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Stile Arte (2006-2011) Anno 12 Numero 119 giugno 2008



Canto Cellini, artista punk

intervista di Enrico Giustacchini

Lucio Dalla a confronto con la straordinaria figura di un protagonista del nostro cinquecento.



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


Sommario:

SCOPERTE: Giorgione, i tarocchi della Tempesta 6

ICONOGRAFIA: Stretto al mio seno 12

TEMI D’ARTE: L’assenza dell’immagine 18
Belle Époque, raffinatissime eleganze 22

NOVECENTO: Soutine, picchiato per la pittura 24

SCOPERTE: Adolf Hitler e i sette nani 26

CONTEMPORANEA: Bonadei, senno e sensibilità 28

STORIE D’ARTISTA: Ricci ribelli 32

ARTE & ASTROLOGIA: Raffaello, l’oroscopo del Papa scorpione 33

SCIENZA & PITTURA: Galileo critico d’arte 36

CONTEMPORANEA: Rauschenberg, addio al genio della materia 40

INCONTRI: Lucio Dalla: “Canto Cellini, artista punk” 42

ARTE ANTICA: Paesaggi immaginari 46

PAROLE DIPINTE: Rinascita di quadri-fantasma 49

LIBRI: Fra tradizione e modernità 52

CONTEMPORANEA: Acuc e la luce nel buio 54

SGUARDI INCROCIATI: A testa in giù dalla Senna all’Istro 56

NOVECENTO: Ladies and gentlemen, ecco a voi Andy Warhol 59

ARTE & GENEALOGIA: La schiava madre di Leonardo 60

CONTEMPORANEA: Caleidoscopico Assadour 63

ORIENTE: Giordania, tutti pazzi per l’arte 64
Wijdan al Hashemi, Sua Altezza pittrice 66
Cultura nel cuore di Amman 68

QUADRI MISTERIOSI: Sebastiano del Piombo, criptico trio 70

ICONOGRAFIA: Quel santo sembra un troglodita 72

GRANDI MOSTRE: Cortenova, “Difficile è bello” 74

L’AGENDA DELLE MOSTRE 78

ARTE & EROS: La lingua proibita di Satana 80
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Quel nazista di Topolino
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n. 135 febbraio-marzo 2011

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n. 134 ottobre-novembre 2010

La tela armonica
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n. 133 luglio-settembre 2010

La dolce vita delle cose morte
Enrico Giustacchini
n. 132 maggio-giugno 2010

La materia ha mille anime
Fiorella Tacca
n. 130 gennaio - febbraio 2010

Russolo, se l'orchestra ulula e rimbomba
Enrico Raggi
n. 129 novembre-dicembre 2009



Lucio Dalla a confronto con la straordinaria figura di un protagonista del nostro cinquecento.
Scultore, architetto,orafo, musicista, scrittore,visse pericolosamente e intensamente, fuori da ogni regola.
Tutti - dice il cantautore,che a Benvenuto ha dedicato il suo ultimo lavoro -ambiscono alla normalità. Tutti, ma non lui



Lucio Dalla e Benvenuto Cellini. Tutto l’amore di uno dei più grandi cantautori italiani per un protagonista dell’arte e della cultura del Cinquecento sfociato in uno straordinario spettacolo musicale e teatrale che ha debuttato nelle scorse settimane su un palcoscenico d’eccezione, Ponte Vecchio a Firenze (repliche in autunno a partire dal Teatro Romano di Benevento; è poi prevista la pubblicazione di un dvd destinato alle scuole). Dalla racconta ai lettori di Stile questa sua nuova avventura creativa.

Per cominciare: perché Cellini?
Ventidue anni fa lessi la Vita, e ne rimasi folgorato. Presi ad appassionarmi, ad approfondire le mie conoscenze su questo personaggio, studiandolo e documentandomi, a partire dal celebre saggio di Goethe. Così, quando gli organizzatori de Il genio fiorentino mi hanno chiesto di preparare lo spettacolo inaugurale dell’edizione del 2008, non ho avuto dubbi: il protagonista del mio lavoro sarebbe stato lui, Benvenuto Cellini.

Eppure si tratta di un personaggio non particolarmente popolare.
E’ vero, Cellini è poco noto, non appartiene all’immaginario comune, forse anche perché di lui ci sono rimaste rare opere, e la gente ricorda semmai la saliera di Francesco I e il Perseo. Quando, alla fine degli anni Novanta, il Perseo venne restaurato da Giovanni Morigi, questi mi offrì la possibilità di seguire l’intervento da vicino. E un conto è vedere un capolavoro a distanza, un conto è salire sui ponteggi, a tu per tu con la materia. La mia ammirazione per Benvenuto, già altissima, diventò sconfinata.

Ma chi era, l’uomo Cellini?
Per me, un “punk” ante litteram. Un “punk fetish”, meglio, poiché sappiamo che amava vestire di pelle e calzava stivaloni. Oggi potrebbe essere uno dei Sex Pistols, o, se girasse dei film, un altro Tarantino. Nonostante un’esistenza segnata dagli eccessi, non lo definirei però un artista maledetto: direi piuttosto una persona che ha sempre pagato la sua inquietudine, la sua diversità, in un’epoca complicata, a cavallo tra Rinascimento e Maniera. Un marziano come Leonardo, tirato giù da un’astronave.

Fin dal titolo - Dalla o Cellini? -, lo spettacolo palesa un’intensa affinità, quasi un’identificazione fra te e l’artista cinquecentesco.
E’ così. Scrivendolo, mi sono sforzato di immedesimarmi in Benvenuto, di viverne in prima persona i pensieri, gli stati d’animo, immaginando il formidabile rancore che egli provava per un mondo che non lo capiva o che lo capiva male.
La sua inquietudine, in fondo, è stata pure la mia: io sognavo di fare il playmaker in una squadra di basket, ma non era evidentemente un sogno realizzabile, per cui ho sempre un conto aperto col destino (anche se oggi sono abbastanza rappacificato).

Un’ulteriore, manifesta analogia: Cellini, come te, era un talentuoso musicista ed un ottimo cantante.
Beh, non stupirò nessuno confessando che è stata proprio la commistione arte-musica a suggestionarmi più profondamente. Va riconosciuto, peraltro, che Cellini fu musicista suo malgrado. Il padre, che suonava per Cosimo de’ Medici in quello che oggi chiameremmo un “gruppo” ed utilizzava le proprie nozioni di architettura per costruire arpe ed altri strumenti, voleva che ne seguisse le orme. Il giovane, che sperava invece di diventare uno scultore, scappò di casa e si recò a Roma. Qui, sfortunatamente, gli capitò una volta di esibirsi al cornetto: l’eco della sua abilità giunse a Clemente VII, il quale lo obbligò a suonare per lui per due anni.
Intanto, Benvenuto continuava a sognare la scultura. Il suo Dio era Michelangelo: un giorno litigò con un detrattore di questi, e gli ruppe la testa.

Parlaci un po’, adesso, dei contenuti dello spettacolo che ha debuttato a Firenze, sul Ponte Vecchio.
E’ la prima volta che un luogo mitico quale il Ponte Vecchio diventa palcoscenico e scenario per un’esibizione. Dalla o Cellini? - che ha inaugurato, come dicevo, l’attuale edizione del Genio fiorentino, promossa dalla Provincia - è stato concepito alla stregua di un concerto teatralizzato. Ho presentato una serie di brani realizzati per l’occasione, di cui ho composto sia le musiche che i testi. Unica eccezione, Il mostro, il cui testo è opera di Flavio Caroli.

Come nasce la collaborazione con lui?
Flavio è un grande amico. Il capitolo dedicato a Raffaello, che apre il suo libro Trentasette. Il mistero del genio adolescente, nella descrizione di Roma contiene un omaggio, fatto di citazioni, alla mia canzone La sera dei miracoli: i vicoli, i cani “che parlano fra di loro”, la “città che si muove”, le “vele sulle case” che “sono mille lenzuola”… Reminiscenze, tra l’altro, delle notti trascorse insieme, lui ed io, a chiacchierare e a girovagare per la Capitale: che non è poi tanto cambiata dai tempi, appunto, di Raffaello (nei giorni scorsi, a Milano, negli spazi della Fondazione Pomodoro, durante una mia serata abbiamo riproposto proprio questi brani, queste atmosfere).
Nulla di più naturale, insomma, che abbia pensato di coinvolgerlo nel progetto su Cellini.

Superfluo specificare che la fonte ispiratrice primaria del tuo lavoro sia stata la Vita.
La Vita è un’opera il cui valore anche letterario è indiscutibile. Sempre Goethe sosteneva che il romanzo autobiografico nasce con essa e grazie ad essa. Si tratta di un prototipo di linguaggio che avrà fortuna nei secoli successivi. Cellini usa una tecnica che definirei geometrica, all’insegna di un’incredibile ricchezza di particolari, meticolosa e briosissima insieme, basata su una memoria che aveva del prodigioso. La stessa memoria fotografica, per intenderci, di cui egli si serviva nella riproduzione dei dettagli delle sue creazioni artistiche.
La freschezza della narrazione è stata favorita dalle circostanze in cui la Vita è stata realizzata: Benvenuto la dettava ad un garzone, un ragazzo di tredici anni, che la trasponeva su carta così, direttamente, senza mediazioni. In seguito affidò - per una revisione - il manoscritto ad un letterato, che per buona sorte ne comprese le qualità intrinseche e ne seppe salvaguardare l’immediatezza e la peculiarità stilistica. Ciò che purtroppo non avvenne, invece, per il Trattato di architettura, stravolto e falsato da revisori troppo zelanti.
Nello spettacolo, le mie composizioni - che ho eseguito accompagnato da un’orchestra da camera - si alternavano alla lettura di alcune pagine dell’autobiografia da parte di un attore, il bravissimo Marco Alemanno.

Al progetto ha offerto il suo contributo anche un protagonista dell’arte contemporanea quale Mimmo Paladino.
Mimmo è un altro dei miei grandi amici. Insieme abbiamo fatto tante cose - cito, tra le più recenti, il suo Quijote, di cui ho scritto le musiche e dove ho interpretato il personaggio di Sancho -; a lui debbo la copertina di uno dei miei dischi più belli… Per Firenze ha realizzato un’installazione scenica di notevole effetto, un coccodrillo argentato sospeso all’arco centrale di Ponte Vecchio, che portava sulla schiena una maschera teatrale. Ciò rimanda alla simbologia alchemica: anche Cellini, infatti, come molti artisti dell’epoca, era alchimista. Nella Vita racconta di una seduta spiritica cui partecipò con un sacerdote e durante la quale, riferisce, furono evocati nel Colosseo centinaia di demoni.

Un’esistenza davvero off-limits, quella di Benvenuto.
Non ebbe mai un minuto di tranquillità. Fu pluriomicida. A ventiquattro anni subì un processo per sodomia e, anziché negare, difese ed esaltò l’omosessualità quale segno di talento: “Magari fossi un grande sodomita come…” (e citava nomi celebri: non solo del passato, però, ma pure suoi contemporanei). Un atteggiamento da folle, che avrebbe potuto avere per lui conseguenze irreparabili.
Fu pervaso da crisi mistiche, in cui - sosteneva - gli appariva Gesù Cristo. Divenne frate, ed ebbe tre figli da una suora. Faceva la cresta sull’oro che il papa gli affidava per le sue opere di oreficeria. Affrontò un’impresa titanica quale la fusione del Perseo senza sapere nulla di questa tecnica: rischiò anzi di far saltare in aria il laboratorio gettando nel fuoco i materiali più diversi, seguendo una personale, strampalata teoria secondo cui era necessario raggiungere temperature elevatissime.
Ciononostante, ripeto, sarebbe un errore affibbiargli lo stereotipo dell’“artista maledetto”. Egli credeva che fosse il suo, il modo giusto di vivere la vita, e pretendeva che gli altri, il mondo intero, fossero come lui. Il verso di una mia canzone recita: “L’impresa eccezionale è essere normale”. Tutti - anche gli artisti - coltivano o hanno coltivato in fondo un’ambizione alla normalità. Tutti, ma non Benvenuto Cellini.