L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

CTRL Anno 6 Numero 56 febbraio-marzo 2015



Zingonia è il futuro

Nina Foggia

Reportage





SOMMARIO N. 56

p. 5 – L’italiano è bastardo
p. 7 – La sindrome di Ulisse
p. 9 – Renzo, Donatella, Zingonia

p. 11 – Zingonia è il futuro. Reportage

p. 36 – Wunderkammer: Ornitorinco Star

p. 38 – Intervista a Niccolò Machiavelli

p. 42 – Cult: Testimoni di Geova

p. 46 – Saffi & Co: In tempo di crisi la lesbica (con)viene

p. 48 – L’angolo dei culi infranti: Perché lavorare in un call center?

p. 50 – Pornopsicologia femminile: Fidanzata in premestruo e calzino bianco

p. 54 – Interessanto: San Davide del Galles

p. 57 – Cinema: Birdman

p. 58 – Urban Sound

p. 61 – Saporismi: #caponatagate

p. 63 – C’è Gente Che Dicono (& Scrivono)

p. 79 – Tazze di Tèatro

p. 80 – Oroscopo adesivo
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Non parlarmi d'amore
Nicola Fenino
n. 54 novembre-dicembre 2014

CONTRO
Sean Blazer e Nicola Fenino
n. 53 settembre -ottobre 2014




RENZO, DONATELLA, ZINGONIA

Estate 1963: l’Atalanta batte 3 – 1 il Torino e vince la Coppa Italia.
Renzo Zingone, imprenditore romano, quell’anno decide di costruire una città: acquisisce un terreno di 500 ettari tra i comuni di Osio Sotto, Boltiere, Verdello, Verdellino e Ciserano: “zone depresse” secondo la legislazione italiana (dunque grossi sgravi fiscali).

Zingone, negli anni ’30, apriva delle succursali dell’azienda del padre in Etiopia ed Eritrea; nel 1949 intraprendeva la costruzione di infrastrutture pubbliche in Venezuela; nel 1955 acquisiva a Milano una piccola banca, che sarebbe diventata l’importante Banca Generale di Credito; nel 1958 trasformava, in 6 anni, una zona paludosa a Trezzano sul Naviglio nel moderno “Quartiere Zingone”.

Il progetto di Zingonia (il padre di Renzo, Gennaro, in una lettera del 1930 raccomandava ai figli “la sempre maggior valorizzazione del nostro nome”) è pronto nel 1964; si avvia subito la costruzione delle scuole elementari e dell’asilo nido; poi è la volta di un obelisco, issato in mezzo a una rotonda: da allora sarà conosciuta come piazza del Missile; intorno al Missile-Obelisco crescono 6 palazzine: Anna 1, 2, 3, su un lato, sull’altro Athena 1, 2, 3 (è del 2011 il progetto di abbattimento delle sei torri, invase dal degrado e dallo spaccio, mezzevuote per il gran numero di case all’asta).
Dal Missile uno stradone a 4 corsie conduce verso Piazza Affari, con le palazzine gemelle Barbara 1 e Barbara 2, la più larga che alta Bettina, e il Grattacielo.
In questa zona c’era l’ufficio di Zingone; nel 1965 si presenta qui una ragazza dei dintorni: è bella, volitiva, parla 3 lingue. Si chiama Donatella.

Il progetto di Zingonia prevedeva 50 mila abitanti. Oggi ne conta circa 4 mila. Doveva essere dotata di un eliporto. E di un porto franco, per congiungere il naviglio milanese a Bergamo e dunque a Venezia e Trieste. Alcune sue zone, oggi, sono un porto franco dello spaccio di droga, a pochi metri da una caserma dei carabinieri. Nata per sconfiggere il pendolarismo, fu da subito meta dell’emigrazione meridionale. Oggi più della metà della popolazione è straniera. Non ha un comune. Ha l’aspetto di un quartiere metropolitano, atterrato in mezzo a 5 paesini. Una periferia senza un centro. Un’utopia razionalista degli anni ‘60. Un laboratorio di futuro, con culture, lingue e religioni che si incontrano sullo stesso pianerottolo.
Donatella diventerà la seconda moglie di Renzo. Avranno due figli: Cesare e Zingonia Zingone. A metà degli anni ’70 si trasferiranno in Costa Rica, mentre in Italia si faranno sentire i colpi della crisi petrolifera e le bombe dei terroristi. Lì costruiranno insieme un impero: il “Gruppo Zeta”. Renzo morirà nel 1981. Donatella erediterà l’impero e sposerà Lamberto Dini, presidente del Consiglio tra il 1995 e il 1996.


ZINGONIA È IL FUTURO

Ciserano, inizio anni '60. Sulla Francesca, la strada che taglia in due il paese e che anticamente congiungeva Milano e Aquileia, viene eretto un enorme cartello. Un uomo illustrato, giacca e cravatta, capelli e baffi chiari, indica una scritta: “Qui nasce Zingonia, la nuova città”. Quello che oggi gli esperti di comunicazione chiamerebbero un “teaser”, un'anticipazione di qualcosa che sta per arrivare ma ancora non si sa cos'è.
Pochi anni dopo Zingonia esiste. “È una città. Una città nuova di zecca. L'ultima nata in Italia, costruita dal nulla. [...] Quando sarà finita, fra quattro o cinque anni, potrà ospitare 50.000 abitanti, lo stesso numero su cui è stata progettata Brasilia”, dice un enfatico servizio RAI, accompagnato da meravigliose riprese della città e dei suoi modernissimi spazi. Il futuro. A idearlo Renzo Zingone, un visionario, un imprenditore, un Olivetti dell'edilizia, che però non somiglia all'uomo del cartello: è un signore di mezza età, calvo, l'accento romano mascherato da un tono di voce quasi robotico. Pronuncia le parole “stabilimenti”, “comodità”, “prospettive”, da bravo venditore di un prodotto, di una brochure bancaria ma fatta di cemento, strade, capannoni che stravolgeranno per sempre l'identità del territorio.
Sono passati cinquant'anni e i termini con cui Zingonia viene descritta sui media non sono più gli stessi: “le torri del degrado”, “da polo residenziale a suk”, “cumuli di rifiuti e spaccio a cielo aperto”, “disperazione”. “Paura”.
I più illuminati guardano al passato e danno la colpa al masterplan originale, che prevedeva una città divisa su cinque comuni e dunque praticamente ingovernabile.
Il pensiero condiviso da gran parte del popolo è più salviniano: “Zingonia fa schifo, tutto da buttare giù”. Gli stranieri, “i musulmani”, “i marocchini”, tutti a casa.
Ma avvicinandoci alle spaventosissime torri, entrando nei bar, nelle case, nelle scuole, abbiamo scoperto che anche se l'utopia di Zingone è fallita, oggi Zingonia è un laboratorio sociale complesso e sorprendente: e se avrà l'attenzione che merita, potrebbe diventare una delle prime molecole del futuro di Bergamo. E non solo.

BARBARA 1
palazzo


Fu costruito nel 1969, anno dell'allunaggio dell'Apollo 11. Il “Barbara 1” “Era il clou di Zingonia: un palazzo destinato ai dirigenti delle aziende, con soluzioni avveniristiche per l'epoca: tutti gli appartamenti avevano una porticina dove infilavi il sacchetto della pattumiera. E poi qui intorno c'erano servizi, c'era il verde, c'era il tennis club dove venivano attori e personaggi famosi da tutta Italia, c'erano le serate danzanti del Bar Piccadilly”, ci racconta Roberta Galluzzo, che è arrivata qui nel 1992. Il Barbara 1 oggi è abitato da un centinaio di condomini, quasi tutti stranieri: senegalesi, pakistani, marocchini, qualche indiano e nigeriano. In pochi pagano le bollette e il mutuo. Ma i guai sono iniziati con gli inquilini degli attici, tutti e due morosi e di nazionalità italiana: “Quando la signora è andata fuori di casa le ho gridato «Barbona vai fuori dai coglioni!» dal balcone, eh figaro, trentamila euro di mutuo non pagato aveva lasciato”. E ora? “Dobbiamo andare a bussare casa per casa, a volte chiedi dieci euro e ti dicono che non ce li hanno, son dentro in venti, lavorano tutti e non hanno dieci euro! È una battaglia quotidiana”. Qualche anno fa per 20 giorni è stata tolta l'acqua, “Ero disperata, non sapevo come fare. Loro, le donne africane, andavano alla fontanella pubblica e si caricavano tranquillamente venti litri sulla testa ma io non ce la facevo”. Roberta vive al settimo piano, e deve per forza arrivarci a piedi perché dal gennaio del 2004 l'ascensore non funziona: “Mia mamma sono undici anni che non viene qua”. Sempre nel 2004, un giorno le arriva una lettera dalla società che gestisce il gas: per il “principio di solidarietà” (una legge rimasta in vigore fino al 2013) avrebbe dovuto pagare lei i 36.000 euro di bollette arretrate del condominio, pena il pignoramento della casa. Roberta ingaggia una battaglia legale e mediatica, coinvolge l'Eco di Bergamo, l'articolo esce in prima pagina, lei la fotocopia e la manda a tutte le testate nazionali: “Quelli dell'ufficio postale hanno pagato loro la spedizione, mi hanno aiutato”. Scrive a Scalfaro, riesce a contattare il ministro Castelli, il Senatore Valerio Carrara (IdV) va a casa sua. Insomma, tira in piedi un casino tale che alla fine la società del gas rinuncia a rivalersi su di lei, madre single con una figlia minorenne a carico: “Dalla sede francese hanno capito che umanamente avevano toppato”.
Roberta, comunque, esce da tutta la vicenda provatissima: “Io ci ho rimesso personalmente, mia figlia era esaurita, il mio fidanzato se n'è andato, loro davano la mia battaglia per persa”. Anche oggi, con l'assegno di disoccupazione in scadenza a maggio, Roberta continua a lottare per sé, per il condominio e per Zingonia. È stata lei a contattare la cooperativa che gestisce il progetto “Zingonia 3.0”, che con la collaborazione di tante persone tra cui Maurizio Bianzini, amministratore di condominio molto impegnato nel sociale, e Giuseppe Maci, sindaco di Verdellino, ha lanciato un progetto di recupero partecipato del condominio: con l'aiuto di alcune imprese della zona e la collaborazione di molti inquilini, sia italiani che stranieri, sono stati aggiustati i citofoni, la porta, sostituiti i vetri rotti, reimbiancate le pareti. Salendo le scale abbiamo incontrato Madiop Mbaye, Mussa Diop, Kane Papa, Nyang Pathem, Diop Mustapha, senegalesi, e Rizwan Butt, pakistano che vive al quinto piano e somiglia un po' a Giovanni Lindo Ferretti. Ci ha fatto entrare in casa e offerto del buonissimo tè cremoso mentre alla tv davano soap indiane e un suo amico se ne stava accoccolato sul divano. Non abbiamo parlato tantissimo, però abbiamo capito che era un tipo di una tranquillità estrema. Un estremista della tranquillità.

LA SIGNORA RITO
72 anni, ex proprietaria dell'albergo Piccadilly


“Pensione moderna con posizione tranquilla
Ambiente familiare
Sala televisione e giochi
Camere con moquettes e terrazze – Bagni e docce
Qui vi troverete come a casa vostra”.
Volantino promozionale dell'albergo Piccadilly, anni '70

La casa della signora Giovanna Rito, al secondo piano del palazzo Barbara 1, è una bolla dentro il mondo di Zingonia. Un appartamento curatissimo, completamente ristrutturato: i due balconi, trasformati in verande chiuse (“Così posso stare tranquilla anche con quelli di sopra che buttano giù di tutto”) ricordano un po' gli ambienti delle case inglesi, con piante, sedie e tavolini da tè. La signora Rito e suo marito Osvaldo Trottolo, tarantini, sono arrivati qui nel 1971: “Mio marito lavorava già in un albergo a Napoli e gli fecero la proposta di diventare direttore del Piccadilly. Quando vidi questo viale stupendo, pulito, gli alberi bassi, un verde che nelle città non si vede, io mi innamorai subito”. Si trasferirono e dopo pochi anni acquistarono l'albergo, il bar e due appartamenti, in blocco: “Allora si facevano le cambiali”. La signora Giovanna ci mostra alcune foto di una giornata di metà anni '70 in cui posa con il suo cagnetto di allora, “Bimba”, all'interno dell'albergo; immagino le moquette e le tappezzerie optical sbiadire e venire sostituite da più sobri parquet, piastrelle e tessuti con motivi floreali che compaiono in un volantino degli anni '90. Infine, nel 2006, è la signora Rito a sparire dalle foto: otto anni fa albergo, bar e appartamenti sono stati venduti a degli egiziani. Ma lei non è riuscita ad andare via da Zingonia: “Ho visitato appartamenti anche da altre parti ma non erano belli come questi. E poi mi sentivo un'estranea”. La signora Rito partecipa ai lavori di sistemazione del Barbara 1 al fianco degli altri condomini, sembra fiduciosa nel futuro: “Le cose cambieranno, adesso iniziamo a fare le cose piccole, un po' per volta”.

ZINGOGANG
Duo hip hop


“Ci conosciamo fin da piccoli, siamo nati tutti e due il 2 febbraio. Tra pochi giorni faremo 20 anni”, racconta Mister Tao, uno dei due membri della Zingogang, gruppo hip hop che spopola a Zingonia ma anche su Youtube (il video di “The first time” ha più di 250.000 views). Tutti qui li conoscono e li ascoltano, dagli spacciatori ai ragazzi che frequentano la scuola di Verdellino-Zingonia (nella classifica personale di Amin, uno dei figli di Kacem -di cui si parla qualche pagina più avanti-, la Zingogang è al primo posto davanti a Fibra e Emis Killa). Mister Tao (Redion Gangi) ricorda un po' Gué Pequeno ma è più simpatico, M-Boss (Mohamed Sy) è un ragazzo dagli occhi timidi e ci tiene a non essere accomunato a quel picchiatello di Bello Figo Gu, anche perché i suoi testi sono decisamente meglio (es. “Più spacco e più mi odi / Negro al 100% / Svizzero? / No, Novi”). Li incontriamo al bar Silver, chiacchieriamo del più e del meno, dagli Illuminati che secondo loro governano il mondo ai progetti per il futuro. L'approccio alla musica è iper-imprenditoriale e consapevole: Lorenzo, loro amico e manager, spiega che l'obiettivo della Zingogang è arrivare al successo ma senza compromessi e senza rinunciare all'identità di zingonesi, anche se sa benissimo che non sarà facile. I video delle canzoni alternano a momenti di classico immaginario hip-hop (soldi club pistole macchinone ragazze etc.) scene di vita di gruppo un po' gangsta ma anche molto tenere. Redion, Mohamed e Lorenzo non hanno problemi ad ammettere di essere dei ragazzi tranquilli. “Per noi l'amicizia è tutto. Zingonia ci ha fatto essere uomini, ci ha fatto crescere, è anche merito della multicultura. Noi siamo stretti, uniti come una famiglia. La cosa bella è che quando sbucheremo potremo dire che ci siamo fatti da soli in un paese dove c'era la crisi”.

ALBERTO
44 anni, insegnante di religione


Da sette anni Alberto Daminelli insegna storia della religione alla scuola media di Verdellino-Zingonia. Siamo andati a trovarlo dopo aver letto del suo progetto “Molte fedi sotto il cielo di Natale”, in cui gli alunni della scuola, che ha una delle percentuali di ragazzi stranieri più alte in Italia (il 45%), hanno costruito i modellini dei luoghi di culto di tantissime religioni del mondo. Le piccole chiese/pagode/moschee/templi sono esposte nell'atrio. “È uno dei tanti modi che uso per favorire il dialogo e coinvolgere tutti i ragazzi, soprattutto i musulmani. I loro genitori all'inizio vedevano l'ora di religione come un momento di indottrinamento, ma poi sono riuscito a convincerli a rimanere in classe, ovviamente se la lezione non è all'ultima ora”, ride. Alberto è una persona di estrema sensibilità, capace di farsi carico delle tante contraddizioni che emergono ogni giorno lavorando con classi miste. Mi sfiora un pensiero quasi utilitaristico: che umani come lui siano necessari perché come degli airbag riescono ad assorbire gli urti inevitabili tra diverse culture, ed attutirne il dolore. Durante la conversazione affrontiamo anche un tema osticissimo, quello della condizione delle donne musulmane, e di come viene vissuta in classe.
“Da parte delle ragazze italiane c'è rispetto e solidarietà verso le ragazze musulmane. Non ho mai capito se dall'altra parte questa solidarietà viene vissuta come pietà... credo ci sia anche molta invidia. Vedo i loro occhi, a me piace guardare le relazioni delle persone con gli occhi, da una parte c'è rispetto, dall'altra penso... Se avessero la possibilità di togliersi il velo se lo toglierebbero subito”. Ma esiste una soluzione? “Io penso che anche l'Islam prima o poi attraverserà un processo come quello attraversato dal cattolicesimo con l'Illuminismo, noi possiamo solo aspettare”.

DON ALBERTO
38 anni, curato


“Una volta dicevo «Vorrei andare in missione», e ci sono arrivato, anche se non sono andato lontano”, ride Don Alberto, di Dalmine (frazione di Sforzatica Santa Maria), dal 2011 curato di Zingonia.
“Quando m'han detto che mi avrebbero trasferito qui sinceramente non ho pensato a nulla, se non che ci passavo tutti i sabati con la moto. Non avevo pregiudizi; solo mio papà era un po' preoccupato vista la fama del paese”. Invece “l'accoglienza è stata molto calorosa, anche perché Zingonia è molto diversa da Verdellino, che è un classico paese bergamasco. I parrocchiani vengono quasi tutti dal sud Italia, sono arrivati negli anni '60, con la prima ondata di immigrazione”. E con i musulmani che rapporto c'è? “Non c'è molto contatto. Non ci vediamo con gli Imam, però in parrocchia cerchiamo di essere aperti al dialogo interreligioso, per esempio ora forse faremo un corso di arabo. Sono operazioni che bisogna sempre condurre con grande sensibilità e attenzione”.
Don Alberto è un personaggio incatalogabile: un po' Grande Lebowski un po' biker (ha un'Harley Davidson che sta facendo aerografare, ci fa vedere al computer i layout della scritta “God Bless You”), conduce un'esistenza fatta di emozioni molto intense, come quando visita le case del posto “che ricordano le baraccopoli del Sudafrica o della Colombia, dove ho fatto esperienze in passato”, alternate anche a momenti di vuoto e solitudine, soprattutto dopo una certa ora: “Il primo giorno qui me lo ricordo bene: ero arrivato da Romano di Lombardia, dove all'oratorio c'è sempre un viavai di persone, a un quarto alle nove sono uscito a fumare una sigaretta. Il deserto. Ho pensato «E adesso che faccio?».

KACEM
44 anni, barista


Il bar Marrakech affaccia su Piazza Affari, quella che una volta era il “ritrovo chic” di Zingonia. Kacem, il barista, ci ha accolto da subito con un gran sorriso e ci ha offerto diversi bicchieri di buonissimo tè alla menta. "Ho capito subito che siete giornalisti", ci ha detto, "Qui entra un italiano ogni sedici giorni. E di solito è uno della Finanza". Kacem è un gran parlatore, la sua famiglia, ci racconta, è importante a Fès, una famiglia con una tradizione di sinistra. "Abbiamo la politica nel DNA: mio fratello è un membro del «Partito Democratico» del Marocco", l'Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP). "Nel 1990 di notte appendevo manifesti per le strade e ho partecipato allo sciopero generale contro il governo. Abbiamo bruciato tutta la città, un casino. Sono stato in prigione tre giorni, mi hanno riempito di botte. Rischiavo 15 anni". Kacem è in Italia dal 1995 e ha sempre lavorato nell'edilizia come libero professionista, "Avevo seminato un buon raccolto, poi nel 2008 è arrivata la grandine", cioè la crisi, “e allora per non rimanere a casa ho deciso di prendere il bar. Ma vorrei tornare a fare il mio lavoro, gestire le persone che vengono qui è faticoso, ci sono anche quelli che sputano per terra, succede davvero, io mi vergogno. Vorrei che tutti si comportassero in modo civile”. Kacem abita in una delle “quattro torri”; ci ha invitato a casa sua, dove abbiamo conosciuto tutta la famiglia: la moglie Karima, i figli Amin, Youssef, Najwa, Maryem, Nisrin. Anche se mancava il riscaldamento c'era molto calore. "L'anno scorso siamo tornati in Marocco con l'intenzione di restarci. Ma ai ragazzi non piaceva, non volevano vivere lì, e io penso che sia giusto far decidere a loro, l'unica cosa che si può fare è guidarli con il buon esempio".