Next Exit Anno 9 Numero 87 maggio 2011
Nuove modalità di aggregazione e lavoro come quelle sperimentate da Toolbox, the Hub e Cowo
Toolbox ha compiuto un anno esatto qualche settimana.
Toolbox è la storia di una buona idea, di quelle che funzionano.
È a Torino, vicino alla Stazione di Porta Nuova: è uno spazio da condividere, per lavorare in autonomia. Un ossimoro? No, si chiama coworking ed è una modalità che sta prendendo sempre più piede: da the Hub (di matrice internazionale, con l’unica sede italiana situata a Milano) al network Cowo con sedi "affiliate" sparpagliate, isole comprese.
Immaginate di avere molto spazio, davvero troppo, tanto che - rispetto a quanto ne occupate per lavorare - il resto rimane vuoto. Viceversa, immaginate d’aver bisogno di uno spazio, per progettare, telefonare, incontrare clienti, fare quello che vi pare, insomma, ma di non riuscire a sostenere i costi (affitto o peggio acquisto) di quella stanza "tutta per voi" che vi consentirebbe di lavorare al meglio.
Ecco, il coworking nasce così: una collisione di esigenze e un cambiamento epocale di attitudini e di abitudini. La crisi economica ha ridimensionato le aziende e le loro esigenze, una per tutte quella di avere tante mastodontiche sedi, d’altro canto è molto difficile per i giovani professionisti, creativi in prima fila, riuscire ad accaparrarsi un luogo per lavorare, sia esso studio, ufficio o… "fucina". E c’è pure l’attitudine, propagata dal web 2.0 e dintorni, alla collaborazione, alla condivisione, al fare sistema.
Negli spazi del coworking ognuno lavora per sé, ma lo scambio nasce per forza di cose, tra vicini di scrivanina, o durante la pausa caffè.
In questo senso, l’esperienza di Toolbox è emblematica, tanto da meritarsi la menzione speciale al Contech Design Award e da attirare nel suo perimetro almeno un paio di "big": Coca Cola, che fa lì la propria formazione e l’onnipresente Google (nella diramazione italiana) che l’ha scelta come location per la comunicazione aziendale.
È Caterina Tiazzoldi, l’architetto che ha disegnato Toolbox, a raccontarci come questo progetto sia diventato una case history.
Nominata al prestigioso Cooper Hewitt Museum National Design Award, un passato di ricercatrice a Columbia, a Santa Fe e presso il Politecnico di Torino, Caterina mette a fuoco le caratteristiche principali di Toolbox: il giusto mix di privacy e condivisione. Un crinale sottile, che le ha permesso di soddisfare le esigenze di professionalità differenti. Ma come?
Tutto inizia con lo spazio – 1300 metri quadri, circa – in origine una sede distaccata della Symantec: il classico centro direzionale anni Settanta, che lei ha completamente rinnovato traendone un open space con 44 postazioni, cui si sommano una serie di altri servizi, dalla sala riunioni, al locale stampanti, dalle cabine insonorizzate per telefonare, alla cucina, fino allo spazio relax. C’è perfino un patio!
Il rischio di lavorare in un open space è duplice - spiega Caterina - c’è la distrazione, ma anche le inevitabili frizioni. Problemi risolti grazie alla domotica, che rende facili le "relazioni" di buon vicinato, automatizzando alcune operazioni, come la gestione degli spazi collettivi. Per il resto, la presenza delle aree relax, bar, cucina permette a chi lavora di individuare i luoghi e i momenti opportuni per intessere socialità.
E non è vero che uno spazio come Toolbox richiami solamente professionisti della creatività: il bello – dice ancora Caterina – è vedere come nascano scambi o progetti comuni anche tra persone che normalmente si percepirebbero piuttosto lontane.
Alla fine, abbiamo deciso di sentire un’altra campana: una che a Toolbox ci lavora, per sapere come si sta e che cosa succede in un ufficio condiviso.
Manuela Roncon ha fondato lo studio di grafica e interactive design We Are Yeti con Stefano Maccarelli, sono a Toolbox col passaparola.
"È molto bello poter parlare ogni mattina con persone diverse che fanno lavori diversi: parlare del tuo nuovo progetto creativo con un avvocato o con un ingegnere può farti scoprire punti vista che non avevi considerato; grazie a questo humus in Toolbox sono nati i progetti di "We Are Yeti" che ci piacciono di più" dice. Poi la domanda fatidica: perché scegliere il coworking?
"Certo, alla fin fine uno ha bisogno di affittare un posto dove lavorare, ma se sceglie un coworking è perché vuole qualcosa di diverso dal solito ufficio, ha bisogno di dinamicità, di un posto vivo, di un contenitore sempre nuovo, nel vero senso della parola".