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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 20 Numero 214 settembre 2005



Tradizione e Innovazione

Anna Maria Ruta

L'esperienza siciliana del futurismo rimane peculiare per l'ampiezza di influssi che esercito', per circa un ventennio, sulla vita culturale dell'isola, aprendola alle novita' europee ma senza dimenticare le radici contadine e mediterranee.



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La Sicilia è stata ed è uno dei luoghi più discussi del futurismo italiano per il buon numero di letterati, artisti, intellettuali e simpatizzanti che ruotarono attorno al movimento, per i molti paesi anche periferici che furono attraversati dalla spinta al rinnovamento voluto dal futurismo, per l’ampio spettro degli ambiti in cui questo cambiamento operò concretamente, sulla scia del grandioso progetto di «ricostruzione futurista dell’Universo» di Balla, Depero e Marinetti. Né sono da meno per importanza la qualità degli apporti letterari e artistici e le singolari anticipazioni di certe intuizioni antesignane (1905), particolarmente in ambito letterario, di proposizioni fondanti del Manifesto del 1909, elementi tutti che consolidano la convinzione della reale incidenza avuta dal futurismo sulle stanche derive della cultura artistica isolana del Novecento e dalla Sicilia sul movimento stesso.
Il futurismo in pittura percorre l’isola per circa un ventennio e non troppo in ritardo rispetto ai ritmi nazionali, dagli anni Quindici, in cui l’adolescente Vittorio Corona (1901-1960) comincia a disegnare futuristicamente immagini mosse e ispirate al volo, a tutti gli anni Venti, a Palermo, nella capitale dell’isola, per poi passare a Messina e a Catania fino al 1935, anno in cui l’aeropittore messinese Giulio D’Anna (1908-1978) dà un addio alle modalità futuriste per sue diverse scelte ideologiche e figurative. Erano giovanissimi in quei primi anni Vittorio Corona e Pippo Rizzo (1897-1964), il vero fondatore del futurismo pittorico in Sicilia, mentre più avanti negli anni era Giovanni Varvaro (1888-1973), zio di Corona, lo zio Giovannino, che gli dava lezioni di disegno e di pittura in quel fantastico studio dove approdarono anche Rizzo e Musacara (Gianni Carramusa) e dove un povero cane randagio veniva dipinto a gara con pazze pennellate futuriste. Varvaro vuole imitare i suoi giovani allievi, ma, da sognatore e musicista quale è, opta per un futur-surrealismo attraversato da una vena onirica e favolistica, talvolta perfino naïf, innestando nella geometria e nel dinamismo futuristi il cifrario poetico del suo immaginario, che non è mai né macchinolatrico né iconoclastico, ma si alimenta di un figurativismo fantastico guardando talvolta a Balla, talaltra a Dottori o a Thayaht, talaltra ancora perfino a Chagall. I suoi omoni innamorati e non corrisposti volano verso la luna, nella cui falce si adagiano i perfetti nudi delle fanciulle sognate e cantano e ballano, trascinando nel ritmo musicale alberi, ponti, case. Varvaro suonava e cantava lui stesso: nel 1928, davanti a Marinetti ballò un vivace charleston ispirandosi al suo Mafarka futurista e per tutta la vita collezionò e suonò molti strumenti popolari, al cui ritmo vorticoso danzava in coppia con la moglie.

- Un punto di riferimento

Lo studio, che con Varvaro era rifugio di «musicisti pittori, vagabondi, chitarristi, vecchi poeti, pazzoidi, cantanti e modelle», ceduto a Rizzo diviene «il cenacolo dei giovani più audaci e vivaci della città», artisti poeti, giornalisti, stranieri di passaggio, epigoni tardivi dei grandi viaggiatori del passato. I futuristi costituiscono insomma un punto di riferimento per Palermo, anche se le loro opere nelle mostre dal 1921 al 1925 vengono osservate con curiosità dai critici, ma giudicate severamente. Sarà invece nelle esposizioni più ufficiali e meglio organizzate del 1926, del 1927 soprattutto, la grande Mostra d’arte futurista nazionale organizzata da Pippo Rizzo e da tutto il Gruppo futurista siciliano, e in quelle dal 1928 al 1930, le prime mostre del Sindacato fascista Belle arti di Sicilia, che la genialità e l’autentica novità dei loro dipinti saranno riconosciute e pubblicamente apprezzate. Alla mostra del 1927 partecipano i rappresentanti più significativi del movimento da Balla a Benedetta, da Fillia a Farfa, da Prampolini a Dal Monte e Marasco, facendo entrare Palermo nel novero delle vere metropoli moderne, come proclama la stampa, un evento che Marinetti, scrivendo a Dal Monte, definisce «trionfale». Le relazioni con gli artisti del resto d’Italia sono intense, come testimoniano le molte lettere, cartoline, caricature, disegni estemporanei, oggi nei cassetti degli eredi: Dottori, Dal Monte, Thayaht, Prampolini, che nel 1935 organizza a Palermo, nel foyer del teatro Massimo, un’importante mostra di aeropittura e arte sacra con i maggiori aeropittori italiani, Paladini e Panneggi, il cui costruttivismo attrae sia Rizzo e Corona, sia D’Anna, che amano le sagome stilizzate e fredde, essenziali e straniate, sono amici presenti e cari al gruppo siciliano. Per non parlare di Depero, che trova a Messina, dopo Capri, uno dei suoi mecenati in Guglielmo Jannelli, raffinato intellettuale, il più significativo dei letterati futuristi siciliani, che gli organizza nel 1926 e nel 1927 due mostre di tarsie, arazzi e cuscini e lo accoglie già dal 1924 nella sua villa, cui vuole dare un’impronta modernissima, ordinandogli i progetti dei pavimenti, delle vetrate, dello scalone interno. A Balla, invece, altro suo carissimo amico, ordinerà i disegni per scomodi ma coloratissimi mobiletti.
Palermo negli anni Dieci e Venti, agitata da nuove pulsioni, aveva vissuto il distacco definitivo dal naturalismo tardo-ottocentesco dei Lojacono, dei Leto, dei Catti e dal decorativismo liberty per un’arte più nuova, più dinamica e semplificata, più contemporanea. I futuristi seguono la scia di questo rinnovamento, ondeggiando tuttavia tra persistenze di cultura contadina al tramonto – i campi di grano solcati dai carri, di Rizzo, come anche i suoi pescatori, ne sono una testimonianza – e l’inesorabile avanzare di una realtà metropolitana e tecnologica, dominata dal mito della macchina: treni, automobili, motociclette, aerei riempiono le tele dei giovani pittori. Non si dimentichi che nel 1906 a Palermo viene dato il via alla Targa Florio, prima grande competizione automobilistica italiana e che nel 1910 e 1911, sempre a Palermo, si svolgono importanti gare aviatorie.
La “sicilitudine” però, serpeggiando come filo d’Arianna sotterraneo, continua a guidare l’immaginario degli artisti, che tuttavia la purgano degli stereotipi obbligati e la adeguano ai nuovi ritmi della società contemporanea, nella necessità di una rifondazione moderna del pensiero, dell’arte e della realtà tutta.

- Suggestioni mediterranee

Se al Nord la città sale e le componenti urbane predominano e al Centro (Umbria, Marche, Roma) un’avvertita attenzione è posta agli uomini nuovi, alla loro vita nuova, agli interni delle loro case, a un loro più vivace arredamento – ma Dottori idoleggia il paesaggio umbro e Balla ama il verde di villa Borghese –, nel Sud la tipica figura dell’acquaiolo che invita a bere la sua fresca bevanda, la pesca del tonno e del pesce spada, i contadini con la falce continuano a sedurre i pennelli futuristi. Il cromatismo di Rizzo è tutto di origine corleonese, nel cui paesaggio al giallo del grano e degli agrifogli si mescola il verde dell’erba, al rosso dei papaveri e della “sulla” il bianco delle margherite primaverili e di tanti incredibili fiori di campo.
Pippo Rizzo, nel suo entusiasmo per la modernità e per la sua frequentazione a Roma degli studi di Balla e di Bragaglia, recupera la sua cultura d’origine con reperti formali contemporanei, con una progettualità pittorica tutta nuova, che rifonda il linguaggio dell’arte nell’isola, recuperandone perfino la tradizione artigiana, che, sotto l’esempio di Balla, di Depero e di Prampolini, futuristicamente rinnova nella sua Casa d’arte con la produzione di ceramiche, elementi di arredo, cuscini, arazzi, che influenzano perfino gli allestimenti dei nuovi esercizi pubblici. A questo tipo di produzione non sfuggono gli amici Varvaro e Corona che, con la moglie Gigia, fonda anch’egli una Casa d’arte. Corona ondeggia pure lui tra una forte attrazione per la macchinolatria – è un antesignano dell’aeropittura – e una vivace carica sessuale, che si riveste sia di pulsioni dinamiche sia di delicate atmosfere fantastiche, che gli suggeriscono tra le sue più interessanti realizzazioni.
Defilato e anomalo è il più giovane Giulio D’Anna, che, nato nel cuore profondo dell’isola, tra le tenebrose miniere del Nisseno, a Villarosa, e trasferitosi bambino con la famiglia a Palermo, finisce poi col dimorare definitivamente a Messina, dove un suo fratello apre prima una libreria e fonda poi un’importante casa editrice con sede a Firenze. Giulio diventa così libraio, anche se la sua vera vocazione è la pittura: per essa è nato e per essa vive e vuole essere artista al passo coi tempi, attratto com’è subito dal topos dell’aereo.
Aerei rossi, gialli, verdi, viola (il viola è simbolo di dinamismo e velocità per Fillia) cominciano a intessere nei suoi cieli di tela e di tavola una gara ludica sotto l’occhio vigile della sfera solare, metafora del bisogno dell’artista di affermare la vita e risolvere armonicamente lo spazio con ampie concentrazioni. D’Anna vede e sente «l’ambiente terra-natura con lo spirito librato nel cielo in una corsa ideale», come dice Somenzi, la cui bozza del Manifesto dell’aeropittura pare egli leggesse già nel 1928 con entusiasmo, subendo il fascino della disarticolazione della logica e della fantasia tradizionali. È un’aeropittura, la sua, lirica e spaziale, per quella gioiosa fascinazione di infinito che anima le mutevoli “polidimen­sionalità prospettiche” in cui le traiettorie delle macchine sfreccianti trasfigurano la realtà, fondendo i panorami e aprendosi a percorribilità nuove, che sono solo della creazione artistica. In un effervescente scoppiettio di curve, ondulazioni, rette, nei decolli, negli at­ter­raggi, nei voli radenti, dall’alto alberi e ca­set­te assumono dimensioni da giocattoli, facendo esplodere un caleidoscopio coloristico, un riverbero di luce che tutto accende e che guarda alla lezione cromatica e figurale di Balla e Depero, ma con una coniugazione tutta mediterranea.

- Impulsi dall’europa

Mediterraneo, dunque, solare il futurismo del Sud e pure, a volte, dichiaratamente europeo. Se Rizzo è attratto dalla lezione di Picasso e di Kokoschka, che conosce solo attraverso le riproduzioni e da certe direzioni un po’ fauves dell’espressionismo tedesco, che ricorda soprattutto nelle smorfie sofferte di certi suoi volti, Corona, partendo da una naturale attrazione per il simbolismo, i preraffaelliti e Klimt (conosciuti a Palermo da Ernesto Basile e Ettore De Maria Bergler, peraltro maestro di Rizzo), manifesta anche un autentico interesse per l’espressionismo di Ensor, Nolde e Kirchner ed è poi profondamente attratto dalla Metafisica di De Chirico e Carrà; Varvaro poi non è estraneo a certi amoreggiamenti col surrealismo e perfino con Chagall, i cui omini volanti lo affascinano ma con ben diversa forza tecnica e poetica e D’Anna è europeo nelle sue ricerche polimateriche, nei suoi papiers collé che lo avvicinano a Prampolini e all’avanguardia francese.
Questa attenzione all’arte europea passa attraverso il vaglio di personali riflessioni con esiti oscillanti tra un evidente e talora fragile citazionismo e una più sofferta rielaborazione delle cifre, che non riesce a relegare Palermo e la Sicilia ai margini della cultura nazionale e internazionale, tanto che tutti i futuristi siciliani sono frequentemente presenti nelle Biennali di Venezia, nelle Quadriennali di Roma e all’estero (Parigi, Berlino, Americhe).
Meno significativa l’avventura futurista di Mimì Lazzaro, di Adele Gloria, amica amatissima di D’Anna, e del giovanissimo Guttuso, che soltanto nel periodo in cui frequenta lo studio di Rizzo si diverte a esercitarsi in schizzi futuristi poi rinnegati, mentre sempre più di rilievo appaiono le interessanti e divertenti plasticaricature di Rodolfo Castellana, esposte già nel 1922, lodate subito dai critici per l’originalità e la forza psicologica delle loro fisionomie.
Un gruppo compatto il loro sia nel lavoro e nella vivace foga dei dibattiti sia nei momenti ludici, come quando, insieme, nel 1928 Rizzo, Corona, Guttuso e gli altri si divertirono a costruire uno spiritoso carro di Carnevale, dove comparvero con i volti coperti da plastiche maschere di cartapesta, sia ancora nei momenti dello scontro, quando Rizzo col suo coloratissimo gilet di panno e farfallone altrettanto colorato si batteva nella mitica Birreria Italia con gli amici contro i passatisti. Un’avventura vivace e stimolante, anche se a volte sofferta, questa dei futuristi siciliani, che fece sentire le sue positive ripercussioni sulle generazioni seguenti, da quella dei Guttuso, dei Franchina e dei Barbera a quella dei Giarrizzo e del gruppo di Forma 1, tutto o quasi siciliano (Accardi, Consagra, Maugeri, Sanfilippo), generazioni tutte memori delle esperienze e degli insegnamenti dei padri dell’avanguardia isolana.