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Intervista (1999 - 2000) Anno 4 Numero 18 Aprile Maggio 1999



Samuel Beckett

Georges Duhuit

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Il testo qui presentato è tratto da Trois Dialogues (Minuit), in cui Beckett riassume il contenuto di alcune conversazioni sulla pittura avute con Georges Duthuit. Il testo apparve per la prima volta sulla rivista Transition nel dicembre 1949

Su MASSON
Beckett: Andare alla ricerca della differenza piuttosto che esserne preda. Il tormento di colui che non ha avversari.

Duthuit: Ecco forse perché oggi parla così spesso di dipingere il vuoto, in uno stato di paura e turbamento. (...) "Fare in se stessi il vuoto, prima condizione, secondo l'estetica cinese, dell'atto del dipingere.." Sembra dunque, in realtà, che Masson avverta più dolorosamente di tutti gli altri pittori contemporanei la necessità di gettare l'ancora, ovvero di stabilire i confini del problema da risolvere, Il problema, alla fine.

Beckett: Sebbene io non sia affatto a conoscenza dei problemi che si è posto in passato e che, sia perché li abbia saputi risolvere o per tutt'altra ragione, hanno perso ai suoi occhi ogni legittimità, sento la loro presenza dietro queste tele velate di costernazione, imbavagliate da una competenza che per lui deve essere delle più penose. Sono due vecchi malanni che si devono senza dubbio considerare separatamente: il malanno di voler sapere ciò che si deve realizzare, e quello di volere essere in grado di realizzarlo.

Duthuit: Ma il progetto che oggi Masson si propone apertamente è di ridurre questi malanni, come lei li ha chiamati, a niente. Aspira a liberarsi della schiavitù dello spazio (...) E allo stesso tempo, esige che si riabiliti la categoria del "vaporoso". La cosa può sembrare strana in quest'uomo dal temperamento più prossimo al calore del fuoco che all'umidità. Immagino che lei stia per ribattermi che si tratta della stessa cosa di prima, la stessa richiesta di aiuto dall'esterno. Opaco o trasparente, l'oggetto regna sovrano. Ma come può Masson essere occupato a dipingere il vuoto?

Beckett: Non è obbligato a farlo. Per quale ragione dovrebbe passare da una posizione indifendibile a un'altra, e cercare di giustificarsi sempre sullo stesso piano? Ecco un artista letteralmente impalato sul feroce dilemma dell'espressione. Nonostante ciò si dimena ancora. Il vuoto di cui parla forse * solo la cancellazione di una presenza insopportabile, perché non la si può né sedurre né prendere con la forza. Se questa angoscia dell'impotenza non viene espressa come tale, per se stessa e per quello che vale - anche ammettendo che serva talvolta da stimolo all'impresa che ha impedito - ciò avviene senza dubbio perché, tra tutte le altre ragioni, sembra contenere in se anche l'impossibilità di venire enunciata. Un'altra di queste tendenze eccessivamente logiche. In nessun caso tuttavia è possibile confonderla con il vuoto.

Duthuit: Masson parla molto della trasparenza - dove sguazza a suo agio, in tutta libertà. Senza per questo ripudiare gli oggetti, detestabili o deliziosi, che sono il nostro pane, il nostro vino e il nostro veleno quotidiano, cerca di creare una breccia nelle pareti divisorie tra questi per arrivare alla continuità dell'essere, in genere assente dalla nostra vita quotidiana. In questo è vicino a Matisse (il Matisse del primo periodo, è ovvio) e a Tal-Coat, ma con questa importante differenza: Masson si vede costretto a lottare contro le proprie abilità tecniche la cui ricchezza, precisione, intensità ed equilibrio rimandano direttamente allo stile classico. O forse dovrei dire che ne possiedono lo spirito, visto che all'occorrenza è stato capace di grande versatilità tecnica.

Beckett: Con questo è confermato il tragico dilemma cui l'artista è messo di fronte. Vorrei sottolineare quanto sia interessato alle comodità che la libertà ci procura. Le stelle sono assolutamente superbe, notava Freud commentando la prova cosmologica dell'esistenza di Dio secondo Kant. Vista la sua preoccupazione attuale, Masson non potrebbe creare nulla che i migliori - lui compreso - non abbiano già prodotto (...). Dalle riflessioni estremamente intelligenti che compie sullo spazio soffia lo stesso spirito d'appropriazione che si ritrova nei quaderni di Leonardo da Vinci, il quale quando parla di "disfazione" sa bene che per quanto riguarda lui stesso, non si priverà nemmeno di una briciola. Mi perdoni dunque (...) se mi rifugio nel mio sogno di un'arte priva di ogni risentimento verso la sua stessa insormontabile indigenza, troppo fiera per abbandonarsi a questa farsa del niente per niente.
Duthuit: (...) È davvero necessario deplorare una pittura che, una volta stabilita la nostra condizione di esseri immersi in elementi temporali fugaci, che ci trascinano lontano, ci riconduca invece a una temporalità che non passa, e ci arricchisce?

Beckett: (Esce piangendo calde lacrime)

Su TAL- COAT
Beckett: Il solo ordine che questi rivoluzionari, Matisse e Tal-Coat, siano riusciti mai a turbare è un certo ordine nel dominio del possibile.

Duthuit: Quale altro dominio esiste per un creatore?

Beckett: Nessun altro, secondo logica. Ecco perché evoco un'arte che se ne distacchi con disgusto, stanca dei suoi magri exploits, stanca di pretendere e ottenere potere, stanca di fare un pochino meglio la stessa, eterna cosa, o di compiere qualche passettino in più su una strada tetra.

Duthuit: Quale sarebbe l'alternativa?

Beckett: Esprimere il fatto che non c'è nulla da esprimere, nulla con cui esprimerlo, nessun potere o desiderio di esprimere alcunché, e tantomeno l'obbligo di farlo.

Duthuit: Ma questo è un punto di vista violentemente estremo e personale che non ci aiuta affatto a comprendere Tal Coat.

Beckett: ...

Duthuit: Forse per oggi può bastare.

Su BRAM VAN VELDE
Duthuit: Parla di un'arte diversa da tutta quella creata fino ad oggi. Facendo questa distinzione radicale pensa a Van Velde, vero?

Beckett: Sì. Credo sia il primo ad accettare una certa situazione e a compiere un certo atto.

Duthuit: È troppo chiederle di enunciare ancora una volta e nel modo più semplice la situazione e l'atto a cui si riferisce?

Beckett: La situazione è quella dell'uomo senza potere che non può agire, e nella circostanza non può dipingere, ma è obbligato a farlo. L'atto è quello dell'uomo senza potere, incapace di agire, che agisce, e nella circostanza dipinge, perché è obbligato a dipingere.

Duthuit: Perché è obbligato a dipingere?

Beckett: Non lo so.

Duthuit: Perché è incapace di dipingere?

Beckett: Perché non ha nulla con cui dipingere e nulla di cui dipingere.

Duthuit: E secondo lei da ciò deriva un nuovo ordine per l'arte?

Beckett: Non vedo nessuno, tra coloro che consideriamo grandi artisti, che non si ponga come preoccupazione dominante le possibilità d'espressione, le sue proprie, particolari, quelle della sua arte e quelle dell'umanità. Il dominio del creatore è il dominio del fattibile - la pittura riposa interamente su questo postulato. Quel molto che si può esprimere, quel poco che si può esprimere, il potere d'esprimere molto, il potere di esprimere poco si confondono in un'unica aspirazione, esprimere il più possibile, o nel modo più veritiero possibile, o nel modo più bello possibile, secondo i mezzi che...

Duthuit: Un momento. Da ciò devo arguire che la pittura di Bram Van Velde è inespressiva?
Beckett: (Quindici giorni dopo) - Sì.