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Espoarte Anno 15 Numero 84 aprile-giugno 2014



Cildo Meireles

Ginevra Bria

L’arte non si vede



Contemporary Art magazine


SOMMARIO N.84

Antineutrale #10 | Ars Attack | di Roberto Floreani

Pensieri Albini #17 | di Alberto Zanchetta

New Media Art | Tra apparati tecnologici e ritmo della meraviglia: il Museum of the Moving Image omaggia l’arte di Jim Campbell | di Chiara Canali

Gremlins | Quando il cinematografo vuole entrare nel museo. Arriva il Festival del Cinema d’Arte | di Mattia Zappile

Eppur si muove #5 | One man band | di Christian Ghisellini

Esercizi di stile - Contemporary tales | Facciamola crescere questa Zarina! La vocazione si chiama azienda. E lei è Adele-C | di Luisa Castellini

Open Studios | Tamara Ferioli | Nello scrigno bianco | di Matteo Galbiati

Loris Cecchini | Vivere la scultura nel presente | intervista di Matteo Galbiati

FOCUS
Sculture olfattive: il profumo creativo come opera d’arte | di Isabella Falbo

Regina José Galindo | (Ora) sono viva | intervista di Ginevra Bria

Talkin' | Raffaella Crispino | La manipolazione del reale | di Daniela Trincia

GIOVANI
Ornaghi & Prestinari | Della chiave a stella | di Silvia Conta

Neboiša Despotović | Paint and forget | di Chiara Serri

Graziano Folata | L'apertura del gesto e della visione | di Simone Rebora

Nazzarena Poli Maramotti | La maniera contemporanea | di Sara Polotti

Esther Mathis | Archivio immaginario del reale | di Valeria Barbera

Cosimo Casoni | Costruir per aria | di Alice Zannoni

Paolo Bini | Nel mare in tempesta, il canto delle sirene | di Marcella Ferro

Raffaela Mariniello | Still in life. Risorgere dalle ceneri | intervista di Francesca Caputo

Talkin' | Lunga vita al Riso! | intervista a Valeria Patrizia Li Vigni, Direttore Palazzo
Belmonte Riso, di Laura Francesca Di Trapani

Cildo Meireles | L'arte non si vede | intervista di Ginevra Bria

Talkin' | Il profumo della cultura | intervista a Marco Vidal, Mavive spa, di Igor Zanti

Mark Manders | Frozen theatre | intervista di Chiara Serri

Marco Gastini | Viaggio tra materia, pittura e pensiero | intervista di Silvia Conta

Talkin' > Editoria | Lucio Fontana. Catalogo ragionato delle opere su carta | Skira Editore | intervista a Luca Massimo Barbero di Matteo Galbiati

Talkin' > Editoria | Massimo Campigli. Catalogo ragionato | Silvana Editoriale | intervista a Nicola Campigli di Matteo Galbiati

BooksBox

Simone Pellegrini | Come potenze | intervista di Chiara Serri

Talkin' | Made in Cloister | Alle pendici del Vesuvio una finestra aperta sul potenziale | di Francesca Caputo

Agostino Arrivabene | Il passato nella memoria di oggi | intervista di Matteo Galbiati

Open Studios | Silvia Argiolas | Fototessere di me | di Chiara Serri

Talkin' | Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto | Nuovi scenari di fotografia: “clic” cristallo di un processo creativo | di Alice Zannoni

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n. 82 ottobre-dicembre 2013


Veduta della mostra, Cildo Meireles. Installations, Pirelli HangarBicocca, Milano
Cildo Meireles, Marulho, 1991 - 1997.
Courtesy: l'artista e Fondazione HangarBicocca, Milano.
Foto: Agostino Osio

Veduta della mostra, Cildo Meireles. Installations, Pirelli HangarBicocca, Milano
In primo piano: Cildo Meireles, Amerikka, 1991- 2013.
Courtesy: l'artista e Fondazione HangarBicocca, Milano.
Foto: Agostino Osio

Veduta della mostra, Cildo Meireles. Installations, Pirelli HangarBicocca, Milano
Cildo Meireles, Entrevendo, 1970 - 1994.
Courtesy: l'artista e Fondazione HangarBicocca, Milano.
Foto: Agostino Osio

Non ho mai compreso a fondo l’espressione ‘arte visiva’. L’arte non si vede, è un’entità percettiva in sé che deve rimanere addosso come una sensazione, e non solamente negli occhi come un’immagine o un semplice oggetto rappresentativo.
Con queste parole Cildo Meireles (1948, Rio de Janeiro, Brasile) apre l’intervista che introduce l’inaugurazione della sua prima mostra antologica ospitata da uno spazio museale italiano. Pirelli HangarBicocca presenta, dal 27 marzo al 13 luglio 2014, Cildo Meireles, Installations, curata da Vicente Todolí: la retrospettiva comprende grandi installazioni prodotte dal 1970 a oggi, in cui il pubblico diventa un ricettore percettivo.

L’artista brasiliano è stato indicato dalla critica internazionale come una delle figure guida negli sviluppi dell’arte concettuale. Nei suoi lavori diventa fondamentale la ricerca della rievocazione, della reminiscenza cerebrale stimolata dal risveglio sensoriale del corpo umano che si trasforma in un tramite per costanti esplorazioni fisiche, psicologiche, topografiche e antropologiche.

Ginevra Bria: Parlando della tua famiglia e della tua formazione, quale tipo di educazione visuale o estetica hai ricevuto quando eri bambino?
Cildo Meireles: Fra i primi ricordi che ho, ce ne sono alcuni che mi tornano in mente come visioni e provengono da una casa in campagna che mia nonna aveva vicino a Brasilia. L’isolamento dalla città, dai rumori e dai contrasti credo che abbia giovato molto, durante la mia infanzia, alla mia sensibilità. È lì che ho sovrapposto le mie prime visioni, le prime impressioni e le primissime esperienze sensoriali con i ricordi netti dell’architettura di Niemeyer. La prima volta che ho capito cosa fosse l’arte è stato durante un pomeriggio assolato, era caldissimo. Stavo giocando sul patio di quella vecchia casa coloniale e, nel mezzo dei campi, vidi passare un uomo, che si fermò a qualche centinaio di metri da me, sedendosi fra gli arbusti. Dopo questo primo momento di stupore, non gli ho più prestato attenzione, sebbene lui se ne rimanesse fermo proprio di fronte a me. Alla sera, prima di andare a dormire, ricordo di aver guardato alla finestra e di averlo visto nella stessa posizione che aveva assunto durante il pomeriggio, nel frattempo però si era acceso un enorme fuoco, per scaldarsi e proteggersi dall’escursione termica. La mattina, all’alba, decisi di raggiungere quell’uomo, che nel frattempo se ne era già andato e al suo posto, accanto alle ceneri fumanti, aveva lasciato una piccola casetta fatta di arbusti. Era bellissima, perfetta, sembrava il ritratto in miniatura della casa di mia nonna. Pareva che quell'uomo fosse rimasto tutto il tempo ad osservarci e ritrarci, per poi, infine, lasciare tutto quello che aveva fatto per chiunque fosse passato di lì, mirabilmente all’aperto, senza che nessuno glielo avesse richiesto. Tutto il mio lavoro è riconducibile alla costituzione di spazi virtuali aperti [vd. Espaços virtuais. Cantos II B, 1967-1968 (reconstruction of 1981), appena acquisita dal Reina Sofia].

Potresti brevemente descrivere quale significato assume Installations per te e per la tua carriera?
Ora che la sto vedendo crescere, comprendo quanto in realtà non si tratti solamente di riprodurre o riproporre una mostra che contiene in sé dodici miei progetti. Come tu sai, dopo la mostra del 2008 alla Tate Modern, inaugurata il 14 ottobre, molte mie mostre si sono succedute in Europa: una retrospettiva al Museu Serralves a Porto e un’antologica al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid, ottenuta grazie al Prêmio Velázquez de Artes, insignitomi dal Ministero della Cultura Spagnolo. Con Vicente, nell’arco degli ultimi anni, abbiamo avuto modo di chiederci se avesse avuto senso proporre, in uno spazio istituzionale, un’esposizione che espandesse la superficie finora dedicata ai miei lavori più monumentali. L’occasione è venuta con la sua nomina all’Hangar Bicocca. E così, fortunatamente, è stato deciso di riproporre dodici progetti che ripercorressero idealmente, senza una cronologia precisa, alcuni aspetti sensoriali, alcune tracce della mia memoria emotiva, alcuni frammenti, insomma del mio lavoro. Solo brevemente, elenco le tre installazioni che fungeranno come una sorta di dichiarazione di poetica. Il percorso comincerà con Cruzeiro do Sul (1969-1970), in contrasto con lo spazio e in dialogo con le altre imponenti installazioni: l’opera è un cubo di 9 millimetri in legno di pino e quercia, gli alberi sacri degli indigeni d’America. Poi sarà la volta, nell’ordine, di Através (1983-1989), una grande installazione in cui i visitatori si trovano a camminare su un pavimento di vetri rotti, incontrando nel percorso barriere, recinzioni, sbarre e tralicci. Si proseguirà con Entrevendo (1970-1994), una struttura di oltre otto metri, a forma di imbuto, alla cui estremità è collocato un ventilatore di aria calda, che dovrà sciogliere, nella bocca dei visitatori, i cubetti di ghiaccio dal sapore salato e dolce. Mentre ci si avvicina alla fonte di aria calda, il ghiaccio si scioglie dandomi la possibilità di far provare a chiunque quel che io intendo per fenomeno della sinestesia.

Qual è stata la tua prima reazione di fronte agli spazi dell’Hangar Bicocca?
Sicuramente forte. Un grande stupore, nonostante Vicente me ne avesse già parlato e mi avesse mandato alcune foto dello spazio. Il mio approccio ad ogni luogo non segue mai un metodo sistematico. Ogni progetto contiene in sé una sorta di biografia completa, proprio come vorrei che fosse evidenziato attraverso Installations. Il mio augurio più grande è che tutte le metrature a disposizione rievochino l’origine insita in ogni lavoro, lasciando al visitatore non solo vedere ma anche percepire gli elementi inimmaginabili di cui ogni opera è composta. In Babel (2001), ad esempio, installazione tra le più recenti in mostra, composta in un arco di undici anni, vorrei che fosse possibile riscontrare la paura diffusa del buio, quella che noi tutti, almeno una volta, abbiamo provato quando eravamo bambini, sdraiati nel nostro letto. Questo lavoro ha avuto inizio da un ricordo cristallizzato di quando avevo appena due anni. Una notte ho visto una luce rossa provenire dal mio letto, da sotto il materasso, e ho udito il suono di una radio e di alcune voci. L’essenza di Babel, la sua sorgente, la sua energia primaria è, in fondo, questa. Mi auguro, ma in realtà ne sono sicuro, che l’Hangar la amplifichi e la preservi allo stesso tempo. Per il mio lavoro è importante. A volte riesco ad identificare l’inizio di un lavoro da immagini visionarie ma assolutamente reali che mi si sono rimaste impresse nella memoria per molto tempo, senza che io ne abbia mai avuto una consapevolezza reale. Esperienze ultrasensoriali che, ad un certo punto della mia vita, sono riemerse senza un motivo e che, proprio per questo, hanno generato spazi in grado di rappresentarle.

Quale tipo di dichiarazione poetica Cruzeiro do Sul (1969-1970) rappresenta?
Sicuramente rappresenta una piccola, grande provocazione, come è sempre stata. A volte considerano questo lavoro un capo-lavoro, eppure non è nient’altro che la miniatura di un cubo fatto di quercia e di pino, due tipi di legnami ritenuti sacri per gli indiani Tupi del Brasile, essendo la loro unica risorsa per il fuoco. Ritengo che il grande potere di questo minuscolo lavoro, isolato tecnicamente dagli spazi dell’Hangar Bicocca, tornerà ad avere il potenziale socio-politico che l’ha creato. La prima volta che la presentai fu in occasione di una mostra dal titolo Informations, allestita a New York, al MoMa, nel 1970. Ricordo che questo lavoro era accompagnato da un mio testo che volli fosse inserito all’interno del catalogo di accompagnamento dell’evento. Un testo che iniziava così: «Mi piacerebbe, attraverso questo lavoro, raccontare le sorti di una regione brasiliana che non appare ancora sulle mappe ufficiali, una regione chiamata Cruzeiro do Sul. I suoi nativi, gli abitanti originari di questo territorio non lo hanno mai suddiviso, condividendolo in pace. Altri, dall’esterno, sono arrivati e lo hanno fatto per loro. Divisione che è rimasta fino ad oggi, come una forzatura. Io credo che ogni regione abbia le proprie linee di confine, immaginarie o meno. La linea di demarcazione alla quale mi riferisco è chiamata Todersilhas. Il suo lato orientale è ben conosciuto all’Occidente, attraverso fotografie, cartoline, descrizioni, raffigurazioni e libri. Ma non il versante opposto, che sta scomparendo sotto il peso della timida fine imposta alla propria metafora».

Mentre stavi progettando Entrevendo (1970-1994), che cosa ti saresti atteso che la gente avrebbe percepito?
Volevo che la gente, attraversando la cavità di Entrevendo provasse senso di alienazione, di estraneità rispetto al proprio corpo così come all’ambiente esterno che si è costretti ad abbandonare una volta entrati nel breve tunnel di aria calda. Volevo ricreare un ambiente che producesse e trasmettesse la sinestesia. E tutto grazie al fatto che nel passaggio di questa installazione vengono sottolineati e acuiti alcuni sensi corporei, attraverso la modificazione del gusto e del tatto. Chiunque accederà al percorso di Installations, alla terza tappa verrà incanalato all’interno di una struttura tubolare che misurerà all’incirca nove metri e che, ad una delle sue estremità, avrà fissato un ventilatore d’aria calda. Nell’entrare, verrà offerto ai visitatori di mettere in bocca due cubi di ghiaccio, uno dolce ed uno salato, di modo che il calore dell’aria risulti ancora più contrastante con la sensazione di intorpidimento causato dall’acqua solidificata. Mentre le papille gustative della lingua cercheranno di individuare un sapore unico, in continuo rimescolamento e cambiamento nei succhi salivari.

Da Cinza (1984-1986) a Babel (2001) quale tipologia di passaggi sensoriali attraverserà il visitatore?
Come ho anticipato, Installations, grazie alle grandi scale dei miei dodici progetti e all’enormità degli spazi dell’Hangar, ha un aspetto monumentale. Nonostante questo, l’aspetto fisico, sensoriale e poetico delle opere cercherà di evadere dagli stereotipi, spesso tribali dei quali l’immaginario brasiliano in Occidente si è sempre nutrito, creando luoghi assolutamente non comuni. Vicente ha scritto che Installations intende proporre sfide percettive e concettuali attraverso il meccanismo della giustapposizione, dell’accumulazione e della metafora per giungere a una completa sovversione poetica. Ma io credo sia importante che ogni sensazione provata all’interno dei miei lavori resti dentro, nel profondo, in quello spazio piccolissimo che tiene impresse le emozioni in chiunque. Esattamente come l’immagine, il ricordo o la visione che lo ha generato, sedimentando negli anni fino alla sua emersione.

Quali tipologie di relazioni evidenzia e rivela Para Pedro (1984-1993)?
L’ho realizzata e concepita per la prima volta nel periodo appena successivo alla nascita del mio primo figlio, Pedro. Durante quel periodo, Pedro beveva ogni volta un biberon a mezzanotte, per uno dei suoi pasti notturni, e io ero stato incaricato di darglielo. Una notte mi sono dimenticato il biberon che si stava scaldando, perché mi ero addormentato guardando la televisione. Questo fatto, nella mia mente, si relaziona direttamente con un’altra storia: all’inizio del 1980 mi trovavo in Colombia a visitare una fornace che produceva ceramiche al centro di rocce a strapiombo, formando una sorta di caverna; all’interno di questo laboratorio fittile lavoravano all’incirca quaranta donne che scavavano e plasmavano creta, producendo un rumore, un brusio continuo che si disperdeva tra le rocce.
Anni dopo, quel giorno a mezzanotte, in cui mi sono alzato d’improvviso perché il biberon di mio figlio stava bruciando con alte fiamme sul fuoco, la confusione della televisione mi è sembrata come un messaggio proveniente da un ricordo lontano. Un brusio molto simile, se non identico a quello stesso udito in quelle caverne delle ceramiste in Colombia. L’associazione uditiva di questi due episodi è riproposta esattamente all’interno dei due piani inclinati, che convogliano il suono dei televisori, e che veicolano sulla superficie quel suono specifico da me provato, per ricrearlo identico alla prima volta che è comparso alle orecchie.

Secondo te, come mai l’Italia e, nello specifico, la scena dell’arte italiana non ha mai considerato il tuo ruolo, la tua presenza internazionale?
Credo che esista un tempo per tutte le cose. In passato, sono già stato invitato in Italia, nel 2002 a Siena, durante un'edizione di Arte All’Arte, chiamato nuovamente da Vicente Todolì. Nell’Orto de’ Pecci, una scala alta 30 metri cercava di dare una nuova forma al profilo, allo skyline antico della cittadina toscana. Certo, non ho mai avuto modo di poter progettare una mostra così comprensiva di alcuni lavori chiave della mia esperienza espositiva. Non credo esista un motivo specifico della mia assenza nelle istituzioni italiane. Ma, ripeto, tutto è anche questione di luogo. Alle volte, quando mi reco presto in studio alla mattina, mi sento quasi costretto a pensare, quasi sottomesso, schiavo del processo che precede la creazione di tutti i lavori. Spesso mi chiedo quale potrebbe essere il massimo comun divisore che sottostà a ciascuno di essi? Ce ne deve essere uno. Penso sempre che un giorno ci sarà qualcuno che lo intuirà, un giorno. So che c’è un nesso fra tutti i miei lavori e le città nelle quali sono stati visti. Ciò nonostante è ovvio che il mio progetto più personale riguarda il fatto che essi si completino autonomamente a vicenda. Pur mantenendo la loro singolarità, pur provenendo dal nulla della realtà, dissolta nelle sensazioni dei visitatori che li hanno percepiti. Anche l’esposizione internazionale dei miei lavori serve a questo scopo, a processare la materia delle mie visioni attraverso nuovi luoghi e nuove persone.

Potresti, per favore, rivelare i tuoi programmi futuri?
Avendo avuto così tanti impegni negli ultimi anni, preferisco non guardare più al futuro e concentrarmi su quel che ho lasciato indietro. Ho molti taccuini ricolmi di appunti presi durante questi ultimi mesi. Idee che aspettano di essere messe alla prova e magari, anzi, sicuramente, realizzate.

Potresti formulare un pensiero che accompagni i visitatori di Installations all’Hangar?
Mi auguro che l’ipersensibilità dalla quale sono nate le dodici installazioni esposte all’Hangar non sia un sovraccarico di sensi, ma aiuti ciascuno di voi, italiani e non, a recuperare la purezza delle sensazioni, come quando si era bambini, quando bastava una piccola altezza per provare le vertigini. Quando la sospensione delle normalità produceva linguaggi materiali, rievocati oggi solo attraverso i significati, i valori dell’arte.

Cildo Meireles è nato nel 1948 a Rio de Janeiro (Brasile), dove vive e lavora.

Eventi in corso:
Cildo Meireles, Installations
a cura di Vicente Todolí
Pirelli HangarBicocca
Via Chiese 2, Milano
27 marzo - 13 luglio 2014

Galleria di riferimento:
Galeria Luisa Strina, San Paolo (Brasile)