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SMALL ZINE Anno 4 Numero 13 gennaio-marzo 2015



Un consunto gesto quotidiano

Loredana Barillaro

Intervista ad Andrea Gallo



Magazine di Arte contemporanea


SOMMARIO N. 13

INTERVIEWS
DIMENSIONI PARALLELE | Luca Pozzi di Gregorio Raspa
CURARE L’ARTE | Agnes Kohlmeyer di Valentina Tebala
POETICHE ATMOSFERE IMMAGINARIE | Debora Garritani di Martina Adamuccio

SPECIAL
LO STATO DELL’ARTE (IN GALLERIA)  con Nicola Pedana, Carlo Madesani, Claudia Sirangelo, Gianfranco Matarazzo di Loredana Barillaro

PEOPLE ART
DI ARANCIO E ROSE | Giulia Rositani

SHOWCASE
LEEZA HOOPER  a cura di Pasquale De Sensi

SMALL TALK
UN CONSUNTO GESTO QUOTIDIANO | Andrea Gallo di Loredana Barillaro
IN UN TACITO DIALOGO | Anna Caruso di Loredana Barillaro

SHOW REVIEWS
SHIT AND DIE, Palazzo Cavour – Torino di Gregorio Raspa
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

De Rerum Natura
Valentina Tebala
n. 16 ottobre-dicembre 2015

L'ombra lunga del secolo breve
Gregorio Raspa
n. 15 luglio-settembre 2015

Una libera associazione di idee
Cristina Abbruzzese
n. 14 aprile-giugno 2015

Era Vulgaris
Valentina Tebala
n. 12 ottobre - dicembre 2014

L'essenziale è invisibile agli occhi
Martina Adamuccio
n. 11 luglio-settembre 2014

Un insolito gioco di parole
Loredana Barillaro
n. 10 aprile-giugno 2014


Che fanno stasera in tv?
olio su tela, 150 x 200 -2014
Courtesy Andrea Gallo

Humpty Dumpty
olio su tela, Ø 150 - 2014
Courtesy Andrea Gallo


Loredana Barillaro/ Andrea, i tuoi personaggi mostrano una certa opulenza della carne, una sessualità esibita in un’atmosfera cruda dai toni violacei. Forse una sorta di spettro, un filtro mediante cui cogliere “zone” nascoste della realtà?

Andrea Gallo/ Il lavoro che ho portato avanti sui soggetti della Nona ora e un quarto è stata una sorta di estrospezione. Volevo che la carne diventasse la pelle delle figure rappresentate: mi interessava muovermi verso la profondità dei soggetti senza cercare una verosimiglianza cromatica. La ridondanza della tavolozza usata per le figure doveva in qualche modo stridere con l’asetticità degli ambienti in cui erano inserite: corpi che se ne stavano da soli in uno spazio privo di indici di lettura.
La nona ora e un quarto si riferisce proprio a questo: è l’attimo della sospensione, il tempo immediatamente successivo a qualcosa, in cui non accade nulla. L’opulenza della carne, come tu dici, è mostrata perché è tutto quello che rimane da mostrare.

LB/ Attraverso la serie di dipinti dal titolo Mis(s)entropie affermi che tutto può essere il contrario di tutto. Ogni cosa, l’essere umano in primis, pare tendere al caos…

AG/ La serie delle Mis(s)entropie nasce da un gioco di parole per trovare quella che Carroll definirebbe una parola portmanteau.
Mi piaceva l’idea di concentrarmi sulle miss, come figure solitarie e insieme fenomeni di massa (penso ad esempio alle suicide girls, ma anche alle signorine buonasera) e di farle abitare narrazioni consunte dalle abitudini quotidiane, far compiere loro azioni sprecate, rese immotivate dal solo fatto di compierle frequentemente.
Quanto più si fa spesso una cosa, tanto più essa diventa naturale: ed è proprio in questo momento che apre al disordine, all’arbitrarietà. Al contrario, l’entropia è un concetto che mi piace paragonare ai giochi dei bambini, apparentemente privi di senso, fino a che non si indovina la regola che nascondono.
Il caos non è che un ordine riconducibile ad una regola che non abbiamo ancora scoperto. Quello che manca in Mis(s)entropie è lo spazio della decisione: le cose che accadono sono possibili o necessarie, mai volute.

LB/ Mi parlavi di nuovi lavori, di che si tratta?

AG/ Dal concetto di Mis(s)entropie si sta pian piano staccando un altro piano, su cui sto lavorando. L’idea è quella di ragionare sulla emersione. Sono quadri di piccolo formato, in cui le figure si muovono davvero liberamente. Forse in questi lavori l’aspetto del gioco è quello che più mi sta prendendo la mano. Solitamente lavoro con persone che faccio posare in studio, adesso invece sto recuperando fotografie da vecchi archivi, immagini prese dalla rete o scarti di foto fatte nel corso di anni, che rimonto ed elaboro in un processo che comincia in un modo e che solitamente finisce in un altro, completamente diverso.