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Juliet Anno Numero 93 giugno '99



ARMIN LINKE

a cura di Antonella Berruti



Art magazine
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http://www.arminlinke.com/instantbook.htm

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Se esiste, che cos'è l'opera d'arte?
-Credo che l'opera d'arte esista indipendentemente dal museo, dalla galleria e dall'idea di collezione. L'opera d'arte dovrebbe contenere una potenzialità di shock, di catarsi, di apertura.

Anche se la tua amica P.P. sostiene che il tuo è un lavoro sulle cose, io credo invece che sia un lavoro intorno all'uomo, però è anche vero che le tue immagini del corpo tendono a trasformare l'uomo in una cosa. Non a caso in occasione della presentazione di Instant Book, nella galleria di Jeffrey Deitch a New York, Oliver Zahn ha scritto: "Non c'è più soggetto, non c'è più sessualità, non c'è più l'umanità in queste immagini estratte da un mondo avvenimento mediatico, ma un'economia libidinale che supera da ogni parte il soggetto, la sessualità e la fotografia in sé stessa". Baudrillard sostiene che il corpo è materiale strutturale scambio/segno e in proposito mi viene da pensare allo spot di L'Oréal in cui Claudia Schiffer o Kate Moss dicono: "Io valgo e anche tu".
-Ho fotografato Claudia Schiffer, mi piacerebbe fotografare Kate Moss. Il progetto di libro, mostra e slideshow "Instant Book" è incentrato sul tema del corpo e d'altra parte tutto il mio lavoro muove dall'idea di ritratto e orbita intorno al rapporto tra l'uomo e il suo ambiente di vita, di lavoro, di rappresentazione. Anche quando fotografo oggetti e paesaggi, come in questo ultimo progetto, che ho chiamato Global, m'interessano in quanto relazionati all'uomo, poiché penso alla natura, alle cose sempre in connessione al corpo: a come l'uomo deve modificare il suo sistema di vita biologico, psicologico e sociale in relazione all'ambiente; la lingua tedesca copre questo concetto di cambiamento, inteso come qualcosa che crea una densità psicologica da risolvere con il termine "anpassung", che esprime appunto la capacità di adattarsi.

A posteriori Instant Book appare nella geografia del tuo lavoro come una sorta di spartiacque, se non teorico, certamente visivo: dal corpo umano sei passato al paesaggio umano, al territorio. Raccontami invece di Global a cui stai attualmente lavorando.
-Global è una raccolta di immagini, di luoghi, dove il cambiamento radicale del paesaggio operato dall'uomo induce nello stesso una modificazione della vita. Ho fotografato, ad esempio, il cantiere della diga delle Tre Gole in Cina, sulloYangtze dove due milioni di persone verranno trasferite: se ci pensi è come costruire ex novo una città come Milano.

Credo che la fotografia sia un mezzo privilegiato, nel senso che può ancora fare riferimento alla committenza; so che fai servizi di moda e produci immagini funzionali al lavoro di altri artisti: senti che c'è una differenza di approccio tra l'oggetto che scegli di fotografare e quello che ti viene commissionato?
-Non c'è differenza, cerco sempre di fotografare con lo stesso atteggiamento. Sono ossessionato dall'idea di archivio: non cedo mai i negativi; prima di accettare un lavoro mi pongo il problema se varrà la pena di archiviarlo e se ha prerogative per essere letto in un altro modo rispetto alle finalità funzionali alla committenza. Non ho mai accettato un lavoro che non mi lasciasse la libertà di trattenere gli originali, con lo scopo di riutilizzarli organizzandoli in nuove combinazioni da immettere in diversi canali di distribuzione. Il libro 1048 edito da A&Mbookstore è costituito da immagini estratte dal mio archivio digitale, che sono state impaginate senza l'intervento umano, utilizzando un programma chiamato Debabelizer in grado di creare una sequenza casuale in base ai titoli, ai nomi che la mia assistente ha dato ai files.

Hai detto che ti interessa la superficie. Barthes sostiene che viviamo in mezzo alla semiosi e che il semiologo è colui che quando va in giro per la strada, là dove gli altri vedono fatti e eventi, egli scorge la significazione. Anche tu intendi la superficie come l'indizio cui aggrapparsi per afferrare ciò che è più volatile?
-Un amico mi ha chiesto: "Vuoi fotografare il paesaggio del mio viso prima che si trasformi?"

Contrariamente a artisti come Cindy Sherman o, meglio, James Casebere, che attraverso il mezzo fotografico tramutano "in realtà" i simulacri di essa da loro costruiti, il tuo lavoro attuale sembra interessato a cogliere gli aspetti finzionali contenuti nella realtà, tanto che talvolta le tue fotografie sembrano fotomontaggi. Entrambi, seppur antiteticamente, tendete ad annullare il dislivello tra realtà e finzione.
-Mi interessa quando il falso è più vero del vero e quando il vero è più falso del falso: sono in cerca di realtà talmente vere da sembrare finzionali. Di fatto il tema di base del mio lavoro rimane l'antitesi o la sintesi di realtà e finzione: dichiarando opera o performance un soggetto o un oggetto o un'azione reale tendo necessariamente ad annullare il dislivello tra realtà e finzione.

Che ruolo ha avuto, se ne ha avuto uno, la tua formazione teatrale?
-Il teatro c'entra. Credo di fotografare la realtà come se fosse una messinscena oppure estrapolo dalla realtà immagini come se scegliessi alcuni fotogrammi da un film. Tendo a creare una sorta di drammaturgia: metto in scena un ponte scegliendo un punto di vista che faccia perdere le dimensioni, le scale attraverso cui ci costruiamo il concetto di realtà. La fotografia è un mezzo per mettere in scena la realtà, una realtà talvolta così estrema e surreale da sembrare messinscena. In questo senso il libro o la mostra sono intesi come una sorta di palcoscenico per far vivere dei teatri un po' assurdi, costituiti da immagini eterogenee tratte dal mio archivio o, più recentemente, accostando quei luoghi del mondo in cui l'uomo ha agito così radicalmente da farli sembrare paesaggi di fantascienza.

Spesso tu tenti di dare prospettive diverse dello stesso soggetto, quasi non volessi adottare nessun punto di vista o, piuttosto, adottare infiniti punti di vista.
-Vorrei riuscire a fotografare dal punto di vista del soggetto fotografato, un concetto zen: arrivare al punto fisicamente impossibile di avvicinamento voyeuristico; vorrei potermi spostare alla stessa velocità del soggetto o potermi muovere attorno a esso durante la sua traiettoria. Tutte le tecniche possibili sono giustificate da questa mia necessità. È importante creare più livelli di lettura perché ciò conferisce all'immagine l'ambiguità e l'indeterminazione che consentono, o meglio inducono, l'osservatore a rielaborare l'informazione.

Per quali artisti hai lavorato?
-Amedeo Martegani, Vanessa Beecroft, Miltos Manetas, Marco Boggio Sella, Paola Pivi. Frequentarli è stato utile alla mia ricerca perché ha reso più duttile il mio mondo, un mondo che già esiste e io sto viaggiando per trovarlo.

Come vorresti che si ponesse l'osservatore di fronte alle tue fotografie?
-Vorrei che le mie fotografie venissero lette come fumetti, come filmati: associando le immagini colui che guarda può trovare la sua storia; non voglio dare certezze. La buona fotografia talvolta si ottiene perdendo completamente la coscienza del momento che stai vivendo durante lo scatto, in genere si tratta di fotografie scattate senza sicurezza, in movimento, come quelle scattate dall'automobile o che necessitano di tutta l'immediatezza possibile... trovo fantastiche le foto che mancano di volontà estetica come quelle dei paparazzi. Si tratta comunque di una perdita di coscienza cercata, preceduta da una decisione.
Antonella Berruti