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Millepiani/Urban Anno 2012 Numero 4 2012



Resistenze urbane creatrici passando per l’Internazionale Situazionista

Chris Younès





SOMMARIO millepiani/urban N.4

I Situazionisti nella città



premessa 5

Tiziana Villani
Cartografie delle Dérives 7

Thierry Paquot
Derive notturne con i Situazionisti 21

Chris Younès
Resistenze urbane creatrici passando
per l’Internazionale Situazionista
39

Guy Amsellem
Il rapporto tra arte e architettura
nella prospettiva Situazionista dello spazio pubblico 47

Jean-Louis Violeau
Gli architetti e le loro letture dei Situazionisti 59

Patrick Marcolini
Quale città sognano i Situazionisti? 77

Marco Scotini
Cinéma Politique:
il tempo della “situazione” urbana 87

Bert Theis
Eredi illegittimi dei Situazionisti 103

Giuseppe Panella
L’incubo urbano 115

Laurent Gervereau
Superare Debord 131

Francesco Galluzzi
Nota sull’archivio Pinot Gallizio 137


PREMESSA

Il rapporto privilegiato che l’Internazionale Situazionista ha inteso sviluppare con la città in quanto spazio, ambiente non solo dell’agire, ma anche della sperimentazione delle sensazioni, delle affettività, delle immaginazioni, della trasmutazione di senso del quotidiano, diviene attraverso le pratiche del détournement, della dérive, della psicogeografia, dell’innovazione cinematografica, un orizzonte creativo in cui potenziare la vita e la soddisfazione dell’esistere minacciate dall’industria del consumo e dall’alienazione di massa. La disposizione tecnica, artistica, del gioco concorrono a realizzare questi spazi del desiderio.
Il presente volume è anche l’esito del Convegno Internazionale franco-italiano svoltosi il 29 aprile 2011 a l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris La Villette di Parigi. Il titolo: La ville des situationnistes, indicava l’intento di indagare in modo specifico, la riflessione dell’Internazionale Situazionista sui temi della città e dello spazio è apparsa ai curatori una riflessione quanto mai attuale e necessaria per la radicalità inventiva con la quale i situazionisti intendevano mettere in crisi i dettami dell’industria del loisir, del lavoro e della sottrazione di ogni espressione capace di alterità.
Gli interventi non hanno voluto storicizzare un pensiero che non è piegabile a tale pratica, quanto attraversare in senso archeologico l’articolazione di contributi, sollecitazioni, invenzioni, creazioni che i situazionisti hanno espresso in uno dei periodi storico-artistici più intensi e vivaci del XX secolo. Quei contributi conservano un’intatta freschezza e l’intento dei promotori dell’incontro, Thierry Paquot, Chris Younès e Tiziana Villani, è stato quello di realizzare una occasione per riflettere in modo plurale senza intenti agiografici. In questo senso, sono qui raccolti i materiali e i contributi di ricerca, tuttora in corso, proposti dai diversi partecipanti dei due paesi in cui l’Internazionale Situazionista ha trovato più fertile terreno di azione.
L’indice dei testi varia in parte da quello dell’edizione francese in relazione ad alcune tematiche che i curatori e gli editori hanno voluto sottolineare diversamente per le due edizioni.

Si ringrazia, per l’edizione italiana, l’archivio Gallizio di Torino che ha voluto gentilmente offrire le immagini che attraversano questo volume.

RETRO COPERTINA

Il movimento dell’Internazionale Situazionista si presenta come passaggio all’azione di una resistenza creativa il cui orizzonte più proprio è quello dell’urbano. Fra i diversi procedimenti situazionisti, la deriva si presenta come una tecnica del passaggio veloce attraverso svariati ambienti. Il concetto di deriva è indissolubilmente legato al riconoscere effetti di natura psicogeografica ed all’affermazione di un carattere ludico-costruttivo… “Internazionale Situazionista”, n. 2, Teoria della deriva, 1958.
L’ambiente cui i situazionisti fanno riferimento è quello delle città dove si rischia l’impoverimento della vita, un ambiente mai neutrale, ma che ci trasforma e che noi trasformiamo. Le varianti possibili consistono allora nella creazione di situazioni, che devono confliggere con la frammentazione delle esistenze illusoriamente ricomposte dal regime delle immagini e dello spettacolo. Quanto mai attuale, quest’impostazione torna nell’oggi con il suo dirompente rimando ad un urbano esploso e proprio per questo assoggettato alle più diverse strategie di uniformazione e controllo, ma pur sempre ricco di alternative.
Il Convegno Internazionale franco-italiano intitolato La ville des situationnistes, tenutosi a l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris
La Villette nel aprile del 2011, ha ripreso l’insieme di queste interrogazioni raccogliendo contributi strettamente correlati alla ricerca di nuove pratiche per inventare l’urbano, piano in cui si declinano le soggettività e gli ambienti variamente esposti ai mutamenti indotti dalla “mega macchina sociale” del mondo odierno.
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n. 1


The naked city, 1957
Guy Debord

Pinot Gallizio parla con le donne del campo zingari ad Alba.

Constant Maquette per il Campo Nomadi di Alba1956-57

In conflitto perfino con il marxismo, i militanti dell’I.S. rifiutano l’idea di lavoro (1) e concentrano la loro riflessione sul modo d’essere degli individui, sulla loro sensibilità, sulle condizioni psicologiche, sulla maniera di rapportarsi gli uni agli altri, in breve sulla vita in società. Per loro, la civiltà moderna, e soprattutto il sistema capitalista, ha portato l’uomo all’alienazione, al declino e al regresso. I situazionisti fanno appello ad una certa ideologia marxista, ovvero alla critica radicale della società borghese; e anziché mirare alla «base» di quella società, rappresentata dai rapporti di produzione economica, preferiscono soffermarsi unicamente sulle conseguenze culturali che ne sono derivate. Infatti, sono fermamente convinti che cambiando le condizioni di vita degli individui e dei gruppi – da qui l’importanza ai loro occhi dell’architettura e dell’urbanistica – sarà possibile cambiare gli individui stessi. Una simile strategia lascia da parte il «dramma» politico, la questione della lotta di classe, dello Stato e del potere politico, per privilegiare l’azione sulla cultura e la «creazione di situazioni» culturalmente rivoluzionarie. Per questo, concentrano i loro sforzi essenzialmente sull’arte quotidiana e di ciascuno, attribuendole un’importanza capitale poiché appare come l’ancora di salvezza dell’umanità. L’arte a cui si fa riferimento non deve essere intesa come un’istituzione museale o accademica, né come un corpo speciale – quello degli artisti – ma nel senso di un’estetica interpretata nell’ottica del greco antico aisthesis o sensazione. I situazionisti ritengono che sono i nostri sensi a fare di noi ciò che siamo e che sono le sensazioni suscitate in noi, a nostra insaputa, a condizionarci in un senso o nell’altro. In questo gioco di sensi e di senso, l’architettura ha su di noi un impatto determinante poiché modella il nostro modo d’essere sia interiormente che esteriormente.
«Le città future che progettiamo offriranno un’inedita variabilità di sensazioni… e attraverso un uso inventivo delle condizioni materiali saranno possibili delle mosse impreviste».(2)
Questi i due modi attraverso cui i situazionisti intendono realizzare il loro sogno: «la realizzazione di noi stessi».(3)



Una critica radicale del capitalismo e del suo urbanismo di condizionamento

Questo obiettivo si definisce in antitesi a uno stesso stato, parimenti designato attraverso l’alienazione, la menzogna e il condizionamento… Tutti questi mali hanno un’unica causa originaria, ovvero «lo sviluppo dell’ambiente urbano, ossia l’educazione capitalista dello spazio»(4), poiché «l’educazione capitalista dello spazio non è altro che l’educazione in uno spazio in cui si perde la propria ombra, in cui si finisce per perdersi a forza di cercarsi in ciò che non si è», come «un cieco, educato a riconoscersi illusoriamente nella materializzazione della propria alienazione».(5)
In effetti, «l’urbanismo rappresenta la scelta di una certa materializzazione del possibile, ad esclusione di altre».(6)
È «un insieme di tecniche d’integrazione di persone» e gli urbanisti hanno dovuto «essi stessi essere educati» per riuscire a organizzare «il mondo dell’alienazione che riproducono e perfezionano meglio che possono».(7)
In questo contesto, l’urbanismo è considerato come un modo per «perfezionare i condizionamenti», per incatenare gli animi e inchiodarli a un unico ordine materiale, quello imposto dal capitalismo e dal suo strumento di azione privilegiata, lo Stato capitalista, giacché, a dire il vero, «non si abita il quartiere di una città, bensì il potere. Si abita in qualche grado della gerarchia».(8)
L’urbanismo, in quanto ideologia, ha il compito di occultare questo spazio reale presentandosi come «campo di pubblicità-propaganda di una società» chiusa e isolata e definendosi come «l’organizzazione che partecipa a qualcosa a cui è impossibile partecipare».(9)
Forte del “ricatto dell’utilità”, «il capitalismo moderno fa rinunciare ad ogni critica con la sola argomentazione che un tetto è necessario».(10)
L’urbanismo è l’ambito che produce e crea illusioni alle masse. Ha imposto l’automobile «come bene sovrano di una vita alienata e, inseparabilmente, come prodotto essenziale del mercato capitalista».(11)
Così, i “quartieri costruiti di recente” si basano su due temi «dominanti: la circolazione e il confort a casa».(12)
Ma come l’habitat si è trasformato in un «cimitero di cemento armato dove grandi masse si annoiano a morte»,(13) così «la circolazione con l’automobile è l’organizzazione dell’isolamento di tutti»; è, in altre parole, «l’opposto dell’incontro».(14)
In entrambi i casi, si tratta di tagliare tutti i legami e di annientare ogni forma di comunicazione fra individui che si ritrovano parcheggiati nella propria solitudine, condannati a un tête-à tête con la pubblicità-propaganda.
«L’urbanisimo e l’informazione sono complementari nelle società capitaliste», come Castore e Polluce; «organizzano» entrambi «il silenzio».(15)

La città moderna è uno spazio di mutismo: il numero di telespettatori, in continuo aumento, rappresenta un mercato sempre più prospero per un urbanismo che si ciba fragorosamente del loro silenzio. «Si tratta di riqualificare il territorio intorno a loro, di costruire per loro, senza distrarli dalle preoccupazioni di cui li si nutre attraverso gli occhi e le orecchie».(16)
Come un branco d’oche all’ingrasso da cui bisogna ben guardarsi!
Ma il caso dell’urbanismo non è isolato, è tipico della situazione generale di una cultura in «pieno stato di decomposizione». Si tratta in realtà del «declino» generale «di una cultura basata sull’individualismo»,(17) una cultura fondata anche sulla banalizzazione e l’astrazione. È evidente, oggigiorno, «una malattia mentale ha invaso il pianeta: la banalizzazione», «l’astrattismo ha invaso tutte le arti, e l’architettura in particolare. Storicamente, questa è una cultura tutt’altro che creatrice: consiste in una serie di ripetizioni mascherate».(18)
Tutta la cultura si è impegnata in un «movimento di dissoluzione del pensiero», svolgendo, sempre più, la «funzione di analgesico, ipnotico e calmante», dimostrando così che se l’accumulo di produzione è stato più veloce di quanto si potesse sperare, «noi siamo rimasti allo stadio della preistoria con un’eccedenza considerevole di dispositivi».(19)
Ma questo «aumento di beni materiali» senza precedenti è garantito e impiegato a vantaggio delle passioni e degli istinti più primari.


Immaginare un’altra vita urbana

Per tutti questi motivi, si avverte oggi «la necessità impellente di compiere un salto di qualità nello sviluppo della cultura e della vita quotidiana».(20)
La rivoluzione situazionista è al contempo l’indizio e l’inizio di questo «salto». «Rappresentiamo il primo sforzo sistematico, ci siamo mossi prima» della liberazione delle masse ma «dobbiamo renderci conto di tutto ciò che comporta una simile intenzione».(21)
«Non pensiamo di aver inventato delle idee straordinarie all’interno della cultura moderna, ma piuttosto di aver iniziato a far notare quanto straordinaria sia la sua nullità».(22)
Non si tratta di un altro organismo politico rivoluzionario, bensì di un movimento il cui «scopo rivoluzionario è unicamente la soppressione della politica»,(23) quel che significa precisamente l’espressione: rivoluzionare «la cultura della vita quotidiana», in altre parole: «la libera creazione della vita quotidiana».(24)

Sostenere che si deve creare liberamente la vita di tutti i giorni equivale a dire che «andiamo verso una creazione globale dell’esistenza» che prende in carico la critica dello spazio urbano poiché è il cuore stesso di questa esistenza e, essendo stato inquinato per molto tempo dal funzionalismo, si è lasciato riassorbire, o ha fatto credere che potesse esserlo, in delle banalità quali l’adattamento alla praticità, all’innovazione tecnica o alla soppressione dell’ornamento superfluo. Si vuole al contempo rifiutare e superare l’idea di urbanismo unitario, il quale cerca di «raggiungere al di là dell’utilità immediata, un ambiente funzionale appassionante: l’urbanismo unitario si ricongiunge oggettivamente agli interessi di una sovversione d’insieme».(25)

L’urbanismo unitario si oppone con tutte le sue forze alla città spettacolo che rappresenta «un supplemento al museo» e al contrario «considera il centro urbano come il terreno di un gioco di partecipazione. Si contrappone alla fissazione delle città nel tempo e, al contrario, porta a preconizzare la trasformazione permanente, un movimento accelerato d’abbandono e di ricostruzione della città nel tempo e all’occorrenza anche nello spazio», in maniera tale che sarà possibile considerare la costruzione, in piena foresta, di città mobili.(26)
Si verificherebbe un matrimonio con la natura, un passaggio graduale tra le due e una «messa in scena del tempo che passa, su uno spazio sociale condannato al rinnovamento creativo».(27)
La storia urbana si materializzerebbe così nello spazio, segnando la «deriva della nostra vita», e la natura ne coprirebbe al contempo il principio e la fine.
Per quanto riguarda la popolazione, «l’urbanismo unitario è contrario alla fissazione delle persone» in un quartiere o in un punto della città; «è lo zoccolo di una civiltà del tempo libero», è a caccia di «emozioni reali» che infrangono la “costrizione” di una vita quotidiana banalizzata e soggiogata alla fatica e all’asservimento. Il solo modo per dinamizzare la quotidianità consiste nell’alterazione della scansione spazio-temporale. Perciò l’attività principale degli abitanti sarebbe la «deriva continua», vale a dire che «il cambiamento di paesaggio di ora in ora sarà responsabile dello spaesamento».(28)
Ecco allora delinearsi «l’impresa situazionista», che fa appello alla funzione che forse esprime meglio «la libertà dell’uomo e che è all’origine stessa della creazione artistica: il gioco».(29)
«Sappiamo che più che un luogo è riservato alla libertà di gioco, più influisce sul comportamento e più grande è la sua forza di attrazione».(30)
Ma «da molto tempo l’architettura è diventata un gioco dello spazio e dell’ambiente»,(31) è «il mezzo più semplice per articolare il tempo e lo spazio, per modellare la realtà, per far sognare», ma il progetto dell’urbanismo unitario è quello di ottenere un «gioco utile, una modulazione importante che si iscrive nella curva eterna dei desideri umani».(32)
«L’architettura deve dunque essere un mezzo per modificare le concezioni attuali del tempo e dello spazio in vista della realizzazione dei desideri, poiché l’obiettivo situazionista è la realizzazione dei desideri».(33)
Sarà il modo per mettere in opera una civiltà mobile e per «sperimentare i mille modi attraverso cui modificare la vita, in vista di una sintesi che non potrà che essere leggendaria».(34)

L’urbanismo unitario cerca di ristabilire la relazione dell’uomo con il mondo, e a tale proposito diverse metafore o immagini risultano evocative: «un habitat dove il soffitto lascia intravedere le stelle e la pioggia, la casa mobile gira insieme al sole le cui mura scorrevoli permettono alla vegetazione di invadere la vita, una casa montata su rotaie che il mattino può avanzare fino al mare per rientrare la sera nella foresta».(35)


Cambiare vita, cambiare la propria vita

Il movimento dell’Internazionale Situazionista si presenta sottoforma di resistenza creatrice, ponendo lo spazio urbano al centro della propria scommessa. Grazie a delle critiche radicali e all’apertura verso nuovi territori d’espressione è stato possibile tracciare dei percorsi d’indagine la cui eco, oggigiorno, si è propagata nella denuncia della fabbrica inabitabile piuttosto che nella ricerca di un modo per scuotere gli animi. I situazionisti si ritrovano sulla scia di un pensiero critico verso tutto ciò che tende a spogliare l’uomo della propria umanità per elevarlo al rango della bestia. Il riferimento all’addomesticamento del gregge umano attraversa la storia delle idee a partire da Platone(36) per arrivare, ai giorni nostri, a Peter Sloterdijk. Non si può che essere colpiti da certe corrispondenze che si delineano tra gli intenti dell’Internazionale Situazionista e Sloterdijk, che fa della vita la chiave di volta per una biosofia prossima a sostituire la filosofia, che esige «una teoria dei luoghi, delle situazioni, delle immersioni»;(37) o ancora nel parlare di parco umano(38) o delle forme di addomesticamento(39) ma anche nell’esortarci a rifiutare la sottomissione e a «conquistare un’esistenza più conforme ai nostri desideri», una «auto-co-immunità» estremamente necessaria nel nostro tempo.

NOTE
1. Cfr: la foto di una scritta su un muro in rue de la Seine, nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés a Parigi, risalente al 1952, che sentenzia «non lavorate mai». Il gruppo la inserisce in epigrafe alla raccolta dei 12 numeri dell’Internazionale Situazionista, precisando: «programma preludio del movimento situazionista».
2. Internazionale Situazionista n.3, dicembre 1959. [tutte le citazioni dall’Internationale Situationniste sono estratte dalla traduzione italiana dei dodici numeri riuniti nel volume L’internazionale situazionista 1958-69, Nautilius, Torino, 1994, N.d.T].
3. IS n. 6, agosto 1961
4. IS n. 6, «Programma», p. 11.
5. IS n. 6, «Commenti contro l’urbanismo», p. 6.
6. IS n. 6, «Programma», p. 11.
7. IS n. 6, «Critica all’urbanismo», p. 7.
8. IS n. 6, «Programma», p. 11.
9. IS n. 6, «Programma», p. 11.
10. IS n. 6, «Programma», p. 11.
11. IS n. 3, dicembre 1959, «Posizione situazionista sulla circolazione stradale»
12. IS n. 3, «Un’altra città per un’altra vita», p. 1.
13. IS n. 3, «Un’altra città per un’altra vita», p. 1.
14. IS n. 6, «Programma», p. 1.1
15. IS n. 6, «Commenti», p. 26.
16. IS n. 6, «Commenti», p. 26.
17. IS n. 3, «Un’altra città per un’altra vita», p. 1.
18. IS n. 1, giugno 1958, «La libertà per leggere che cosa?», p. 1.
19. IS n. 8, gennaio 1963, «Dominio della natura», p. 1.
20. IS n. 2, dicembre 1958, «Il versante oscuro», p. 1.
21. IS n. 2, «Il versante oscuro», p. 1.
22. IS n. 5, dicembre 1960, «Confine situazionista», p. 1.
23. IS n. 2, «Il crollo degli intellettuali rivoluzionari», p. 1.
24. IS n. 5, «Informazioni situazioniste», p.1
25. IS n. 3, «L’urbanismo unitario alla fine degli anni ’50», p. 12.
26. IS n. 3, «L’urbanismo unitario alla fine degli anni ’50», p. 13.
27. IS n. 3, «L’urbanismo unitario alla fine degli anni ’50», p. 2.
28. IS n. 1, «Formulario», p. 3.
29. IS n. 2, «Informazioni situazioniste», p. 12.
30. IS n. 3, «Formulario», p. 19.
31. IS n. 3 , «Un’altra città per un’altra vita», p. 37.
32. IS n. 1, «Formulario», p. 2.
33. IS n. 4, giugno 1960, «Teoria dei momenti e costruzione di situazioni», p. 10.
34. IS n. 1, «Formulario», p. 17.
35. IS n. 1, «Formulario», p. 16.
36. Si veda sul punto l’idea di gregge umano in Platone, Politico.
37. «La filosofia in quanto forma di pensiero e di vita dell’Europa antica si è innegabilmente esaurita. La biosofia ha appena iniziato il suo compito; la teoria generale dei sistemi immunitari e dei suoi sistemi comuni non è che all’inizio; una teoria dei luoghi, delle situazioni e delle immersioni si sta timidamente profilando». Sloterdijk P., Ecumes – Sphères III, trad. it mia.
38. Sloterdijk P. Regole per il parco umano, trad. it. in «aut aut», n° 301-302, 2001.
39. Sloterdijk, P., L’addomesticamento dell’essere in Non siamo ancora stati salvati, Bompiani, Milano, 2004.