Mi piace isolarmi dalla cultura, vedere le cose dall?esterno per poterle osservare meglio. Guardare la terra da lontano.

Mariko Mori è nata a Tokio nel 1967. Ha studiato al Chelsea College of Art di Londra e al Whitney Museum di New York. Dopo una breve carriera da fotomodella si è dedicata completamente all?arte, diventando una delle protagoniste degli anni Novanta. Tema ricorrente del suo lavoro è la rappresentazione di un universo utopico in cui tecnologia avveniristica e tradizione spirituale e visuale giapponese convivono in un?ideale armonia.