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Juliet Anno Numero 93 giugno '99



Digital Touch

Gianni Romano



Art magazine
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Joseph Squier - the place

Le ragioni della odierna diffusione del digitale vanno ricercate nei suoi effetti, più che nell'annosa contrapposizione tra idea e materia, tra oggetto e pixel. La digitalizzazione della fotografia e di media qual video, film e televisione, è da valutare innanzitutto per i risultati che l'alleggerimento delle immagini rendono possibili. L'immagine digitale è unica non solo perché è autonoma rispetto ai supporti analogici, ma soprattutto per il suo sistema di distribuzione che permette l'interconnessione di vari strumenti a dei network elettronici. Tutto questo facilita anche la manipolazione dell'informazione digitale che - se da una parte permette un rapporto più attivo tra produttore e consumatore, tra artista e pubblico - per altri versi pone una nuova serie di problemi che vanno al di là dei rischi legali della manipolazione d'immagini o contenuti non autorizzati. Il Novecento ha definitivamente relegato alla storia la contrapposizione tra le pratiche tradizionali dell'arte e l'immaterialità sposata dalla digitalizzazione dei media. Arte e tecnologia hanno fatto insieme tanta di quella strada da rendere inutili le preoccupazioni sulla caratteristica riproducibilità dei nuovi media. Le riflessioni di Benjamin, o meglio, le frequenti cattive interpretazioni sulle sue riflessioni, appaiono ormai scontate. La cultura digitale (la tecno-cultura, la terza cultura) ha prodotto dei processi irreversibili nella nostra società, così il prodotto dell'incontro tra arte e scienza, diviene una cultura finalmente popolare e si basa sul fatto che la tecnologia ha invaso il nostro ambiente culturale oltre ad entrare a far parte del nostro ambiente domestico.
È ormai evidente che il digitale non rappresenta una minaccia per la natura essenzialmente autonoma dell'arte e, d'altra parte, basterebbe ricordare quanto lo stesso Walter Benjamin scriveva a proposito della fotografia: "La natura che si rivela all'obiettivo dell'apparecchio fotografico è diversa da quella che parla all'occhio". Anche attraverso il digitale, l'opera d'arte produce una seconda realtà, modifica la nostra comprensione del mondo reale. Le incomprensioni che circondano ancora oggi il digitale derivano piuttosto da chi non ha ben chiara l'altra faccia della medaglia; e cioè, che è la realtà stessa ad essere ormai cambiata. L'era digitale richiede una diversa percezione delle cose, la consapevolezza di potere manipolare l'informazione in spazi virtuali, ma che generano significato (come succede in rete), la consapevolezza dell'essere passati da una comunità geograficamente e socialmente limitata ad una comunità globale. La caduta delle ideologie forti ha portato allo sviluppo di analisi critiche più soggettive che oggi ci permettono di negoziare l'informazione, sono cadute le logiche lineari a favore di una lettura sincretica delle dinamiche decentrate di una realtà che rimane frammentaria. "Credo che ci troviamo all'inizio di una nuova epoca". Scrive Ilya Prigogine su Teléma: "La scienza classica poneva l'accento sulla stabilità, sull'equilibrio; ora, a tutti i livelli di osservazione, ci imbattiamo in fluttuazioni, biforcazioni, processi evolutivi. L'ideale classico consisteva in una visione geometrica della natura; ora vediamo che in essa giocano un ruolo essenziale elementi che possiamo definire narrativi. Arte e scienza hanno prodotto una nuova cultura delle possibilità che comprende verità, bellezza, significato, ma soprattutto nuove opportunità di comunicazione. Gli artisti contemporanei, a loro volta, ci hanno ormai abituato a considerare l'insieme di pixel come una raccolta d'immagini inscritta nella memoria, a tracciare paralleli tra la tecnologia dei computer e quella tracciata nelle doti genetiche delle nostre reti neurali.
È riduttivo, dunque, pensare al digitale solo come ad un insieme di strumenti elaborati dall'uomo per facilitarsi la vita. La fotografia digitale, ad esempio, è qualcosa di più che una fotografia senza pellicola; non testimonia soltanto il passaggio dall'atomo al bit, da un mondo materiale di oggetti tangibili ad un insieme di zero e uno. Il digitale esalta quel potenziale alchemico che è già insito nel medium fotografico; le sua capacità di trasformazione del reale (che l'artista rispetti o meno l'iconografia delle apparenze); l'attitudine alla manipolazione di ciò che appare; la possibilità di sembrare specchio del reale, nascondendo tuttavia le sue armi migliori, che permettono la distorsione del nostro narcisismo contemporaneo. Proprio perché il digitale è più facile, è più veloce, sarà più facile per i suoi interpreti più veri dichiararsi impostori del reale: continuare la lezione duchampiana, contrastarla magari dopo avere letto Philip K. Dick e William Gibson, smontato i film di Lynch e dei Coen, imparato che la creatività è nemica dell'arte e che le possibilità della tecnologia non sono garanzia di qualità poetica. Gli strumenti dell'arte non sono il linguaggio dell'arte. Persino Peter Greenaway, nonostante il suo profondo interesse per la tecnologia, definisce, in un intervista in cui parla di sé stesso in terza persona, i confini di un sano atteggiamento nei suoi confronti: "Io credo che Greenaway, nonostante proclami questo grande amore per la tecnologia, pensi anche che, tutto sommato, sia necessario confrontarsi con l'uomo, la mente, l'artista, che si trova dietro, sopra, prima, e in maniera più forte della tecnologia."
La rivoluzione digitale non è solo il risultato dell'upgrade tecnologico della nostra società; è il prodotto di una nuova mentalità, di una nuova cultura, di una società che sta lentamente adottando le procedure operative della comunità globale. Lo sviluppo di queste opportunità è più significativo di ogni singola scoperta tecnologica. Questo sembra essere il cavallo di battaglia di artisti che lavorano con i nuovi media come Antoni Muntadas o come Joseph Squier che scrive: "Si parla molto della natura rivoluzionaria della computeristica nell'arte ma, secondo me, il computer è solo metà della rivoluzione. Ancora più importante è che macchine e computer siano collegati e che i loro utenti possano parlarsi. Internet, questo è il vero aspetto rivoluzionario della mia esperienza come artista che usa un computer".
Nel '900 gli strumenti dell'arte si sono moltiplicati procedendo per strade parallele all'arte - com'è successo per lungo tempo alla fotografia e al cinema - oppure creando degli ibridi significativi (vedi la storia del video dagli anni Settanta ad oggi). In effetti, se guardiamo alla storia dell'incontro tra arte e tecnologia, il digitale ci appare soltanto come l'ultimo e più completo standard procedurale che riguarda i media, la comunicazione. Tutto sembra diretto verso un futuro fatto di velocità della comunicazione (una dinamica in atto alla quale si possono benissimo applicare le tesi dromologiche proposti da Paul Virilio, ad esempio) e lo strumento più visibile di questa nuova realtà e senza dubbio Internet. La grande rete mondiale assume le connotazioni visive di un interfaccia cinematico, uno schermo sul quale scorrono in continuazione rappresentazioni verbo-visive di un mondo in cui ognuno è editore e montatore del proprio spettacolo secondo esigenze inedite. In questo panorama mediale, rispetto all'overload visivo, l'artista ha il dovere di rappresentare una specie di filtro selettivo che migliori qualitativamente le possibilità dialogiche e, possibilmente, ne inventi di nuove. Eppure, soprattutto in rete, la maggior parte delle volte ci troviamo di fronte ad opere d'artista deludenti nelle quali la componente tecnologica sembra essere l'unico contenuto plausibile, un'attitudine che Joseph Squier descrive come "infatuazione tecnofila per gli strumenti". Si tratta di un problema alquanto datato e riteniamo tuttora valida la risposta di Bertold Brecht, secondo il quale, l'arte non è uno specchio con cui riflettere la realtà, ma un martello con cui darle forma. Oggi solo qualche entusiasta potrebbe affermare che i nuovi media hanno cambiato il modo in cui l'arte viene distribuita, il modo in cui vediamo l'arte. Ma non è escluso che, se tutti i canali d'informazione verranno digitalizzati - come sta succedendo - ci sarà sicuramente una trasformazione dei modi in cui l'arte è percepita. Se si pensa al fatto che i cambiamenti in atto già influiscono sui nostri concetti di tempo, spazio e comunità, hanno già inizializzato il nostro archivio mnemonico, hanno cambiato le caratteristiche con le quali distinguiamo tra pubblico e privato... come si può negare che tutto questo non arrivi anche ad influenzare il nostro modo di vedere l'arte?
Gianni Romano