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Juliet Anno 30 Numero 147 aprile-maggio 2010



L'Arte della Sopravvivenza

a cura di Luciano Marucci



Art magazine


Sommario
Aprile 2010, n. 147

* Copertina di Nicola Samorì

* Gigantismo: metodologia o spettacolarizzazione, 3° puntata, di Matteo Bergamini,

* Più vero del falso, di Lorenzo Taiuti

* Ernesto Jannini, di Roberto Vidali

* L’arte della sopravvivvenza, 2° puntata di Luciano Marucci

* Art Ljubljana, 1° puntata, di Giulia Bortoluzzi

* David Bowes, di Maria C. Strati

* Focus Sicilia, 2° puntata, di Maria F. Bellio

* Ritratto da Milano (Allegra Ravizza), di Luca Carrà

* Ritratto da Trieste (Alessia Merz), di Fabio Rinaldi

* Ritratto da Torino (Francesco Manacorda), di Simona Cupoli

* Rubrica di Angelo Bianco

* Notiziario Spray

ecc., ecc.
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Joseph Kosuth

Luigi Ontani

Michelangelo Pistoletto

Per lasciare più spazio agli interventi, ricordo a chi non avesse letto la premessa alla prima puntata (pubblicata nel numero precedente di questa rivista), che l’inchiesta-dibattito a distanza su L’Arte della Sopravvivenza è incentrata sull’impegno etico dei creativi e degli intellettuali in rapporto alle attuali problematiche esistenziali. Da ‘moderatore’ attento al divenire dell’arte - che per sua natura è ricerca e spesso ha l’obiettivo primario di stabilire un autentico legame con la realtà esterna - pur sapendo che essa da sola non riesce a salvare il mondo, sto coinvolgendo personaggi, a livello internazionale, rappresentativi di discipline e tendenze estetiche diverse. A volte, per riassumere il senso dell’iniziativa, è stato necessario formulare domande integrative simili a quelle riportate nel testo di Joseph Kosuth. I contributi già si delineano piuttosto differenziati: gli artisti che praticano il linguaggio del corpo o che trattano tematiche ispirate al quotidiano si esprimono in maniera più decisa; altri difendono la specificità e l’autonomia dell’opera; altri ancora preferiscono risposte indirette ricorrendo alla metafora. Critici e scrittori, com’è intuibile, sono più propensi all’analisi e alla dialettica. Naturalmente tutte le testimonianze, per un verso o per l’altro, contribuiscono a formare il quadro dell’esistente. D’altra parte la verità, più che nel pensiero unico o nello stereotipo, può essere trovata nella pluralità delle identità. Allora è importante partecipare con franchezza al confronto di opinioni per provocare una riflessione più ampia sull’argomento e offrire indicazioni che in qualche modo sono utili alla costruzione del futuro.

Bruno Corà, critico d’arte
La diversità di sensibilità prodotta dalla creazione artistica è talmente ampia da rendere difficile se non impossibile un serrato confronto tra autori e opere che suscitano sentimenti di impegno sociale e autori e opere che sembrano eludere deliberatamente tale richiamo. Peraltro, da una stessa personalità possono provenire creazioni ‘impegnate’ o di totale ‘distacco’ rispetto alla realtà e non è infrequente che artisti attivi in differenti ambiti, dalle arti visive alla musica, dal teatro alla poesia, alla letteratura fino all’architettura e altro, concepiscano e realizzino opere non ideologicamente orientate ma intrise di valenze ‘civili’ innegabili. È stato questo l’obiettivo del Bauhaus e in seguito lo ha affermato anche Francesco Lo Savio a proposito dei suoi Metalli (1960), là ove in Spazio Luce scriveva di avere tra l’altro realizzato «allo stesso tempo una partecipazione sociale chiara con oggetti che rimangono in un limbo dell’utile ma di cui la qualità nella loro dignità civile è inequivocabile». L’arte si è vestita di panni insoliti, sorprendenti, straordinariamente efficaci sia nell’enunciare la propria partecipazione ai fatti della vita, prendendo su di sé, talvolta in modo radicale, ogni contraddizione, senza rinunciare a fortissime prese di posizione, sia, al contrario, volgendo le spalle alla cronaca, al costume o alle ideologie dominanti e fornendo sermoni eloquenti, negativi, ironici. Se ciò è avvenuto per mano di Caravaggio o di David, di Hogart o di Goya, di Courbet o di Lautrec, di Picasso o di Dix, nondimeno è avvenuto anche con Villon e Rimbaud, con Chaplin e Rossellini, con Pasolini e Sciascia, con Rostropovic e altri. Ma allora la questione sembra richiedere un’ulteriore considerazione: è infatti necessaria un’attenta osservazione e comprensione non solo di ‘quale’ contenuto sia veicolo un’opera, ma anche di ‘come’ esso in lei si annunci. La modalità linguistica è determinante, poiché è in essa che si compie l’eventuale ‘creazione’. In quella epifania di “modi” che si manifestano nell’opera si attua il quid fragrante che diversifica una creazione da un’altra. E talvolta è questione di poco, una lieve inclinazione, un’induzione minima capace di suscitare emozione o partecipazione, distacco e verifica critica; con esse l’opera diviene organismo attivo, politico, poetico. Acquisita quella consapevolezza indicata nel ‘60 da Castellani, secondo cui «la possibilità è quella di un’arte in cui il valore semantico del linguaggio … (è) garanzia … di una più coerente adesione alla realtà culturale del nostro tempo»; il problema dell’etica perciò, in un’identità creatrice si restringe all’uso autentico dei mezzi e dei modi nella testimonianza, al minor coefficiente possibile di menzogna impiegato nell’esercizio artistico. Diverso e senza certezze, l’artista ha un dna obiettore. Pure essendo finzione l’arte però se la vede col vero e col falso, col vivente e con l’entropico. Ci sono artisti che fanno una scelta di campo e artisti che restano neutrali. In una creazione è interessante una certa qualità eraclitea, ma alla fine ciò che conta è, in tutti i casi, se essa è ‘riuscita’ di fronte ai presupposti della sua eventuale (e possibile) autenticità. Qui infatti si parla di passione e non si intende scomodare “le verità”.

Piero Gilardi, artista
L’opera non esiste più. Era la proiezione di un soggetto ideale “unanimità” e autocentrico che è ormai sceso dal piedistallo. Diciamo che il fare creativo ha un valore fondamentalmente relazionale e per questo non può che riflettere i vari processi di interrelazione: corpo/ambiente, individuo/comunità, gruppo sociale/società globale, umanità/biosfera. La decorazione alligna sempre nelle gallerie d’arte contemporanea, così pure la più dignitosa critica di costume. È sempre più raro trovare in galleria artisti coscienti e partecipi dell’intelligenza collettiva, intendo attivi all’interno di un progetto di trasformazione sociale e/o culturale. Molti artisti attivi - singoli, in coppia, in gruppo - sono proprio fuori dalla scena e dal mercato dell’arte, eppure riescono a lavorare, a riflettere e a diffondere le loro ipotesi estetiche/etiche. Ad esempio gli artisti ecologici, o bio-artisti che lavorano sul cruciale problema del riequilibrio ambientale, della “decrescita” e del modello complessivo di una società eco-sostenibile. Con la mia associazione ACPAV, abbiamo lavorato sei anni per costruire un laboratorio permanente - il Parco d’arte vivente della città di Torino - che è una struttura pubblica (una volta si diceva un bene comune), ma la Torino, capitale del contemporaneo, fa finta di non accorgersi che c’è, che accoglie migliaia di cittadini e che mette gli artisti in grado di esprimersi a tutto campo. [ph. A. Lercara]

Joseph Kosuth, artista
Gli artisti e gli intellettuali in genere, di fronte all’attuale crisi del sistema sociale e culturale, dovrebbero trattare tematiche riferite alle problematiche del presente per stimolare l’opinione pubblica?

Gli artisti, per gli obblighi morali della loro professione come produttori di coscienza, durante una crisi sociale e culturale hanno una responsabilità speciale. Ma per essi, da quando è iniziato il periodo del Modernismo e, in particolare da quando è terminato, è stata proprio una necessità l’avvicinarsi al loro lavoro guardando alla crisi sociale e culturale come a una costante e continua caratteristica dell’esistenza umana. Questo è un risultato della scienza, divenuta la religione dominante; della tecnologia, diventata un aspetto formativo della nostra cultura, e con entrambe al servizio di un mercato globale dominante, che riflette valori americani e che è un prodotto di “nessun luogo”, senza quel radicamento locale che crea la cultura umana. Detto tutto ciò, gli artisti devono vedere la loro attività come intrinsecamente politica e non devono rischiare di creare un tipo di opera tradizionalista e, paradossalmente, essenzialmente apolitica: una forma di pubblicità con un messaggio politico “corretto”. Gli artisti devono fare opere che pongono domande sui problemi stessi che l’arte, all’interno della cultura, deve rappresentare per il carattere essenzialmente politico della missione dell’arte, che va messa in grado di produrre effetto. Senza ciò non può esserci evoluzione. Se l’opera di un artista non fa domande sulla natura dell’arte stessa, quindi domande sulla cultura che forma la nostra consapevolezza, è fondamentalmente apolitica.

Gli artisti dovrebbero partecipare responsabilmente alla costruzione del futuro del mondo?
La domanda implica una scelta quando, in effetti, è il carattere della nostra attività di artisti. Gli artisti creano il senso. Quella è la nostra attività. Coloro i quali vedono l’esperienza artistica semplicemente come una manipolazione di forme e colori, e poi aspettano che il mercato fornisca un significato, tradiscono la loro responsabilità di artisti.

...Oppure dovrebbero limitarsi a fare l’arte per l’arte o per il mercato producendo solo lavori contemplativi, autoreferenziali, neutrali o addirittura evasivi?
Con tutto il rispetto, la tua domanda sottintende una posizione tradizionalista e stereotipata che considero falsa. Per me è una versione interiorizzata, ereditata dalla dicotomia del vecchio Soviet-style e rivela sia una visione meccanicistica di come l’arte e la cultura agiscono, sia un’idea molto limitata della natura dell’arte stessa. Le nostre scelte non sono, come insinua la tua domanda, circoscritte al Realismo Socialista, al mondo di Disney, alla pubblicità; oppure lavori guidati e definiti dal mercato come quelli di Jeff Koons e Damien Hirst. Gli artisti con le loro opere hanno da porre delle domande reali, che spesso sono complesse e indefinibili, e tali scelte, se limitate, bloccano in modo pericoloso un discorso necessario.

Ma le mie volevano essere domande-stimolo alternative...
Ritieni che oggi gli artisti abbiano un sufficiente impegno etico-sociale?

Sicuramente alcuni lo hanno e altri no. Trovo la parola “sufficiente” un po’ fastidiosa. Sufficiente per chi e per quale programma? Non per nulla Wittgenstein disse: “L’estetica e l’etica sono tutt’uno”. L’unica vera fondatezza della tua domanda sta nel momento della produzione, cioè su quanto un artista è disposto a compromettere il proprio lavoro e la sua integrità per ragioni esterne al processo del fare stesso. Come ho detto, gli artisti creano il senso e Wittgenstein si stava riferendo all’integrità del processo interrogante di cui è costituita la pratica di un artista. È questo il nucleo che fornisce a un’opera d’arte la sua vita politica. Questo è anche ciò che dà a un artista l’autorità morale ed etica; l’indipendenza che l’arte riceve da altri fini e valori che il mondo le vuole imporre. [traduzione Kari Moum / nella foto Joseph Kosuth al Louvre, 2009 (© Musée du Louvre, October 2009 / Florian Kleinefenn)]

Luigi Ontani, artista
<< Salakan Bali’. INDONESIA 25 XI 2009 RESPONSO >> VOLO e Sor’volo Free, volo
<<< Essendo relativamente assolutamente presente, per condizione di respiro esistenziale, e conduzione linguisticArtistica comunicazione .,. nella tavolozza del senso della ”VitArte” = nel contesto; COMPLESSO rapporto = per diversita” distintiva dell’operare degli altri artisti .,. Essendo Bologna la città di déformazione (anni 60”) nel dopo Informale al comportamento .,. parallelo all’arte neofigurativa ideo?llogica .,. definita d’impegno” Po? globalisticamente comunquequalunquisticamente ”politicalcorrect” DIVAGANDO / DIDASCALIZZARE = guerre di PACE + .,., CRISIS LOGISTICA + BOMBE ATOMICHE AMICHE ESCLUSIVE + LIBERTA” PROPAGANDA / PUBBLICITÀ + STANDARITARDATO TRIONFO / TONFO DECULTURA = OSTENTAZIONE ROZZORAZZISTA IGNORANDA DI STRADA’ ESIBITA NEL BELPAESE TEVISIVO, PER SVISTA = CHIACCHIERATA ECO-LOGISTA + QUINDI NON SO .,. = L’INFLUENZA senza vaccino dell’arte OGGI e da sempre .,. nel va pensiEros sul sentiero dell’eccezione solitaria e/o comunitaria,’aria, con e senza ALIBI ?/ W l’ A R T E »» Ontani
<< RomAmor >> [Trascrizione dell’autografo (trasmesso via e-mail) riportato sullo sfondo]

Michelangelo Pistoletto, artista
L’arte moderna e contemporanea non si posiziona più su una via unica che conduce a un obiettivo determinato, ma si allarga in prospettive a 360 gradi. Si sono sviluppati cammini diversi aperti su molteplici possibilità. Molti di questi portano alla creazione di opere ascrivibili generalmente nell’ambito dell’autoreferenzialità, che io chiamo “ortodosse”. Altre strade conducono invece verso un’arte concepita come “eterodossa”, che si intreccia e si integra anche con i vari aspetti della realtà socialmente vissuta. In questo momento per me sono molto importanti i percorsi eterodossi dell’arte, proprio perché aprono la possibilità di vedere più lontano e con maggiore libertà orizzonti che i politici, gli economisti, i produttori quasi mai riescono a vedere con altrettanta libertà e responsabilità. L’artista, essendo estremamente libero, non può sottrarsi dal mettere a frutto questa libertà anche sul piano della responsabilità. Perciò libertà e responsabilità sono due fattori che l’artista eterodosso mette in campo nel sociale. Oggi nel mondo dell’arte e della cultura si ricorre spesso alla provocazione, ma ritengo che questa non sia più sufficiente. Non è facile, ma si devono fare proposte e non limitarsi alla denuncia. Partendo da quella che è stata la rivoluzione estetica della prima metà del XX secolo, l’artista deve giungere a una proposizione etica; da una trasformazione formale si deve passare a una formulazione contenutistica. Dove questo accade viene superata la fase convulsa degli anni Ottanta-Novanta. Però, ancora gran parte degli artisti che affrontano problemi di ordine sociale lo fanno con atteggiamento critico, senza dare nuove indicazioni.
Le attività che si svolgono in Cittadellarte tendono a risolvere le problematiche in senso propositivo, portando l’arte a interagire con i vari ambiti della vita sociale: arte e politica, arte ed economia, arte e produzione, arte e comunicazione, arte ed educazione, arte e spiritualità.
Di solito l’artista quando fa il proprio ritratto è “autocratico”, in quanto si rappresenta come essere unico nello spazio della tela. L’autoritratto è divenuto ”democratico” quando ho trasformato la tela in specchio. Nel quadro l’artista non è più l’unico essere ma un essere tra gli altri esseri che entrano nello spazio specchiante dell’opera. L’autoritratto dell’artista è diventato l’autoritratto del mondo. Il mondo si è riversato direttamente nel quadro, che è diventato implicitamente “politico”. Lo spazio dell’arte si è aperto alla corresponsabilità interindividuale. Le persone che collaborano in Cittadellarte, esercitano questa responsabilità sia a livello personale che collettivo. Con il movimento Love Difference abbiamo creato un “Parlamento Culturale Mediterraneo”, che si sta sviluppando per connettere le diverse culture dei Paesi Mediterranei e per arrivare, attraverso l’arte, a stimolare e produrre un concetto nuovo di politica.
Mi chiedi come partecipano le istituzioni. In verità non sono così vivaci e attente, ma se vedono dei risultati finiscono per aderire. Del resto Cittadellarte è di per sé un’istituzione e in quanto tale informa le altre istituzioni sulle nuove posizioni raggiunte o in via di raggiungimento. A livello internazionale Cittadellarte viene comparata alle diverse realizzazioni che operano su un piano di trasformazione come, ad esempio, quella dei medici che intervengono nei paesi in guerra, oppure a Slow Food che propone alla società una rinascita attraverso il cibo. La nostra proposta parte dalla creatività dell’arte per poi agire nella realtà della vita comune.
La dimensione creativa è essenziale, sta alla base del processo antropologico. Essa ha formato l’intelligenza umana. Da tempo sto lavorando al progetto Terzo Paradiso. Terzo, perché ci sono due paradisi precedenti: il primo è quello “naturale”, il secondo è quello “artificiale”, creato dall’uomo sottraendosi sempre di più alla natura. Il paradiso artificiale, che noi viviamo oggi, ci ha condotti a straordinarie scoperte che utilizziamo anche tecnologicamente, ma nel contempo ci pone di fronte a condizioni di insostenibilità economico-politico-ambientale mai verificatesi prima. Con il Terzo Paradiso si coniugano il primo e il secondo paradiso: la natura e l’artificio. Ciò significa portare l’intelligenza umana a integrarsi con l’intelligenza della natura. Soltanto in questo modo riusciremo a superare la situazione drammatica e rischiosissima che segna questo nostro tempo di passaggio epocale e ad entrare in una nuova era della società umana.