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Segno Anno 39 Numero 248 aprile-maggio 2014



Il Piedistallo Vuoto

Luciano Marucci

Intervista a Marco Scotini



Attualità internazionali d'arte contemporanea


SOMMARIO N. 248

In copertina

ETTORE SPALLETTI / MAXXI Roma
VETTOR PISANI / Madre Napoli - Teatro Margherita Bari
LUCIANO FABRO / CIAC Foligno


4/15 News gallerie e istituzioni
Agenda Mostre & Musei in Italia e all’Estero
a cura di Lucia Spadano
Aste e mercato in ascesa (Piero Tomassoni)

16/75 attività espositive / recensioni
Vettor Pisani (Raffaella Barbato pag.16/19)
Luciano Fabro (Lucia Spadano pag 20/23)
Giulio Paolini (Stefano Taccone pag24/25)
Marcelo Cidade, Jonathas De Andrade, Andre Komatsu
Ornaghi&Prestinari (Rita Olivieri pag 26/29)
Bethan Huws (Maria Letizia Paiato, pag 30/31)
Ettore Spalletti (Paolo Balmas, pag 32/39)
L’Occhio musicale (Simona Olivieri pag 40/41)
Carlo Aymonino/Studio di archivi e Collezioni
(Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore pag 42/47)
Blue and Joy (Chiara Guidi pag 48/49)
Andrew Gilbert (Camilla Nacci pag 50)
Gianni De Tora (Raffaella Barbato pag 50/51)
Raimondo Galeano (Lucia Spadano pag 51)
Rosario Genovese (Rosalba Di Terna pag 52)
Agostino Bonalumi (Simona Caramia pag 52)
Gianni Piacentino (Ilaria Piccioni pag.53)
Andrea Schon (Paolo Balmas pag 53)
Francesco Guerrieri (Gabriele Simongini pag 54/55)
Vincenzo Marsiglia (Chiara Canali pag 56/57)
Marcello Diotallevi (Daniele Decia pag 58)
Omar Galliani (Lucia Spadano pag 59)
H.H. LIM (Giuliana Benassi pag 60)
L’Eterno Ritorno (Maria Letizia Paiato pag 61)
Sironi e la Grande Guerra (Maria Letizia Paiato pag 62/63)
Il Piedistallo Vuoto (Intervista a Marco Scotini a cura di Luciano Marucci pag 64/65)

66/72 Osservatorio Editoriale/ Libri Concorsi Memorie d’arte Fiere d’Arte:
ArteFiera Bologna, The Armory Show,
Art London, ARCO Madrid
(a cura di Lucia Spadano, Massimo Sala, Lisa D’Emidio, Dalia Della Morgia pag 66/69)
Memoria/Progetto di memoria
Didattica all’Accademia Nazionale di San Luca
(Ilaria Giannetti pag 70/71)
Libri&Cataloghi
(a cura di Ilaria Piccioni, Simona Caramia, Raffaella Barbato pag 72)
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Andy Warhol.“Profondamente superficiale”
Lucia Spadano
n. 239 febbraio-marzo 2012

In dialogo con Giacinto Di Pietrantonio
Luciano Marucci
n. 237 ottobre-novembre 2011

La potenzialita’ della cultura
Luciano Marucci
n. 236 maggio-giugno 2011

Donato Di Zio
Matteo Galbiati
n. 235 marzo-aprile 2011

Oliviero Toscani
Luciano Marucci
n. 234 gennaio-febbraio 2011

Hans Haacke
Stefano Taccone
n. 233 novembre-dicembre 2010


Igor Grubic , ’ Angel with Dirty Faces (1), 2006
stampa a getto d’inchiostro su carta archivistica, 80 x 120 cm
(Collezione Together, Torino; courtesy “Il Piedistallo Vuoto”)

Elena Kovylina, Égalité, 2008, video-colore-suono 9 min.
(Collezione Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; courtesy “Il Piedistallo Vuoto”; ph Luciano Nadalini)

Vedute della mostra

Tra le iniziative collaterali di ArteFiera 2014 sicuramente si è fatta notare la mostra “Il Piedistallo Vuoto. Fantasmi dall’Est Europa” presso il Museo Archeologico, che presentava opere provenienti da prestigiose collezioni italiane.
Una campionatura di video, fotografie, disegni e installazioni, rappresentativa della transizione dalla Russia comunista a quella postsovietica.
L’evento, curato con rigore critico da Marco Scotini, ha avuto il merito di dare migliore visibilità alla produzione artistica dell’Est Europa e di rianimare il dibattito su quel contesto, fino ad ora promosso da pochi specialisti come Loránd Hegyi, Victor Misiano e lo stesso Scotini, anche attraverso le conversazioni di approfondimento spesso puntualmente condotte da Giorgio Verzotti, direttore artistico della Fiera.
L’esposizione, nella sua essenzialità, era allestita con originalità e chiarezza, favorendo la percezione dei lavori proposti e l’interpretazione del progetto piuttosto articolato e motivato. Quindi, nell’insieme la collettiva si differenziava da quelle disorganiche che privilegiano aspetti estetizzanti.
Ma ecco alcune ‘spiegazioni’ di Scotini, regista della composita operazione:

Con la mostra “Il Piedistallo Vuoto”, da te curata, cosa hai voluto focalizzare?

Il Piedistallo Vuoto sta ad indicare molte cose. Il titolo è sembrato felice non soltanto a me, forse perché ha la capacità di parlare di presenza/assenza, apparizione/ sparizione, cioè della figura del fantasma.
Questo vale per l’attualità, ma anche per la condizione dell’Est Europa prima del crollo del Muro di Berlino in cui gli artisti usavano veramente format poco visibili.
Due esempi: Ion Grigorescu fa i video di body art nella sua stanza isolato e senza esporli; Vyacheslav Akhunov si esprime su un taccuino.
Fondamentalmente c’è dietro un’immagine di grande speranza, nel senso che il piedistallo rimane vuoto proprio per accogliere quello che ancora non c’è. Si pensa al piedistallo vuoto quando è caduto qualcosa che c’era prima. Questa è l’immagine che ci viene pensando alla leninoclastia; oppure il piedistallo è vuoto perché una scultura deve ancora completare il monumento.
La terza ipotesi è che esso sia stato lasciato vuoto per una riserva di virtualità potenziale. Quest’ultimo è l’aspetto che maggiormente mi interessava e che mi pare possa rappresentare, più di tutti gli altri, il denominatore comune della generazione prima della riunificazione tedesca e anche di quella successiva.

Quindi non è un “Piedistallo” vuoto di contenuti...

Ne ha una molteplicità, ma soprattutto vuol essere vuoto perché aperto a un divenire, grazie alle potenzialità. Sai che il manifesto di Karl Marx comincia con uno spettro che si aggira per l’Europa citando direttamente Amleto, filtrato da Armando Lulaj in mostra con l’opera Enter The Ghost che raccoglie questa nuova immagine adatta ai tempi nuovi, piuttosto cupi.

Mi pare che le nuove opere esposte esprimano ancora significati ideologici...

Per la prima volta ho messo a confronto un’ampia gamma di materiali degli anni Settanta, della Repubblica Ceca, Slovacca, della Russia, del Centro Asia, con la produzione delle nuove generazioni con le quali lavoro da molto tempo. Quindi, era necessario trovare il denominatore comune a cui ancora non avevo pensato.
Nel caso specifico ho visto che, con il crollo del muro di Berlino, per questa cultura che possiamo chiamare ancora dell’Est, non c’era stato il trauma, ma una grande continuità, la capacità di fare da ponte tra quello che ci fu allora e quello che c’è al momento, come se la dittatura non fosse ancora finita.

L’evento perciò ha precisi riferimenti teorici.

Sì, ed è reso molto visibile. Dopo tanti anni, per suggestione di questi artisti, ho ripreso in mano un libro del ’93, “Gli spettri di Marx” di Jacques Derrida, un autore che non è nelle mie corde ma in questo caso funzionava.
Questa è stata senz’altro la prima mossa verso la ricerca del presupposto di cui ho detto. A seguire il film "Solaris” di Tarkovsky.

Con la transizione dalla Russia comunista a quella neoliberista alcuni critici, in altre occasioni, a proposito degli artisti di quell’area, avevano parlato di “nostalgia”.

Il fatto che alla conversazione di ArteFiera fosse presente Francesco Bonami, che siano venuti galleristi d’Europa perché i loro artisti sono in questa mostra, mi sembra un segno, una risposta non solo a una mia esigenza, ma ampiamente condivisa.
In questo momento ritroviamo qualcosa che pensavamo di avere perduto, non è un momento di “nostalgia” come finora era stato chiamato da Viktor Misiano o di “ostàlgia” di Massimiliano Gioni.
Io dico sempre che si ha nostalgia (anche in senso progressivo) quando qualcosa è stato abbandonato, quando qualcosa si è perduto. Nel caso della mostra da me curata non c’è alcuna nostalgia. Il fantasma viene e non si stanca di ritornare. L’idea del "rivenire” non muore mai. Mi pare un aspetto importante.

La caduta del “Muro” ha certamente determinato il crollo dell’ideologia sovietica, pure se le questioni sorte dopo la transizione Est-Ovest hanno creato delle nostalgie. Secondo te, le degenerazioni non soltanto democratiche, provocate in Occidente dal neocapitalismo selvaggio, possono indurre a riattualizzare il termine “ideologia”?
Non alludo a quella che vagheggia il ritorno agli esasperati nazionalismi, ma all’altra che esprime certi valori ideali, intesa come aspirazione a un futuro migliore, anche se di là da venire.
Insomma, pensi che nella nostra geografia posa esserci “ostalgia” per questo tipo di “ideologia” concepita come variante concreta della storica utopia senza corpo?


Sicuramente sono cadute anche le illusioni della transizione democratica. Piuttosto che avere nostalgia per il passato sovietico si scopre ancora intatto quel portato sociale che, proprio sotto il regime sovietico, non si è realizzato. In questo senso dico che nella mostra non ci sono rovine del passato, ma spettri. Quegli stessi fantasmi che c’erano allora, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta. “Solaris” è una conferma e in mostra c’è il video di Narkevicius che non fa che ripetere Tarkovsky. È stato un grande momento che ha esibito soprattutto la transizione venuta dopo la perestroika.
Adesso molti teorici, fra cui Boris Buden del quale è stato riproposto un testo in catalogo, affermano che è giunta la fine della fase post-sovietica in cui c’è un’altra presa di coscienza, molto più politica...

Per concludere, sei soddisfatto del successo ottenuto dall’esposizione?

Nonostante la mostra sia molto concettuale dal punto di vista del percorso narrativo e dei rimandi continui tra un artista e l’altro, ha avuto immediatamente un grande riscontro di pubblico.

Indubbiamente è stato anche un importante momento di esportazione-importazione di quella cultura!?

È stato un grande momento che ha esibito soprattutto la transizione venuta dopo la perestroika. Adesso molti teorici, fra cui Boris Buden del quale è stato riproposto un testo in catalogo, affermano che è giunta la fine della fase post-sovietica in cui c’è un’altra presa di coscienza, molto più politica...