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Diorama Mag Anno 2 Numero 2 primavera-estate 2012



The Rubber Man


Chiara Fraise Salvatori

The History of John Sutcliffe and Atomage 






SOMMARIO N.2

2 WUNDERKAMMER

4 EDITORIALE

8 INTRODUZIONE
Strato
/ Virginia Devoto

10 DESIGN
The Rubber Man
/ Chiara Fraise Salvatori

16 MUSICA
Supporti per musiche concrete
/ Nicola Giunta

20 LETTERATURA
Samizdat come libertà
/ Lorenza Novelli

22 FOTOGRAFIA
Challenging Surfaces
/ Valentina Pieri

28 INTERVISTE
Riedificazione di un presente collimato
/ Zoe De Luca

36 ARCHIVIO
Tree of Codes
/ Adele Cuzo

38 ARTE
84 West Broadway
/ Castagna, Malara, Mengozzi, Polenta, Rinaldi

40 BIOGRAFIE
Sybil Ardell Mason
/ Francesco Bugli

44 TEXTURE
Tessuteca
/ Virginia Devoto

50 ANIMAZIONE
Il guanto, corazza arrendevole
/ Lorenza Novelli

54 DESIGN
Wood you like it?
/ Chiara Salvatori

58 FOTOGRAFIA
La donna che svelo’ due volte
/ Philippa Nicole Barr

64 LETTERATURA
Pane e cipolle
/ Samuele Fioravanti

66 COSTUME
Interdetto
/ Virginia Devoto

70 CONCEPT
Anais Nin

72 ARTE
L’identità si restaura oltre la pelle
/ Eleonora Salvi

78 ARCHIVIO
L’Originale Miscellanea di Schott

80 EDITORIALI
Operando in superficie
/ Virginia Devoto

86 ARTE
Salvatore Arancio
/ Eleonora Salvi

90 FOTOGRAFIA
Inno alla tragicità
dell’imperfezione dell’apparato umano conoscitivo
/ Omar Sartor

96 BIOGRAFIE
Tra Schliemann e Delacroix
/ Alessandro Ciacci

102 POESIA
Bogland, Seamus Heaney

104 CINEMA
Alla ricerca dell’immagine perduta
/ Emanuele Amaduzzi

110 CINEMA
Recensioni

112 INTERVISTE
Ombretta Agro’ Andruff
/ Greta Scarpa

118 MUSICA
Inter-facce
/ Jelena Miskin

122 MUSICA
Selezione musicale
/ Jelena Miskin

124 ARTE
La soglia atavica
/ Zoe De Luca

132 PUBBLICITÀ
Come François re-inventò il collage
/ Francesco Balacco

134 WUNDERKAMMER
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Sigrid Calon
Zoe De Luca
n. 7 primavera - estate 2014

Interno Otolab
Virginia Devoto
n. 6 autunno-inverno 2013

A plunge in the Third Landscape
Eleonora Salvi
n. 5 primavera-estate 2013

Ogni sua parte somiglia all'intero
Virginia Devoto
n. 4 inverno 2013

Electronic Voice Phenomena
Jelena Miskin
n. 3 autunno 2012

L’orizzonte è un continente
Alessandro Ciacci
n. 1 inverno 2012


Immagini tratte da Dressing for Pleasure in Rubber, Vinyl & Leather: The Best of Atomage 1972-1980, di Trunk, Murray e Sorrel, FUEL Publishing, 2010

Immagini tratte da Dressing for Pleasure in Rubber, Vinyl & Leather: The Best of Atomage 1972-1980, di Trunk, Murray e Sorrel, FUEL Publishing, 2010

Immagini tratte da Dressing for Pleasure in Rubber, Vinyl & Leather: The Best of Atomage 1972-1980, di Trunk, Murray e Sorrel, FUEL Publishing, 2010

Approcciarsi con l’immaginazione a decenni mai vissuti comporta sempre un certo impegno: la mente necessita inevitabilmente l’apertura e la conseguente analisi del proprio bagaglio culturale, frutto di una ricezione attiva e passiva di immagini, fotografie, libri, suoni e odori mai totalmente neutri, spesso arricchiti con percezioni anacronistiche del proprio tempo. Ci si sente un po’ archeologi inesperti in una titanica impresa, e una volta che ci si è proiettati nella Storia con una mente dalle tinte contemporanee è inevitabile introdurre l’elemento fantastico, che edulcora lo scorrere degli eventi e infarina i personaggi di leggenda, rendendo il percorso di contestualizzazione in buona parte aleatorio.
Prendiamo dunque per mano il lettore e incanaliamo la sua immaginazione lungo vettori ben precisi, in modo tale che non smarrisca la via nella folta giungla dell’errore. Siamo a Londra: anno 1967, nei pressi di Trafalgar Square e Carnaby Street. La città come al solito è in gran fermento e le persone stanno svolgendo imperiture attività - mangiare, chiacchierare, fare shopping, passeggiare.

Cos’altro ci si aspetta? L‘individuo chiude gli occhi e spontaneamente riesce a far emergere lo scenario: musica totalmente nuova, figlia del rock’n’roll di Elvis Presley e Bill Haley, caschetti appena spuntati dal parrucchiere, colori fluorescenti, abiti dal taglio rigoroso esteticamente esplosi in trame optical che fanno girare letteralmente la testa, come un vinile che su se stesso orbita intonando freschi acuti beatlesiani o perché no, yeyè, ragazze androgine alla Twiggy in minigonna che inforcano con aria esuberante ampi occhialoni a bolla. Insomma, una macedonia di stereotipi che infarciscono il repertorio iconico di questo decennio. 
Se però guardiamo meglio oltre il mare di luoghi comuni potremmo notare, scolpita dai pigri e sparuti raggi di sole pomeridiani che cadono obliquamente sull’ozio di quei minuti e sull’asfalto gretto e sporco della metropoli,un’ insolita creatura che pare quasi uscita dallo spazio, con sembianze non completamente riconducibili alla sfera umana: avvolta strettamente in una tuta in pelle, volto sigillato da una maschera che non lascia trapelare alcuna identità, tacchi alti e nervosi. La Luna non è ancora stata solcata da piede terrestre, quindi viene quasi da pensare che forse il roccioso e solitario satellite sia popolato da sensuali ninfe in pelle, sirene ribelli occhieggianti da scafandri aderenti, pantere su due zampe, chiuse nel silenzio del proprio mistero. Ci si sforza di pensare lucidamente nel tumulto di queste nuove emozioni: chi sarà questo giovane Prometeo Moderno al femminile, ma soprattutto chi sarà mai il fautore di tale prodotto pseudo umano, che inguaina, cuce, allaccia lucidi materiali che scoppiano di tanta sensualità da riuscire a bloccare i passanti, aprire le mascelle in mimiche stupite e fermare il traffico?
La risposta non la dobbiamo trovare nello spazio ma oltre la superficie liscia senza graffi del mainstream, è necessario immergersi in apnea verso il fondale dell’ambiente e delle mode underground, ben lontane dalla haute couture ma comunque destinate a farsi sentire in maniera prepotente, in particolare nel momento in cui esse vengono concepite da una mente geniale e quanto mai avanti con i tempi, con uno sguardo focalizzato sul feticismo e su mondi paralleli, futuribili.

Stiamo parlando di John Sutcliffe, londinese di nascita e ingegnere aereonautico, un uomo schivo e riservato che da una piccola ma quanto mai assillante fissazione riuscì a creare un fenomeno di costume in grado di ispirare e raccogliere ancor oggi migliaia di affezionati. La sua storia nasce da un temporale; si può dire che l’idea gli sia piovuta letteralmente dal cielo. Correva l’anno 1957, il nostro uomo era riuscito a comprarsi una motocicletta dopo essersela faticosamente guadagnata sbarcando il lunario come fotografo di matrimoni. Un bel giorno decise di portare in giro la fidanzata con il frutto delle sue fatiche, godere dell’impressione fuggitiva di avere il mondo in pugno che solo l’ebbrezza della velocità sa donare, ma il tempo inclemente oltre a rovinargli i piani infradiciò completamente i vestiti dell’affascinante accompagnatrice. A quel tempo era davvero complicato scovare delle tute da motociclista per acquirenti del gentil sesso ma l’intraprendente Sutcliffe – un po’ per non dispiacere la compagna, un po’ per prevalere sulle condizioni atmosferiche uggiose delle campagne inglesi - non si fece scoraggiare e decise di applicare l’etica del Do It Yourself creando un abito fornito delle idoneità necessarie a risolvere le problematiche che di norma nascono quando si viaggia in motocicletta. Comprò una dozzina di pezzi in pelle rossa a Soho e rimediatosi una macchina da cucire di seconda mano, si mise all’opera. Il risultato fu un impermeabile dal sapore tra il cavallerizzo e la divisa da combattimento erotico: un perfetto connubio tra funzionalità ed estetica, che appassionò non solo la compagna di John ma anche svariati amici, che entusiasti ne vollero uno uguale da indossare in strada. Questo fu l’inizio di un lungo sfogo creativo chiamato AtomAge, marchio di abbigliamento e rivista che portò per la prima volta allo scoperto il feticismo per la gomma e la pelle, in grado di ispirare pezzi grossi come Malcom McLaren e Vivienne Westwood ai tempi della boutique pre-punk Sex. È stata proprio la passione verso questi tessuti particolari il nucleo dell’esistenza di John, che se da una parte contribuì a far sbocciare la sua dirompente vena creativa, in un primo tempo gli rese le cose assai difficili. Infatti il suo attaccamento alla pelle era talmente morboso da essergli stato diagnosticato come sintomo di malattia mentale.

Verità o semplicemente una forma di incomprensione da parte di un corpo medico tradizionalista? Lasciando la risposta a chi di dovere c’è da dire comunque che un marchio a fuoco di tale portata sconvolse Sutcliffe, spingendolo fra le braccia di una grande depressione e più tardi a una repentina quanto inderogabile svolta: proprio come potrebbe fare un uomo che aspira alla santità se ne andò di casa scevro di supplementi superflui, abbandonando lavoro e moglie per andare alla ventura, trascinato magneticamente da una Chiamata tutta profana - quella della creatività e dell’indipendenza. Una rivoluzione a tutto tondo che raccolse discepoli da ogni dove e scatenò il successo dei suoi pezzi di abbigliamento, che via via aumentarono di numero e varietà, in una esasperante ricerca certosina di quei materiali che stratificano ma non celano, un velo di Maya che l’occhio può rimuovere senza troppa fatica in una stimolazione perenne del piacere visivo. Nel 1957 si diede il via all’azienda come "a manufacturer of weatherproofs for lady pillion riders" e fu collocata in una stanza nei pressi di Hampstead, luogo in cui l’artista si prodigava con sperimentazioni sartoriali irrorate da lucidi bagliori di vinile e pelle. Per quest’ultima progettò addirittura una macchina da cucire specializzata, andando a scomodare nientemeno che il padre della macchina da cucire Isaac Singer, con l’idea di metterla in produzione. “Singer rimase talmente inorridito” ricorda il suo amico Robert Henley “che si affrettò a chiamare la polizia!”.

Dieci anni dopo AtomAge si trasferì in una nuova sede, precisamente al numero 10 di Dryden Street, in precedenza fienile annesso a stalle di cavalli. Qui Sutcliffe si impegnò ancora una volta a rincorrere folli esperimenti con nuovi materiali come il PVC e la gomma: lo stesso Henley raccontò di aver trovato l’amico privo di sensi sul pavimento, quasi ucciso dai fumi tossici. Gesto folle che tuttavia gli permise di inventare un collante per la gomma e trovare un metodo efficace per sigillare le cuciture apportando una piccola modifica ad un ferro da stiro portatile, facendo nascere così il primo abito in gomma.
La qualità, il taglio, la vestibilità e lo stile delle divise di AtomAge erano di gran lunga superiori a qualsiasi cosa disponibile in commercio; i disegni di John vennero ben presto notati e gli fu chiesto di produrre abiti in pelle e vinile per la televisione. Si dice infatti che i pezzi di Sutcliffe influenzarono prepotentemente il look del personaggio di Emma Peel nello show televisivo di metà anni Sessanta The Avengers, e che lui avesse progettato i costumi per la versione embrionale dello show. Trovò una forte domanda anche nel mondo del teatro e del cinema, fabbricando costumi in pelle per The Valkerie in una produzione londinese dell’Anello di Wagner e cappotti dal taglio spaziale e futuristico per film sci-fi, di cui il più celebre è sicuramente Moon Zero Two, girato sul finire degli anni Sessanta. Una curiosità che pochi sanno è che egli disegnò insieme all’artista Allen Jones le uniformi destinate ad essere indossate dalle cameriere del Korova Milk Bar nel film di Stanley Kubrik A Clockwork Orange, progetto che tuttavia non venne mai realizzato ma di cui sono conservati miracolosamente i disegni preparatori.
Nel 1967 un’azienda chiamata Granville Chemicals, manifatturiera di smalti protettivi anticongelamento per auto ebbe bisogno di qualcosa per attrarre visitatori nel proprio stand al London Motor Show, per raggiungere l’obiettivo ingaggiarono una modella e commissionarono a John Sutcliffe di creare un abito che enfatizzasse il tema della protezione. Detto fatto, la misteriosa donna si materializzò alla vigilia dell’evento nel centro di Londra –e qui torniamo a quel pallidamente soleggiato pomeriggio di cui si è parlato al principio- accompagnata da un efficacissimo slogan: "She has leather protection. Has your car the protection of our chemical products?" .

L’outfit fu un successo istantaneo e comparve in un servizio fotografico del Daily Mail, dando a Granville Chemicals un ammontare sorprendente di pubblicità con un budget minimo. Da quel giorno anche AtomAge fu beneficiata e Sutcliffe dovette far fronte alle richieste di nuovi clienti, che gli fecero produrre svariate tipologie di divise in pelle e quant’altro, tra cui vi erano svariate tutine wet-look che le esponenti del sesso femminile indossavano “per motivi professionali” (una delle sue creazioni più famose riguarda un abito da gatta completo di stivali col tacco chiamato Bootsuit Atomage)…
John scoprì ben presto che un quarto dei capi di abbigliamento prodotti nei laboratori Atomage non uscivano alla luce del sole ma venivano esclusivamente indossati in privato per puro piacere; avendo sperimentato il fallimento del proprio matrimonio a causa del suo feticismo per la pelle era infatti ben consapevole dei problemi che possono verificarsi quando il partner chiede alla donna di vestirsi unicamente in pelle, e che spesso si prova una certa vergogna a esporsi pubblicamente in divise ben lontane dalle mode in vigore nel momento in cui si vive. John però andava oltre alle mode e concepiva questi suoi non troppo nascosti – ma fin troppo repressi- desideri come una forma d’amore: aveva compreso che una donna è un essere di cui aver cura, e che l’uomo che prova un’attrazione primordiale per la pelle sente anche un innato desiderio di avvolgere la persona che ama al fine di proteggerla.

Nell'inverno del 1972 John diede il via ad Atomage Magazine sotto consiglio di Helen Henley, una cliente abituale di Atomage. John sperava di utilizzare la rivista non solo come una sorta di vetrina per i suoi nuovi progetti, ma anche come mezzo per spiegare alle donne i motivi per i quali gli esponenti del sesso maschile vorrebbero vederle vestire con abiti in pelle. A Helen Henley è stata assegnata una rubrica fissa in questa nuova rivista, che si caratterizzava inoltre per il "Sistema di Corrispondenza Atomage" (ACS) in cui i lettori accomunati dagli stessi interessi e feticismi non solo potevano tenersi in contatto, ma venivano anche attivamente incoraggiati a inviare documentazioni scritte e “visive” di se stessi da includere nella rivista: ne risultò un carnet di fotografie assurde di persone immortalate in abiti altrettanto assurdi, collocate in spazi topici come prati erbosi sfacciatamente irradiati di luce solare oppure all’interno di ambienti rigorosamente casalinghi, opportunamente decorati per l’occasione o volutamente rivelati in tutta la loro innocente quotidianità, con un effetto dal gusto amatoriale e surreale al tempo stesso. Fra le pagine del giornale emergono identità nuove, creature profondamente diverse da come normalmente ce le si aspetta, supereroi di nessuno, domatrici di leoni invisibili, divise spaziali dai colori caldi o mute subacquee aderenti fino allo spasmo, con tocchi di nero che inguainano la mercanzia genitale e il lucido materiale che enfatizza, dilata, lascia poco spazio all’immaginazione. Non passò molto tempo che gli scrittori delle lettere e i fotografi frequentarono le pagine battezzandole con il complessivo nome di “Dressing For Pleasure” .
La rivista Atomage riscosse un notevole successo, era in A5 al prezzo di £2 per copia ed era reperibile solamente attraverso ordine postale direttamente dagli edifici di Dryden Street. Inizialmente la rivista era caratterizzata solamente da abiti in pelle, ma gradualmente gli indumenti in gomma diventarono più importanti, affiancati anche da divise bondage; questo elemento dispiacque a buona parte dei lettori e portò non molto più tardi alla creazione nel 1976 (precisamente dal n13) di uno speciale supplemento dedicato interamente al bondage, mentre la rivista principale tornò a focalizzarsi sul normale abbigliamento fetish Atomage. Il Magazine Atomage si concentrava sulle pelli più moderne e sull’abbigliamento in gomma d’ultimo grido, includendo anche reportage di varie sfilate di moda avute luogo durante l’anno; era una rivista davvero entusiasta, creata da entusiasti per entusiasti, si aveva la sensazione che John avesse goduto più della cosa in sé che del profitto vero e proprio. John rivolse la sua attenzione alla produzione cinematografica, la sua opera più memorabile è un cortometraggio dal titolo "Under Three Layers". Nel 1980 dopo 32 numeri in A5 di Atomage e 20 numeri del supplemento bondage John decise di rivedere la strategia di mercato: il magazine non aveva grande circolazione ma c’era stata una potenziale crescita nell’ambiente che oggi possiamo chiamare scena fetish, così Sutcliffe decise di dare una rinfrescata ai magazines. Fu lanciata la rivista “Atomage International” (sull’onda del successo di Atomage A5, concentrata esclusivamente sull’abbigliamento in pelle), il supplento bondage venne ribattezzato “Atomage Bondage” e venne pubblicato il nuovo magazine “Atomage Rubberist” che illustrava la scena fetish in gomma. Furono trovati distributori internazionali per le tre riviste, in modo tale che esse fossero vendute in tutto il mondo.

Atomage vendette anche libri e pubblicazioni varie dedicate al fetish e al bondage, compreso un romanzo erotico scritto da Jim Dickinson chiamato "The Story Of Gerda”, che un membro del pubblico fece finire mani della polizia. Proprio per questo motivo nel novembre 1983 fu perquisito e sequestrato tutto il materiale di Atomage, facendo capitolare l’azienda in una crisi da cui fu difficile uscire. John fu informato che non sarebbe stato perseguito per la pubblicazione degli Atomage Magazines se avesse permesso che l’intero repertorio di numeri e le lastre di stampa (del valore di 50.000 sterline) fossero distrutte, per quanto riguarda il romanzo su Gerda dovette pagare una multa di 1000 sterline.
Nel dicembre 1983 Atomage si trasferì a Unit 3A, 98 Victoria Road, Park Royal, e in questa sede si fecero sentire le proteste furibonde dei fans di Atomage: il livello di indignazione per le accuse rivolte a John fu tale che egli iniziò a ricevere assegni e denaro da parte dei suoi clienti, per aiutarlo a mantenere l'operatività dell’ azienda. Questo grande gesto di solidarietà non si fermò qui: le lastre di stampa ormai erano state distrutte, e Sutcliffe non avrebbe potuto stampare nuove copie del magazine come una volta; così i clienti che avevano conservato delle copie gliele mandarono indietro in maniera che lui le potesse rivendere. John continuò a tenere duro e a lavorare incessantemente, ma il sogno era finito: Atomage era stata distrutta dalla natura pudica dei tempi. L’illusione di essere finalmente giunti in un’epoca libera e senza censure venne duramente condannata a morte, e come testimonianza di essa rimasero solamente alcuni numeri del Magazine, oggi estremamente rari e molto ricercati dai collezionisti. Il nostro protagonista morì nel suo ufficio una domenica pomeriggio del settembre 1987, con l’intento sempre presente di portare alla luce del sole l’idea che tutte le persone hanno qualche feticismo, e che questo non è sintomo di malattia ma di umanità. Una domanda rimane: chi era davvero Sutcliffe?
Risponde la sempre fedele Helen Henley: “Era un vecchio signore molto creativo e per niente interessato ai soldi, circondato da un’aura pregna di fascino, difficile da spiegare a parole. Quando John non era ancora in circolazione, gli unici riferimenti al feticismo della gomma e della pelle erano racchiusi in termini dispregiativi all’interno dei libri di psicologia. Egli è stato l’uomo che ha cambiato ogni cosa”.