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Arte contemporanea Anno 1 Numero 1 Aprile-Maggio 2006



Mimmo Rotella

Patrizia D'agostino

"Non ho paura di morire. I grandi artisti hanno avuto il privilegio di parlare con dio e il mio sogno è proprio questo"



bimestrale di informazione
e critica d'arte


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Mimmo Rotella

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Rotella e Hains nel ricordo di un amico

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l'arte europea

Gli artisti e la materia

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Mimmo Rotella, In modo perfetto, 1962
decollage su tela

Mimmo Rotella, Gioventù, 1962
decollage su tela

Mimmo Rotella, Diana Ross, 1974
decollage su cartone

A ottantotto anni e non sapremo mai se ha potuto realizzare questo suo ultimo grande desiderio, forse il più irrealizzabile.
E' morto a Milano, città in cui si era trasferito nel 1980, dopo sedici anni vissuti a Parigi. Aveva un male incurabile che però non gli ha impedito di continuare a lavorare fino a pochi giorni prima con la stessa forza ed energia con cui ha sempre condotto la sua vita, una vita densa di avvenimenti, di colpi di scena, come la conversione finale al cattolicesimo, ma soprattutto vissuta fino in fondo come si può leggere nel libro Autorotella, la sua biografia, ma ancora di più lo spaccato di un mondo che non c'è più.
La dolce vita romana, la bohème parigina e poi il movimento del sessantotto, gli hippy e il connubio arte-droga con la storia del suo processo, con tanto di condanna, per il possesso di marijuana. E lui, un bohemien, un po' per posa un poco per necessità, affrontava la vita e l'arte con uno spirito da guascone nel suo studiolo romano a due passi da piazzale Flaminio.
Era una sfilata di donne, di modelle, di amanti per un giorno, per una settimana, o anche per una vacanza. Era l'epoca delle Twiggy, di ragazze flessuose come giunchi, di giovani ninfette che l'arrivo della pillola aveva reso sessualmente disinibite ma non mancavano le donne più mature, della generazione precedente, dalle forme generose, dai vitini di vespa. Molte di loro trovavano nello studiolo di Principessa Clotilde la loro trasgressione tra le braccia dell'artista per sfuggire alla noia e alla routine di una vita agiata ma senza pepe.

Anche Mimmo aveva lasciato Catanzaro, la sua città natale, per fuggire dalla monotonia e da una vita che non lasciava spazio ad un futuro. Era arrivato a Roma nel 45 con in tasca un diploma di belle arti conseguito a Napoli. Era approdato nella capitale dopo aver sperimentato l'insegnamento, aver lavorato alle poste, lavori senza aspettative lasciandosi dietro le spalle il mito del posto fisso che i suoi genitori avrebbero tanto desiderato per lui.
A Roma frequenta il circolo degli artisti di piazza del popolo : Schifano, Dorazio, Sanfilippo, ma non Ë contento. Molto difficile emergere in quella moltitudine. Ha un senso di frustrazione, l'idea di perdere il suo tempo, di girare in tondo. Crede che l'arte a Roma sia assopita, in un vicolo cieco.
In realtà era un'epoca di grande fermento. L'epoca di Turcato, Accardi, Afro, dei sacchi di Burri che cominciavano a fare scalpore, pur ricollegandosi in fondo all'esperienza dadaista. E' in questo senso che si muove questa avanguardia romana ma lui non sapeva vedere forse perchË lui guardava ancora pi˘ lontano.
Quasi come un personaggio tragico, dell'antichità, quasi fosse uscito da una tragedia Sofoclea, tanto per riallacciarsi alle sue radici della Magna Grecia da cui diceva di derivare e di cui era orgoglioso, "aveva gli occhi ma non poteva vedere". Dalle finestre del suo studio guardava fuori e la Roma barocca esplodeva davanti a lui con la forza dei suoi colori facendogli proclamare "Se avessi la forza di Sansone incollerei Piazza di Spagna con le sue tinte autunnali, teneri e molli sulle rosse piazze del Gianicolo ai bagliori del sole calante" . Sarebbe stato il più grande décollage mai realizzato. Ma in quel momento, mentre vagava per Roma in una continua esplorazione, alla ricerca di un'illuminazione artistica, il dÈcollage non lo aveva ancora folgorato.


Nel 51 ottiene un borsa di studio dalla Fullbright Foundation e parte per l'università di Kansas City, dove passa due anni come artista residente. In America entra in contatto con gli artisti dell'avanguardia: Rauschemberg, Pollock, Kline, Oldenburg. Ormai si è distaccato totalmente da un modo di fare pittura ancora legato all'esperienza cubista che era quella del suo periodo di formazione a Napoli.
In America inizia a comporre i poemi fonici con tanto di accompagnamento strumentale. Una forma di poesia fonetica che affonda le sue radici nei dada e nei futuristi. Lo chiamerà linguaggio epistaltico (termine inventato da lui di sana pianta). Una musica vocale pura a base di suoni inarticolati con in mezzo dei suoni urbani, derivanti dal frastuono delle città. Come non pensare ad Ameriques di Edgar Varès, una colonna sonora del 20 pensata per il cinema, quando il cinema era ancora muto, che Rotella sicuramente conosceva. La sirena dei pompieri e la polizia che irrompono prepotenti dentro l'orchestra, proprio come i suoi poemi in cui si fondono suoni, ritmi, rumori urbani accompagnati da un'orchestra. E lui Mimmo è un performer che non conosce eguali, pronto a recitare, ad esibirsi davanti al suo pubblico e a suonare con grande abilità bongos, tumbas e quintos. Forse la sua tecnica del decollage è nata proprio qui un décollage che prima di essere figurativo è sonoro.

Musica, pittura, cinema con Rotella si fondono e lui ha sempre dichiarato di aver provato per il cinema una grande fascinazione. Rotella e il cinema una storia d'amore che inizia quando l'artista ha cinque anni, quando racconta che seduto su una panchina della villa comunale di Catanzaro fantasticava sui western muti di cui era appassionato, iniziava a tracciare i primi schizzi su un quaderno e poi, più grande iniziava a sognare sulle attrici che popolavano il grande schermo e affollavano i suoi sogni notturni da adolescente. Tutta la serie dei suoi décollages degli anni sessanta intitolata Cinecittà tra cui trionfa la famosa Marilyn lacerata Ë un tributo al cinema. Un tributo che raggiungerà l'apice nel 97 quando l'artista farà una serie di décollage per commemorare la morte di Fellini. Nel 53, dopo essere tornato da Kansas City, è sempre a caccia dell'ispirazione. Vaga per le vie di Roma con camicie, giacche, cappelli molto vistosi, esagerati, di gusto smaccatamente americano. La gente si volta a guardarlo e lui con il gusto della provocazione che gli è congeniale posa in atteggiamenti bizzarri. Il 53 è l'anno di quella che lui definisce "l'illuminazione zen" Camminando per strada scopre sui muri i manifesti strappati, se ne impossessa e inventa il décollage. Questa tecnica è caratterizzata dallo strappo di manifesti pubblicitari i cui frammenti vengono incollati sulla tela. Non è altro che l'adattamento del collage di matrice cubista con la concezione dell'objet trouvÈ di stampo dadaista. Nel 54 espone con una mostra personale le sue prime opere. L'impatto del pubblico e di parte della critica è violento. Nell'ambiente piuttosto provinciale di Roma si fa fatica a capire questo tipo di tecnica e soprattutto ci si chiede se sia davvero possibile chiamarla arte. La Roma degli anni 50 non era ancora pronta ad accettare il messaggio di Rotella e dunque il nostro artista finisce per essere etichettato ben presto come uno "strappamanifesti".

Nel 58 l'incontro che gli cambia la vita. Mimmo conosce attraverso Turcato il critico francese Pierre Restany che lo mette al corrente dell'opera del gruppo dei nouveaux réalistes al quale ben presto finisce anche lui per aderire.
In modo particolare gli parla dei décollages di Raymond Hains, di Dufrene di Villeglé le cui sperimentazioni sono molto simili alle sue. Nel 60 Rotella entra a pieno titolo nel gruppo dei nouveaux rÈalistes ma nello stesso tempo inizia a realizzare, sotto l'influenza della pop art, anche i primi assemblages con oggetti acquistati da rigattieri. Nel 62 conclude la serie Cinecittà, serie di manifesti lacerati a soggetto cinematografico e nel 64 si trasferisce a Parigi dove vivrà per sedici anni. Nella capitale francese continuerà a portare avanti nuove sperimentazioni come gli Art-typo, prove di stampa scelte e riprodotte liberamente sulla tela, con questo procedimento si diverte a sovrapporre varie immagini pubblicitarie.
Ma,oltre a tutto questo, esegue anche altri lavori utilizzando dei solventi e intervenendo sulle pagine pubblicitarie delle riviste o riducendole o allo stadio di impronta da porre su un foglio o cancellandole.
Quando nell'ottanta lascia Parigi per trasferirsi definitivamente a Milano non è più quell'artista rivoluzionario, quell'esponente della beat generation guardato con sospetto dai conservatori ma è un artista di fama mondiale, il cui valore è riconosciuto da esposizioni nei maggiori musei.

Non smette però di guardare avanti, di continuare le sue sperimentazioni. Ecco che nell'84 riprende in mano i pennelli per realizzare Cinecittà 2: secondo ciclo di opere dedicate al cinema e nell'86 è a Cuba ad esibirsi in una performance sullo strappo di manifesti.
Alla fine degli anni ottanta i muri delle città gli danno altre fonti d'ispirazione. Prendendo spunto dai graffiti interviene pittoricamente sui manifesti lacerati e incollati su tela sui quali traccia varie scritte come quelle che si leggono sui muri delle città, messaggi:politici, d'amore, di vario genere. "Sono figlio del dadaismo" amava ripetere e l'influenza dadaista ha pervaso tutta la sua opera dall'inizio alla fine.
E anche la sua vita con un fantastico colpo di scena.
Nel 91 a settantadue anni sposa una giovane russa di ventisette. 7+2 2+7 bella prova del nove, come fa notare Restany, ottimo calembour. Duchamp avrebbe sicuramente apprezzato.