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Juliet Anno 31 Numero 151 febbraio-marzo 2011



Giuseppe Morra e il Museo Nitsch

Antonella Palladino



Art magazine


SOMMARIO JULIET n .151


Copertina: GIOVANNI PULZE, in una foto di FABIO RINALDI

MAURIZIO BORTOLOTTI E LA FORMAZIONE DI UN CURATORE di Roberto Vidali

OBSERVATORIUM THE WORK IS NOT FINISHED di Stefania
Meazza

CONTAMINAZIONIKAC vs POLLI di Giuseppe Biasutti

GIUSEPPE MORRA IL MUSEO NITSCH di Antonella Palladino

JENNIFER FLAYUN’INTERVISTA SUL FIAC di Giulia Bortoluzzi

Le dolci perfidie di RAY CAESAR di Bruno Benuzzi

AFRICA ASSUME ART POSITION di Emanuele Magri

JULIA DRAGANOVIC di Angelo Bianco

H, rubrica di Angelo Bianco

Notiziario Spray di AA.VV.ecc. ecc.
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Giuseppe Morra (a sin) con Hermann Nitsch
Foto di Maurizio Cimino

Il Museo Nitsch di Napoli
Foto di Fabio Donato

Malaktion di Hermann Nitsch
Napoli 11 agosto 2008

Il Museo Nitsch nasce dal restauro di un’ex centrale elettrica che forniva energia al Teatro Bellini. Una scelta che deve essere molto piaciuta ad Hermann Nitsch, inventore del Teatro delle Orge e dei Misteri. Frutto del caso? Coincidenza?
 Luogo propulsivo di energia, il Museo diventa il fulcro di un’ulteriore avventura in cui si lancia Peppe Morra: la nascita di un Quartiere dell’arte che trae linfa proprio da questa inesauribile fonte culturale. Un quartiere si fa città e Napoli diventa città globale.

Mi piacerebbe iniziare la nostra conversazione dalla fine degli anni ‘60 da quegli incontri ed esperienze che portarono all’apertura dello Studio Morra nel 1973. Come si svolsero gli eventi?
Ovviamente è una domanda a cui ho già tante volte risposto e ricordo proprio l’intervista di Roberto Vidali per la rivista “Juliet”. Devo dire che l’esperienza dello Studio Morra rimane per me un punto di riferimento importante. È necessario, invece, andare oltre quell’intervista che riguardava la mia crescita repentina, veloce, come notava Vidali, senza che io stesso in quegli anni mi rendessi conto di quello che stava accadendo. C’era questo bisogno forte di oltrepassare il confine tra la conoscenza e la necessità di sperimentare direttamente quegli avvenimenti, il prima possibile. Stavamo a cavallo degli anni ‘80 e in noi c’era quello spirito giovanile che ci stimolava a spingerci al di là di quelle che erano le condizioni di una realtà storica dell’arte retriva. Poi successe che nel ‘92 feci il passaggio dallo Studio alla Fondazione, trasferendola in via Vergini, quartiere Sanità. Nasceva quindi un progetto di inserirmi in un quartiere della città più bisognoso, con l’intenzione di dare un contributo estetico, filosofico oltre che sociale.

Questo accadeva perché anche l’arte scandalosa iniziò ad attirare un certo tipo di pubblico e lo Studio divenne un luogo in?
Sì, io cerco sempre di evitare quelle che possono essere le mode o i valori troppo condivisi. Mi piace lavorare ai margini della storia, non mi interessa la storia, non ho memoria. La mia ricerca è protesa verso il futuro, non abbandonando mai il presente. Il trasferimento è stato quindi una maniera differente di pensare l’arte. Infatti la prima mostra alla Fondazione, in via Vergini, nel Palazzo dello Spagnuolo, fu quella di Aldo Loris Rossi, Econeapolis. Guardava alla possibilità di una riqualificazione urbanistica della città di Napoli fondata sulla vivibilità e sul recupero. Significava affrontare la condizione del bisogno, in modo da allargare il discorso estetico alla necessità di conoscenza delle persone coinvolte nei luoghi.

Si sviluppò per esempio anche un’attenzione nei confronti della formazione?
Infatti in quegli anni mi era amico Luigi Castellano. La Fondazione Morra nasceva non a caso come Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive, ovvero pensare l’arte come sconfinamento nell’estetica della comunicazione, un concetto abbastanza nuovo negli anni ‘90. Proprio con Luigi Castellano tentammo di approfondire questo discorso in un luogo che si è dimostrato difficile. Ci fu questo tentativo di investire nella formazione. Facemmo una richiesta alla Regione Campania con Antonio Neiwiller per gli spazi sovrastanti per creare un laboratorio per i giovani destinato all’attività formativa.

L’interesse sociale è stato sempre predominante rispetto a quello per il mercato?
Scelgo di muovermi nei territori in cui sono a stretto contatto con gli artisti, per me è fondamentale, partecipando in prima persona alla genesi e alla configurazione, non solo della forma, ma anche della loro poetica. Riguardo al rapporto con il mercato, non ho mai fatto l’agente degli artisti. Mi sono sempre occupato di produrre i lavori e questo mi ha permesso, a distanza di trent’anni, di allestire un magazzino, un capitale che poi mi ha dato la possibilità di progettare anche altre attività, come quella editoriale oppure la realizzazione di rilevanti eventi anche di portata internazionale.

Parlando proprio dell’attività editoriale, essa nasce già con lo Studio Morra, prosegue anche adesso?
Sì, l’attività editoriale è sempre stata una mia passione, mi piace persino andare in tipografia e concepire il libro insieme al tipografo. Infatti, tra i miei futuri progetti c’è quello di creare un luogo di pubblicazione dei libri con una stamperia dove, fra macchinari e inchiostri, poter progettare e realizzare in prima persona volumi, eruditi, ma anche inconsueti nella veste tipografica.

Come mai ha sempre però evitato di pubblicare testi di critici?
Perché lavorando e vivendo sempre a contatto con gli artisti, volendo giungere alla concezione filosofica, nessuno più di loro riesce a dare un significato al proprio lavoro. Il critico poi non vive la situazione conoscitiva di un’estetica diretta, molto spesso compie quasi dei collage di pensieri altrui. È stato raro leggere in qualche critico dei pensieri che mi potessero interessare. Sono stati i filosofi che mi hanno sempre guidato nella scelta estetica e quindi io seguo questa linea.

Come nasce l’idea di questo ulteriore passaggio dalla Fondazione a due sedi diverse: Fondazione e Museo? Cosa cambia?
La Fondazione Morra è stata un’esperienza straordinaria in un posto bellissimo dove si sono svolti tanti eventi, ma devo dire che poi è nata l’esigenza di questo progetto. Dall’incrociarsi di diverse situazioni ed occasioni è nata la sede di piazza Dante dove cerchiamo di allestire delle mostre, ma soprattutto i due spazi contigui: il Museo Nitsch dedicato all’artista che io amo di più e la grande Biblioteca-Mediateca dove verrà sistemata la maggior parte dei libri dagli anni ‘50 ad oggi. Una particolare attenzione è stata data al mondo della Performance, del Fluxus, dell’Azionismo Viennese, del Lettrismo e della Poesia Visiva, non dimenticando le due Avanguardie del Futurismo e del Dadaismo e dando la possibilità ad alcuni artisti come Vettor Pisani, Luca Maria Patella e Julian Beck del Living Theatre, di cui possediamo quasi l’intera opera pittorica. Sto pensando infatti a una sua grande mostra…

Ha detto che le piacerebbe organizzare una mostra che riunisca queste tre grandi personalità: Shozo Shimamoto, Allan Kaprow e Julian Beck insieme ad Hermann Nitsch. Ci sta ancora pensando?
Questo è un pensiero di lunga data, avevo già espresso il mio desiderio di metter su una grandissima mostra di questi giganti della pittura e del teatro. Spero che in questo momento di particolare energia possa venire fuori.

Andando oltre il Museo tradizionalmente inteso si parla di Museo Archivio Laboratorio, per cui il fruitore è davvero partecipe. Come si realizza tutto ciò?
Il Museo è un museo. Ma al di là dell’attività meramente espositiva abbiamo anche degli ospiti che provengono da diverse aree culturali dall’Istituto d’Arte, dall’Accademia di Belle Arti, dalle Università italiane e straniere. Quindi il nostro è davvero un laboratorio di formazione.

Lucio Amelio portò a Napoli una personalità importantissima nel mondo dell’arte Joseph Beuys. Lei scelse Hermann Nitsch a cui ha dedicato un Museo. Quale dei due messaggi è stato recepito al meglio secondo lei?
Sono due grandi. In modo particolare a Napoli a Nitsch è stato dedicato un museo. In questo momento il messaggio di Nitsch diventa “più letto” di quello di Beuys. I giovani stanno andando oltre un pensiero di un’arte socio-politica e stanno cercando di capire l’estetica dell’arte e del teatro, per questo Nitsch diventa l’artista più interessante a cui guardare in questo momento.

Interessante è il fatto che il Museo nasca in un’ex centrale elettrica che forniva energia proprio a un teatro, il Teatro Bellini…
I casi della vita e le coincidenze! Ma sono coincidenze anche favorevoli che offrono spunti per considerazioni: l’energia qui si alimenta continuamente…

E sconfina anche nel quartiere…
È continuata e si è allargata. L’11 settembre abbiamo inaugurato il biennio del Museo Nitsch con una nuova installazione di opere napoletane dove sono state già sistemate le precedenti opere delle performance realizzate a Napoli, più quella che è stata fatta adesso: la 130° Azione. Il lavoro su Nitsch continua e prosegue oltre Nitsch nel progetto del Quartiere dell’Arte, con una manifestazione di interesse al Comune di Napoli, ente attuatore del Piano Strategico Unesco, per il recupero di due importanti spazi del quartiere: il convento delle Cappuccinelle e la Chiesa di San Giuseppe a Pontecorvo, per poi estendersi alla Chiesa di Gesù e Maria.

Ancora una nuova esperienza che stavolta sembra unire arte, design e soprattutto artigianato…
Il progetto del Quartiere dell’Arte non è soltanto quello della pittura, della musica, del teatro. C’è un forte bisogno sociale come accennavamo all’inizio. Le città rischiano moltissimo. Se non si recupera questa capacità individuale nel realizzare le cose, sono proprio le energie economiche in un quartiere che vanno ad allontanarsi. I supermercati non servono più! Non voglio essere retrogrado, ma la qualità di un prodotto è molto importante.

Verrà riprogettato anche l’arredo urbano?
Non si vuole fare un lifting al quartiere come molte volte è stato fatto a Napoli. Il quartiere deve ridiventare quartiere. Napoli è come un pugile che ha preso tanti pugni in faccia. Resta comunque una città che ha una buona capacità di reazione. Potrà essere protagonista di un qualcosa che potrà succedere anche nelle altre città del mondo.

Il progetto prevede infatti la possibilità di essere esteso anche ad altri quartieri…
Beh, mi pare che tu conosci già tutto! Sì, c’è un Manifesto scritto da Pasquale Persico che è stato esposto anche qui al Museo Il quartiere si fa città. Dalle nostre esperienze e condizioni di proporre i quartieri limitrofi si possono unire in un progetto comune e analizzare insieme altre possibilità di allargamento.

La stessa cosa è stata sperimentata anche a Ferrara: come nasce questo rapporto?
Abbiamo fatto un incontro con Ferrara perché Pasquale Persico, ideatore del progetto, aveva avuto un’esperienza lì nel centro storico. Il nostro è un progetto differente che può essere comunque condiviso in altri posti del mondo, anche in America. Quando le buone cose nascono, si auspica sempre che possano arrivare in più parti.

Che rapporto intrattiene con le gallerie storiche e quelle sorte più di recente a Napoli?
C’è un rapporto di grande stima ed è un po’ il nostro orgoglio. Negli anni ‘70 quando nasceva lo Studio Morra si era in pochi: Lucio Amelio, Lia Rumma, Trisorio, poi dopo si sono aggiunti Artiaco, Di Marino, Fonti, Grilli, la t293… Sono tutti compagni che fanno un lavoro straordinario nella città di Napoli. Appena ci sarà una qualche possibilità di partecipazione saremo pronti ad allargarci. C’è questo intento di coinvolgere i privati e non solo. Uno dei motivi di polemica con il Madre è stata proprio questa mancanza di un progetto, prevedendo il momento di difficoltà attuale. Resta comunque uno dei musei più importanti in Italia e il merito va anche alla Regione Campania che ha realizzato un desiderio di noi tutti napoletani.

Quanti anni ci vorranno per realizzare il Quartiere dell’Arte?
Credo che per il 2013, se le istituzioni lo condivideranno, sarà pronto.

In tempo per il Forum delle Culture?
C’è sia il Forum delle Culture sia il Piano Strategico Unesco. Due forze straordinarie. Se riuscissero a coinvolgere anche i privati, sarebbe fantastico. Ma non soltanto per condividere idee politiche o per portare voti. Il politico deve fare il politico come chi si occupa di cultura deve fare cultura.