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Juliet Anno 33 Numero 161 febbraio-marzo 2013



Christian Fermo

Stefano Cangiano

Mostrandomi mi scopro



Art magazine
SOMMARIO N. 161

Reportage
38 | William Kentridge. PoeticoPolitico / Luciano Marucci
54 | ‘’Les Instants’’. Videoart festival / Emanuele Magri
70 | La Corea del Sud. E l’italian way / Alessia Locatelli

Focus
40 | Juliet 32 Years / Roberto Vidali
42 | Annamaria Iodice. Altre storie / Roberto Vidali
46 | Living in Lift / Roberto Mastroianni
48 | Sharing Transformation / Chiara Longari
50 | TriestèFotografia 2012 / Alessio Curto
52 | Il numero del movimento. Pablo Bronstein / Maria Cristina Strati
60 | Vite elettroniche e digitali / Lorenzo Taiuti
68 | Enzo Bersezio. Ama fare… Lo (scultore) / Giuseppe Biasutti
72 | Sabrina Notturno. Chine su carta / Alessandra Vicari
78 | My private zoo / Elena Carlini
79 | Galleria Marconi. L’altra faccia della provincia / Nikla Cingolani

recensione
44 | Piero Gilardi. “Collaborative Effects” / S. P. Gorney
65 | Enzo Navarra. Il “Tuffatore” / Annamaria Restieri
73 | Triggering Reality. L’ossessione del disegno / Valerio Barberis
76 | Franco Paletta. Astrazione immateriale / Carmelita Brunetti
77 | Magda Starec Tavčar. Sensazioni Tattili / S. P. Gorney

Intervista
56 | Walter Bortolossi. L’ Anti-Concettuale / Roberto Vidali
62 | Gillo Dorfles. Il Kitsch / Benedetta Moro
64 | Piero Toresella / Roberto Vidali
66 | Giovanna Pesci Enriques. Artelibro festival del libro d’arte / Fabio Fabris
67 | Christian Fermo. Mostrandomi mi scopro / Stefano Cangiano
69 | Daniele Capra. Se il curatore milita / Carmine Calvanese
74 | Sabrina Raffaghello#2 / Pina Inferrera
75 | Fondazione Fabbrica Europa per le Arti Contemporanee / Francesca Agostinelli
84 | Franco Rosso / Serenella Dorigo

Inchiesta dibattito
58 | L’Arte della Sopravvivenza. Indagine sull’impegno etico-civile / Luciano Marucci

Fotoritratto
71 | Giovanni Gastel / Fabio Rinaldi
85 | Paola Colombari / Luca Carrà

Rubrica
80 | Sicilia mon amour. La tua mente è la scena del crimine / Martina Di Trapani
81 | P.P.* Daniele Pezzi / Angelo Bianco
82 | Ho del regionalismo / Angelo Bianco
83 | Key Words. Creatività e tecnologia / Antonella Varesano

Spray
86 | Recensione mostre / AAVV
87 | El papin: Survivors / Giacomino Pixi
93 | L’ultimo atto possibile / Pino Boresta
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Keep the faith, 2011

Fault, 2012

Come e quando nascono le tue opere?
Il quando non è definibile. Scelgo normalmente la notte perché questi sono i momenti in cui posso avere più intimità con me stesso, ma spesso capita di non riuscire a smettere di lavorare per alcuni giorni. Il come, invece, è un processo che ormai ho imparato a conoscere e di cui ho imparato a rispettare i tempi. Normalmente parto da una lunga maturazione del concetto che voglio esprimere o dell’idea che voglio approfondire. Possono passare anche mesi prima che un progetto trovi la sua concretizzazione, il grosso del mio lavoro è dentro la mente. Una volta completato il processo, la realizzazione materiale passa attraverso il contatto e la preparazione del supporto: questo momento credo sia fondamentale perché così posso far incontrare l’idea con quella che sarà la sua dimensione fisica. La realizzazione poi dell’opera è immediata, poichè ormai l’idea è perfettamente chiara nella mia testa e nei miei occhi.

Da che cosa nascono i tuoi lavori?
Credo che il mio sia un percorso che mi sta facendo maturare e crescere. Tutto è cominciato in modo inconscio, quando ero giovane e spendevo il mio tempo libero disegnando fumetti. Il primo momento in cui mi sono però accorto che attraverso le mie immagini non nutrivo solo la mia passione per il disegno ma stavo esprimendo me stesso è stato quando ho iniziato a dedicarmi alla street art. Lavorare sul muro, sapere che i miei lavori sarebbero rimasti sotto gli occhi di tutti, ha fatto nascere in me la necessità di approfondire e denotare più profondamente i temi che volevo esprimere attraverso le mie produzioni. Col tempo poi i momenti in cui dipingevo sono diventati quelli di maggior riflessione e indagine su me stesso, attimi in cui potevo capirmi perfettamente.

Com’è stato il passaggio dal muro ai pannelli di legno?
Il passaggio è avvenuto dopo aver lavorato come scenografo. In quel periodo ho scoperto i vantaggi del supporto “mobile” e sperimentato la possibilità di frammentare le mie opere in più parti. L’utilizzo di pannelli mi ha poi permesso di accostare le mie opere e vedere come queste fossero capaci di creare una storia, esprimere meglio e in modo completo il pensiero che volevo trasmettere.

Il tuo lavoro di preparazione dei pannelli serve quindi a ricreare la sensazione che avevi quando lavoravi direttamente sul muro?
Credo si sia creato un rapporto speciale con la superficie imperfetta, irregolare e porosa del muro oltre che con le tecniche di applicazione del colore. Inoltre essendo io l’artefice della creazione della mia piccola porzione di parete sono anche il suo più grande conoscitore, cosa che mi permette di rimanere libero di esprimere in maniera più completa la mia personalità.

Nelle tue opere mi sembra di veder rappresentato un mondo velenoso in cui tutto, anche le persone, sono dei prodotti in vendita, è questo il messaggio che vuoi mandare?
In questi anni ho visto che rappresento sempre più spesso il lato che maggiormente mi preoccupa della realtà: il mio demone, ovvero la corsa verso i beni materiali che accomuna tutte le persone e l’alone dietro cui è nascosta la verità. Nelle mie opere cerco di dare forma a questa mia paura, rappresentando oggetti che mi attraggono per la loro bellezza, vuoi che questi siano persone o prodotti della vita quotidiana, a cui applico però simboli chiari e forti di pericolo.

Così da spaventare l’osservatore?
Non necessariamente, voglio piuttosto stimolare lo spettatore a desiderare ciò che vede rappresentato e allo stesso tempo a notare la piccola imperfezione. Si possono trovare nelle mie opere immagini che facilmente si possono confrontare con quelle pubblicitarie dove vengono mostrati prodotti perfetti, impossibili da non desiderare. Immagina di camminare in un prato bellissimo durante una giornata di sole, questo posto è un piccolo pezzo di paradiso per te. Poi all’improvviso noti un cartello con su scritto “Attenzione campo minato”. In quel momento tutto cambia dentro di te mentre tutto resta uguale intorno. Il prato continua a essere bellissimo ma tu sai che c’è in esso qualcosa di pericoloso.

E tu, in che posizione ti metti rispetto a questo mondo?
Io non ho la presunzione o il desiderio di non farne parte e non voglio nemmeno prendermi il compito di denunciare questa situazione per cambiarne gli schemi; intendo però mostrare anche il lato nascosto di questa realtà di cui mi sento un perfetto prodotto, influenzato dalla pubblicità e dalla confusione delle notizie.

Se non è denuncia la tua allora cos’è?
Innanzitutto una presa di coscienza delle mie paure. Nel momento in cui rappresento il mondo come lo sento cerco di esorcizzare questa mia paranoia, dichiarando ironicamente la mia appartenenza a un sistema di cui conosco i mali.

Riguardando quindi le tue opere il mondo ti spaventa di meno?
Accendere la luce cancella la paura per quello che potrebbe essere nascosto nel buio, ma fa anche preoccupare per i possibili pericoli che si rendono visibili.