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Mousse Anno 6 Numero 30 settembre-ottobre 2011



Geoffrey Farmer

Monika Szewczyk

Characters and characteristics of the work





SOMMARIO Mousse #30



Starring
by Federico Florian, Antonio Scoccimarro

GEOFFREY FARMER
Characters and Characteristics of the Work

by Monika Szewczyk

TALKING ABOUT
Is That All There Is to a Circus?
by Dieter Roelstraete

PHYLLIDA BARLOW
The Work Is Never Finished
by Nicholas Cullinan

PART OF THE PROCESS - DAVID LEVINE
Rothko’s Ruins
by Ana Teixeira Pinto

TALKING ABOUT
Criticism Hurts
by Jan Verwoert

PORTFOLIO - GEORGE KUCHAR
Carnivalesque George Kuchar
by Juan A. Suárez

LOST AND FOUND - LLYN FOULKES
The Lost Frontier: Llyn Foulkes
by Andrew Berardini

TALKING ABOUT
Melete (“The Society Islands”)
by Mark von Schlegell

NICE TO MEET YOU - DAN FINSEL
Art Therapy
by Cecilia Alemani

NICE TO MEET YOU - BEN SCHUMACHER
Things That Look Like Other Things
by Bob Nickas

NICE TO MEET YOU - JOHN HENDERSON
Absorption & Theatricality
by Barbara Casavecchia

NICE TO MEET YOU - WU TSANG
Wu Tsang: Body Quotations, Back-Breaking Sparkle and the Dissemination of Wildness
by Kevin McGarry

TEN FUNDAMENTAL QUESTIONS OF CURATING
Chapter 6: What Is an Exhibition?
by Elena Filipovic, visual concept by Nairy Baghramian

TALKING ABOUT
A New Fruit
by Nick Currie

LONDON - CALLY SPOONER
The Wor(l)d Is a Stage
by Michele Robecchi

PARIS - JONATHAN BINET
The Way Things Go: a Conversation with Jonathan Binet
by Vincent Honoré

NEW YORK - TIM ROLLINS
Shakers
by Julie Ault

BERLIN
Starship
by Gigiotto Del Vecchio

ARTIST PROJECT - LUTZ BACHER
The Gift
by Fionn Meade

ENRICO DAVID & THOMAS HOUSEAGO
I’m Fucked Out of Your Mind

ALISON KNOWLES
The Future Will Be Fragrant Bean Fields
by Hans Ulrich Obrist

REPRINT
Time Warp
by Rob Giampietro

TALKING ABOUT
As Little Time on The Ground as Possible. First Attempt on the Possibility of Artistic Significance Beyond Philosophy of History
by Chus Martínez

Books
by Stefano Cernuschi

Diary
WHAT’S ALTERNATIVE? ALTERNATIVE TO WHAT? - ANDREA FRASER
"Alternative to what, exactly?"
by Vincenzo de Bellis

TAMAR GUIMARÃES
A Strange Ritual
by Andrea Lissoni

TALKING ABOUT
Moving Gods Aside
by Philippe Pirotte

JESSICA WARBOYS
Waves Wave
by Emilie Renard
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n. 27 febbraio-marzo 2011

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Gigiotto Del Vecchio
n. 26 novembre-dicembre 2010


Geoffrey Farmer
I am by nature one and also many, dividing the single me into many, and even opposing them as great and small, light and dark, and in ten thousand other ways,2010
Courtesy: the artist and Casey Kaplan, New York

Geoffrey Farmer
Let’s Make the Water Turn Black
installation view, REDCAT, Los Angeles, 2011
Courtesy: the artist; Casey Kaplan, New York; and Catriona Jeffries, Vancouver

Geoffrey Farmer
I am by nature one and also many, dividing the single me into many, and even opposing them as great and small, light and dark, and in ten thousand other ways
installation view, Witte de With, Rotterdam, 2008
Photo: Bob Goedewaagen

I Muppet. Chi fra gli adulti belli fatti non ha graziose memorie dei dinoccolati pupazzi che arrivavano dall’America con le loro bocche di pannolenci rosso perennemente aperte? L’artista canadese Geoffrey Farmer non solo coopta l’amico immaginario di Big Bird per il suo personale teatro, composto d’installazioni e performance che cambiano radicalmente i connotati della galleria, ma è anche in grado di sollecitare un’autentica esperienza nello spettatore, sprofondandolo in un vivido incubo post-minimalista...


monika szewczyk: Prepariamo un attimo la scena per l’intervista, Geoffrey. Di norma ci si aspetterebbe da me che io scoprissi che cosa “mette in moto le tue lancette”(1) in quanto artista, attraverso una serie di domande acute – e certamente il tempo e l’orologio sono elementi importanti per te e tu potresti giocarci, fare il tuo gioco, fare tic-tac, e io starei a guardare e cercherei di riprodurre il tutto con frasi che terminano con dei punti interrogativi. Ma forse potremmo partire da un problema più specifico, come un’immagine (che venga bene sulla carta da giornale usata da Mousse)... magari qualcosa su cui anche tu hai ancora degli interrogativi e allora in quel caso potremmo essere sulla stessa lunghezza d’onda, entrambi impegnati nel tentativo di vedere e capire...
 
geoffrey farmer: Questa è l’immagine di un personaggio che appariva in Let’s Make The Water Turn Black, una scultura da me prodotta quest’anno per il Redcat di Los Angeles. Può fungere anche da orologio. Questa figura velata con un tubo sporgente rappresenta Aloysius Snuffleupagus, un Muppet del programma televisivo per ragazzi Sesame Street. È l’amico immaginario di Big Bird. Beh, era immaginario fino al 1985, poi divenne reale. Il primo Snuffleupagus poteva essere visto solo dai bambini e dai Muppets ed era interpretato da Jerry Nelson tra il 1971 e il 1978 (fino a quando s’infortunò alla schiena). Il secondo Snuffleupagus, portato in scena da Martin Robinson, diventò visibile agli adulti poiché gli scrittori volevano che i ragazzi sentissero di poter essere creduti se raccontavano qualcosa ai loro genitori. Nel 1985, negli Stati Uniti, fecero la loro comparsa, su mezzi d’informazione di primaria importanza, notizie di presunti abusi sessuali rituali, di impronta satanista, negli asili. Più tardi si parlò di “panico”.
La figura appare in diversi momenti in tutto il lavoro, sia in quanto reale sia come immaginaria. La pièce dura circa un’ora e si svolge in uno spazio buio e su un grande palcoscenico ribassato. Intreccia liberamente diversi racconti, che ruotano attorno all’asse portante di Frank Zappa. Nel momento stesso in cui Snuffleupagus diventava reale, testimoniava in Senato contro il Parents Music Resource Center. Quest’ultimo era un gruppo fondato da Tipper Gore, che voleva che le case discografiche mettessero delle etichette di avvertimento sugli album con contenuti sessuali o satanici.

ms: Intendi che Zappa testimoniò, oppure Jerry Nelson, che impersonava Snuffleupagus?

gf: Chiedo scusa, intendevo Frank Zappa, anche se Snuffleupagus avrebbe potuto benissimo esserci se non fosse diventato reale. Elmo (un altro Muppet) testimoniò davanti al Congresso degli Stati Uniti una volta.

ms: Trovo affascinante la figura che hai scelto perché ho l’impressione – proprio perché ricorrente nella storia culturale che descrivi – di averla incontrata precedentemente nel tuo lavoro, sotto spoglie differenti. Ora che le è stato dato il nome di Aloysius Sneffleupagus e che è portatrice del contenuto di cui mi parli (e di cui abbiamo qualche indizio grazie al titolo della tua opera – Let’s Make the Water Turn Black – una canzone della band di Frank Zappa, i The Mothers of Invention, che apparve nel loro album del 1968 We’re Only in it for the Money, in cui facevano una parodia dei Beatles) essa assume il carattere di una sorta di eroe storico, tragico.

Vorrei sapere qualcosa in più della particolare poetica e della forma di teatro che stai sviluppando. Innanzitutto, non posso fare a meno di notare una rima tra Sneffleupagus ed Oedipus, cioè Edipo – penso che ci troviamo nel reame di un allegorico dramma familiare, una sorta di teatro epico sulla scorta del ciclo tebano di Sofocle, che però, invece di essere ambientato in Grecia, si svolge più vicino a casa, nel Sud della California, nell’epoca della Generazione dei Muppet (siamo noi!). Ci muoviamo tra l’“infanzia” di Frank Zappa e le “Mothers” of Invention. Loro cantano “Facciamo diventare nera l’acqua” (“Let’s Make the Water Turn Black”) e d’altra parte non dobbiamo dimenticare che loro “sono lì solo per i soldi” (“only in it for the money”). Potrebbe essere una storia tutta americana di sogni infranti, ma poi l’intreccio si fa più denso. Almeno quando osservo la sceneggiatura del tuo Let’s Make the Water Turn Black...


01:00 – 
Le porte sono tenute aperte con delle rocce.
00:59 – Crack!!
00:58 – 
Un uomo arrabbiato prepara una bozza di sceneggiatura.
00:57 – 
Un dito verde e un gabbiano si librano sopra le acque nere.
00:56 – 
Viene accesa una luce verde per coloro che si sono persi.
00:55 – 
Un disco viene posto sul giradischi.
00:54 – 
Travis stende la pece sul palco, il colore della sua camicia viene scelto per le porte.
00:53 – 
Frank Zappa, all’età di 15 anni, fa una telefonata a Edgard Varèse.
00:52 – Clank! Klang!
00:51 – 
Inserzioni, aggiunte, registrazioni per riprodurre una forma.
00:50 – 
Dita nel naso. Suoni di macchine.
00:49 – 
Viene usata dell’uva passa per far diventare scura l’acqua.
00:48 – 
L’acqua scura produce alcol.
00:47 – Poi la cecità.
00:46 – 
L’oscurità crea uno spazio Kabuki.
00:45 – 
Nel 1603 Okuni solleva il proprio vestito nel letto asciutto di un fiume.
00:44 – 
Gli abitanti del villaggio ridono quando vedono il suo cespuglio. Dalla sua caverna esce il sole.
00:43 – 
Questo crea un altro giorno. L’esterno diventa interno.
00:42 – Nasce la piazza.
00:41 – 
Le tende sono usate come porte.
00:40 – 
Vengono ritagliati due buchi.
00:39 – 
Due ventagli come palpebre.
00:38 – Scratch. Scratch.
00:37 – 
Appare una luce rosa e viene rivelato un palco.
00:36 – 


Un tono basso.
Un tono alto.
00:35 – 
L’orologio continua a fare tic-tac.
00:34 – 
I personaggi sono immobili come statue.
00:33 – Emerge il teatro.

E questo è solo l’inizio! Puoi dirmi che cosa accade ad Aloysius Snuffleupagus man mano che la sceneggiatura che hai scritto è “messa in scena”? Che genere di teatro emerge?

gf: Aloysius Snuffleupagus era una sorta di combinaguai prima di diventare reale. Non nel modo di Oscar the Grouch (che ogni mattina mette del ketchup nella sveglia di Big Bird), ma come può esserlo un personaggio immaginario. Era ingannevole. Difficile da descrivere a coloro che non potevano vederlo. Del tutto inaffidabile. Mitico. Sono nato più o meno nello stesso anno in cui Sesame Street ha cominciato a essere trasmesso. Molti di noi sono stati parte dell’esperimento che, per la prima volta, si è servito dei suggerimenti di psicologi dell’infanzia per dar vita a un gioco di risposte all’analisi costante delle reazioni dei bambini agli episodi. Alcuni aspetti di ciò sono ora riemersi nel mio lavoro, come in Puppet Kit/Personality Workshop. In Let’s Make The Water Turn Black, m’interessava la correlazione tra Zappa che testimoniava e Snuffy che diventava reale. In quel momento le cose negli Stati Uniti cominciarono davvero a cambiare. Nel lavoro, Snuffy divenne una sorta di astratto cronometrista, un narratore che può comunicare solo attraverso i versi di un elefante. Era posizionato un po’ lateralmente sulla piattaforma, appariva e scompariva. La forma nascondeva un enorme subwoofer e degli altoparlanti che potevano emettere suoni molto profondi, che si avvertivano nel corpo. Versi lugubri di un elefante morente.

Non sono sicuro di che genere di teatro stia emergendo. Inizialmente, quando ho letto la tua domanda, ho pensato al titolo di un’altro dei miei lavori, Finally The Street Becomes The Main Character. Ha qualcosa a che vedere con il passaggio da oggetto a soggetto. Con l’andare avanti e indietro. In principio gli psicologi infantili non volevano che si vedessero degli attori umani che interagivano con i Muppets perché ritenevano che avrebbero confuso e indotto in errore i bambini. Ma, alla fine, la loro combinazione si è rivelata più interessante. Il lavoro stesso funziona in questo modo. È in parte pupazzo, in parte scenario e in parte strumento. Cambia continuamente. In termini teatrali, forse, è più una sorta di spazio, come un théatron; un luogo per la visione e l’osservazione collettiva.

ms: M’incuriosisce molto l’aspetto dell’invisibilità che hai menzionato prima o, per essere più precisi, del far apparire le cose che sono invisibili...

gf: Quando avevo quattro anni incontrai Big Bird durante un evento sinfonico pomeridiano a Vancouver. Era dietro le quinte e venne a incontrarci. Si avvicinò e quando si piegò per stringerci la mano riuscii a vedere abbastanza chiaramente uno schermo giallo con dentro una faccia. C’era anche del filo da pesca che gli teneva a posto una delle mani. Fu un’esperienza da brividi. Continuavo a ripetere: “Questo non è Big Bird, questo non è Big Bird!”, e tutti cercavano di tranquillizzarmi dicendomi che era lui. Ancora più strana fu forse la sensazione di non essere sicuro che anche altre persone riuscissero a vedere la faccia là dentro.

ms: È terrificante! Ho sempre pensato che quest’esperienza del non vedere ciò che tutti gli altri vedono fosse la quintessenza dell’esperienza dell’immigrato, dell’alieno; ma ora mi rendo conto che tutti probabilmente fanno quest’esperienza, e che se non si è l’immigrato, con ogni probabilità, essa è ancora più sconvolgente. Mi fa anche pensare a quello che Brecht chiamava Verfremdungseffekt (l’effetto di distanziamento o d’alienazione). Ma non sono sicura che si possa considerarlo con troppa facilità una forza politicamente “liberatoria”, come Brecht sperava. Ti ho chiesto che genere di teatro stessi facendo perché quando vedo il tuo lavoro ho l’impressione – in modo particolare a partire dal carro allegorico di Every Surface In Someway Decorated Altered, Or Changed Forever (Except The Float), per esempio – che ci troviamo nel reame di qualcosa di epico. Magari è una mia proiezione e io vedo nella tua opera qualcosa che tu non vedi. Ma forse il desiderio di proiezione fa anch’essa parte del théatron che stai costruendo. Tuttavia devo fare una precisazione: non voglio includere tutto il tuo lavoro nella categoria di “teatro epico” che gravita intorno all’opera di Piscator, Majakowskij o Brecht e che è argomento di dibattito a livello drammaturgico. Intendo “epico” in modo viscerale. In fondo Brecht si servì della definizione solo fino a quando optò per “teatro dialettico”, per cui il termine “epico” fu in qualche modo abbandonato e divenne un orfano. Forse il Muppet Show è parte di una storia non scritta di questa tradizione di un altro tipo di “teatro epico”. Se non si è letta o scritta questa storia, potrebbe risultare difficile riconciliare la tua inclinazione per i gesti assolutamente sciocchi con un’altra tendenza: l’introduzione di antiche associazioni e di cose che sono cariche di pathos, perfino di chronos. Questa sensazione si avverte in modo forte in The Last Two Million Years...

gf: Non so se voglio che quei due gesti si riconcilino. In un lavoro come The Last Two Million Years c’è quel che si vede e quel che si legge. Non necessariamente si possono combinare. Il libretto stampato su carta di giornale che accompagna il lavoro contiene testi che sono correlati, numericamente, al raggruppamento dei ritagli storici. I testi sono un miscuglio di dichiarazioni soggettive, talvolta umoristiche, e di descrizioni storiche che posseggono un maggiore pathos:

103. 
Nel nostro momento più disperato appare un ragnetto che porta buone notizie.
104. La mia testa ha preso fuoco.
105. 
Gli omosessuali nelle loro vesti elaborate, portano a passeggio un uccello esotico emerso da un arazzo.
106. Il telescopio riflettore di Isaac Newton.
107. Nessuno dei nostri figli è sopravvissuto alla guerra.

So che tu parli di qualcosa di leggermente diverso. Ma tra questi gesti c’è qualche legame. Volevo che il lavoro per il Redcat fosse una specie di caleidoscopio. Alcune parti sono immaginarie e altre somigliano più al mio incontro con Big Bird dietro le quinte. Le due cose si mescolano.

ms: Sono anche curiosa di sapere che cosa sarà di Let’s Make The Water Turn Black e di Aloysius Snuffleupagus nei prossimi, diciamo, due anni.

gf: Non per continuare a battere sullo stesso tasto, ma Snuffleupagus sarebbe dovuto rimanere immaginario. So che è importante che vi sia un consenso collettivo su ciò che vediamo, ma è stato davvero deludente e imbarazzante quando alla fine gli adulti l’hanno visto. È stato triste... come l’uccisione di un elefante. Elmo lo teneva saldamente per la proboscide, così non poteva fuggire e a quel punto gli adulti, con espressioni bizzarre sui volti hanno cominciato a dire: “Oh, è reale... ci dispiace non avervi creduto per 15 anni”. Poi gli hanno stretto la proboscide come fosse una mano! È stato terribile.

Ma per rispondere alla tua domanda, vi saranno cose sciocche accanto a cose cariche di pathos. Cose intenzionalmente sciocche, di un genere che sento tipico degli anni Settanta. Il genere di cose che sfida l’autorità (anche l’auto-autorità). È ciò che m’interessa nella stupidità di Frank Zappa. Era un personaggio molto interessante, un grande sperimentatore e un innovatore in campo musicale. Interessato fin da giovanissimo a Edgard Varèse e alla Musica Concreta. Non mi interessa la stupidità come posizione ironica, che per me ha più a che vedere con una sorta di differimento sardonico. Vi dev’essere un po’ di sincerità. Se l’opera ha una struttura epica, forse, è perché si occupa di una specie di materialismo umano mescolato a elementi disparati. Qualcuno che vive in un cestino della spazzatura e che ha qualcosa da dire.

Nei prossimi anni voglio sviluppare la colonna sonora/sceneggiatura e continuare a lavorare alle registrazioni sonore. È complicato e richiede un po’ di tempo perché le luci, il movimento degli oggetti e i suoni sono programmati al computer. È, al tempo stesso, un processo generativo e pianificato. Le cose accadono in determinate ore del giorno. Vi sono questioni tecniche che devono essere risolte. Il lavoro, così come esiste oggi, è la ricostruzione di una piazza di Los Angeles, quella fuori dal Japanese American Cultural Community Centre in centro. Uno dei problemi che ci siamo trovati ad affrontare è stato il rumore prodotto dal movimento delle parti meccaniche. Per esempio, vi è una scultura di Isamu Noguchi che può cambiare posizione. Quello di cui non ci eravamo resi conto è il rumore che avrebbe prodotto il braccio meccanico che muoveva la scultura. È stato davvero sorprendente. Sembrava quasi un camion della nettezza urbana. Faceva ridere le persone. Il riso, a volte, può essere un’arma a doppio taglio...

ms: ...ci vuole un abile equilibrio. C’è solo un’ultima cosa che sono curiosa di sapere, una cosa che in un certo senso si collega alle “questioni tecniche che devono essere risolte”: quale ritieni sia il ruolo delle macchine nel tuo lavoro e nel mondo? L’idea di cercare di imparare a suonare uno strumento ha qualcosa a che fare con il modo in cui tu pensi che noi (umani) dovremmo interagire con le macchine?

gf: Voglio essere cinicamente ottimista (nel vero senso della parola – cinico in quanto derivante da canino). Se dovessi scegliere una macchina per illustrare questo aspetto, sarebbe uno di quei marchingegni che si costruiscono per non dover sopprimere i propri cani quando perdono l’uso delle zampe posteriori. Sai, quelle piccole sedie a rotelle per cani.




1. Si tratta di una serie di giochi di parole sul verbo “to tick” (fare tic-tac, ma anche “to make someone tick” = far scattare, dare il via, ecc.) e sulla parola “watch” (orologio, ma anche “to watch” = osservare, guardare) [N.d.T.]