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Stile Arte (2006-2011) Anno 14 Numero 133 luglio-settembre 2010



La tela armonica

Enrico Giustacchini

Intervista a Franco Battiato.



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea
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Franco Battiato
Autoritratto di spalle

Franco Battiato all’opera

Copertina Stile Arte n. 133

“Ho iniziato a dipingere vent’anni or sono, spinto dalla mia incapacità”.
Un percorso di “terapia” che lo ha condotto agli esiti attuali, sorprendenti e fascinosi,tra istintiva adesione all’eternità dell’archetipo e tensione costante e sofferta alla verità della rappresentazione


Battiato, lei è un artista sui generis. Forse l’unico che dichiara di aver iniziato a dipingere grazie alla propria clamorosa incapacità di farlo.
E’ vero. Da piccolo il mio disegno era pessimo, i voti, a scuola, bassissimi. Con l’età, ciò è andato se possibile peggiorando. Per me era un problema serio, un autentico handicap. Non è certo inconsueto che una persona non abbia talento per la pittura: ma il mio caso era diverso. Mi rendevo conto della mia inettitudine ad eseguire una rappresentazione “normale”: qualsiasi cosa diventava una cosa diversa. Se disegnavo un bicchiere, gli altri vedevano un triangolo. La mia idea dell’oggetto era astratta, archetipa.
Finché decisi di affrontare la questione. Comprai colori, pennelli e tele e cominciai a dipingere. Il primo anno fu un anno di sofferenza, di sofferenza pura. Talvolta stavo davanti al cavalletto anche per dieci ore di seguito, e la sera disfacevo tutto, come Penelope. Caparbiamente, da solo, senza mai ricorrere a maestri o manuali. Poi, dopo tanti sforzi e tante delusioni, un bel giorno all’improvviso la figura di un danzatore derviscio si materializzò sulla tela, nel modo giusto, nel modo che volevo. Fu una gioia immensa, anzi di più. Fu un orgasmo cosmico.

Quindi la “terapia riabilitativa” (come lei ha definito, con grande autoironia, la sua attività pittorica) ha funzionato. Lei ha continuato a dipingere, da allora.
Sì, e sono passati vent’anni. Certo, io faccio, come si sa, un altro mestiere. E non nascondo di essermi concesso delle pause. Ho trascorso anche due anni senza prendere in mano un pennello. Le fasi di riposo, del resto, sono necessarie. Per riflettere, perché le cose maturino dentro di noi. Per quanto mi riguarda, ogni volta che, in pittura, mi sono affidato a gesti istintivi, impressionistici, non dominati, ho fallito, sono tornato alle origini, a quel “cane” che ero.
Ritengo che la pittura debba essere invece finalizzata al miglioramento. Ciò vale, almeno, per me. So che molti considerano la tensione a migliorarsi un ideale artistico anacronistico e ridicolo, ma non me ne importa. Io, questo ideale, insisto a perseguirlo con convinzione.

Si è parlato, a proposito della sua produzione, di un ricorso a modelli precisi e ben definiti dell’arte antica, in particolare le icone bizantine ed i fondi oro medievali. Io giudico che tali osservazioni siano improprie, e che semmai l’adozione di codici formali ed estetici in qualche modo simili nasca quasi inevitabilmente, sulla base di un’intima adesione ad un pensiero comune, intriso di spiritualità, che supera le barriere temporali.
In effetti, credo che ci sia, tra le icone antiche ed i miei quadri, una distanza abissale. Le icone poggiano su leggi precise, che l’artista deve rispettare: ogni colore, ogni elemento formale corrisponde ad un preciso significato. Nei miei ritratti non c’è nulla di tutto ciò.
Per quel che concerne i fondi oro, banalmente per me l’oro, in quanto metallo prezioso, è garanzia di purezza, e usarlo mi ha messo al riparo, per dirla con una battuta, dai… gesti inconsulti a cui facevo riferimento poc’anzi. Che poi si ravvisino coincidenze stilistiche, strutturali o compositive tra queste tipologie di opere e i miei dipinti non deve sorprendere: io sono legato, com’è palese anche nel mio lavoro di musicista, ad un’estetica archetipica.

I volti umani sono soggetti ricorrenti della sua pittura. Non volti idealizzati, però, ma volti di persone “vere”.
Non è sempre stato così. Nel primo periodo della mia attività, i ritratti che eseguivo erano di persone immaginarie. In seguito, ho iniziato ad affrontare persone reali. Anche questa è stata una sfida, per me, una sfida irta di difficoltà. Mi sono applicato molto, molto ho studiato per acquisire la tecnica necessaria. Poter contare sull’immagine fotografica dei soggetti per me era e rimane fondamentale.
Ad un certo punto, gli amici hanno cominciato a chiedermi il ritratto dei loro figli. Io esitavo, perché a me interessava assai più raccontare, attraverso il volto, esistenze sofferte, vissute. Poi, ho finito per accontentarli, ed è stato così che ha avuto origine la serie di visi di bimbi, che mi sembra riuscita piuttosto bene. Tra l’altro, la somiglianza è davvero strabiliante.

Come si situa rispetto al tempo Franco Battiato, quando dipinge e non solo?
Nel rapporto con il tempo passato, non c’è nostalgia. Pensare al passato come un rifugio sarebbe un tradimento. Il tempo è per me invece, semplicemente, ciò che permette, mediante la memoria, di misurare la distanza. La distanza tra me e altri uomini prima di me, ma pure la distanza tra il Battiato di una volta e il Battiato attuale. Un utile confronto, magari anche per rivedere e riscoprire quel… pirla che ero.

La ricerca costante della bellezza che traspare nei suoi quadri può essere intesa quale implicita denuncia della distruzione della bellezza stessa, ed insieme dell’irrisione dell’intelligenza e della spiritualità ad opera degli uomini della nostra epoca?
No, ciò non ha alcuna influenza sulla mia pittura. Io credo ad una dimensione superiore, e guardo quanto sta avvenendo con un certo distacco. C’è in me, è naturale, il dispiacere per la condizione di degradazione, di primitivismo allucinante a cui i miei simili si sono ridotti; c’è la compassione per l’abisso che si sono scavati ed in cui sono prossimi a precipitare. Sono convinto che ci stiamo avviando verso un mondo veramente brutto, un mondo in cui succederanno cose terribili.

Un mondo a cui lei ne contrappone uno ben diverso, un mondo guidato dall’armonia. E l’armonia, il ritmo, sono elementi comuni a tutte le modalità espressive a cui si dedica: non soltanto la pittura (pensiamo alla serie dei Dervisci danzanti) e la musica, ma anche il cinema…
Anche il cinema, già. Io ho realizzato tre film, e so che il ritmo, la cadenza, garantiscono risultati straordinari. Non concepisco l’idea di un regista antimusicale. Salvo poi scoprire che ci sono film di cui non riesco a vedere nemmeno una sequenza, e che pure riscuotono grande successo popolare… Ma questo è un altro discorso.

Tra le sue creazioni pittoriche, molto interessante è il trittico con l’autoritratto.
Lì mi sono effigiato di spalle. Sono io, sicuro, ma se non lo avessi indicato nel titolo nessuno potrebbe affermarlo. Non credo ci sia mai stato, prima, un autoritratto di spalle. L’ho iniziato dieci anni fa, e, a lei lo voglio confessare, non è ancora finito… Sì, è un work in progress. Mi ci vorranno altri mesi per concluderlo, ammesso che proprio lo debba fare. Io di solito uso tele di piccolo formato: qui, invece, ognuna delle sezioni del trittico è alta due metri, e trasportarla, muoverla, ruotarla diventa complicato, una faticaccia. Credo che non dipingerò più opere di tali dimensioni, ma mai dire mai…

Di notevole fascino, in questo lavoro, è il contrasto tra l’interno della stanza e la natura all’esterno, che appare con violenza dallo squarcio della finestra aperta. Che importanza ricopre, nei suoi quadri, il paesaggio, e nello specifico il paesaggio della sua terra, Catania, la Sicilia?
Io sono una persona che ha la caratteristica - o il limite, chissà - del “dove mi trovo, sto”, fosse anche davanti ad un muro. E’ chiaro che quando, come ora, sono immerso in questa supernatura nutrita dall’Etna alle mie spalle, le sensazioni che provo sono ben differenti rispetto a quando sono in una grande città, in mezzo al traffico e allo smog. Io, però, non rifiuto quella realtà. Io sarei disponibile a stare dappertutto, persino in galera (purché non mi ci avessero rinchiuso per aver fatto del male, beninteso). Anzi, no: andare in galera da innocenti, che cosa tremenda. Ogni tanto capita, ma non dovrebbe capitare. Meglio cento colpevoli liberi che un innocente in galera, non è d’accordo?