Le Ceramiche di Umbertide (1947-1962) rappresentano un capitolo importante della ceramica umbra del 900. In mostra 109 oggetti che testimoniano la vitalita' e l'estro di un design che accoglie gli stimoli dell'arte e la perizia dell'artigianato.
1947-1962
Promossa ed organizzata dal Comune di Umbertide, in collaborazione con la Regione
dell'Umbria, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Perugia e
con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, sabato 10 Giugno
2006, alle ore 17.30, presso la Rocca di Umbertide (PG), si inaugurera' la mostra
"Ceramiche Pucci 1947-1962", curata da Enrico Mascelloni e Marinella Caputo.
Le Ceramiche Pucci di Umbertide (1947-1962) rappresentano un capitolo importante,
sebbene poco noto, della ceramica umbra del novecento.
Saranno esposti 109 oggetti che testimoniano la vitalita' e l'estro di un design che
accoglie gli stimoli dell'arte e la perizia dell'artigianato, con risultati
sorprendenti.
La manifattura Pucci, la cui genesi va rintracciata all'interno della Ceramiche
Rometti, e' stata attiva dalla fine degli anni quaranta all'inizio degli anni
sessanta, proponendo un design originale e creativo che ha ottenuto un riscontro
rilevante a livello nazionale e internazionale.
La mostra, e il relativo catalogo, contribuiranno a far conoscere ad un pubblico piu'
vasto, rispetto a quello degli esperti e dei collezionisti, una produzione di
qualita' che riguarda oggetti decorativi e funzionali e che si e' distinta per il suo
carattere decisamente innovativo, con contatti e assonanze nei confronti dei
principali movimenti artistici degli anni cinquanta.
L'iniziativa, inoltre, assume valore anche riguardo alla storia economica e sociale
del territorio, per avere inciso in maniera determinante nella vita produttiva
dell'area alto-tiberina e dell'intera regione umbra.
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Le origini di un'illusione: Il postmodernismo e le Ceramiche Pucci
di Enrico Mascelloni
Dopo una ventina d'anni d'utilizzo forsennato nessuno sa ancora bene cosa significhi
"postmoderno". O per meglio dire, dopo i primi tentativi di dargli una qualche
dignita' teorica il termine e' stato grosso modo abbandonato a se stesso. Fluttua
sopra i nostri strani anni senza particolari velleita' e con tutta la leggerezza dei
luoghi comuni distribuiti a man bassa e senza impegno. A dir la verita' ha subito
anche delle espulsioni dure e irrevocabili, per esempio dal territorio della
filosofia, dove sembrava che stesse li' li' per trovare il suo nodo di principale
referenza. I supposti precursori sono stati i primi a deriderlo. Derrida' si e'
premunito con un certo anticipo non appena si e' trovato costretto a confrontarsi con
fantasmi antichi (Spectres de Marx). Con tipica leggerezza parigina, e non senza
eleganza (parigina), l'ha scaricato insieme ai divulgatori piu' entusiasti gia' a meta'
degli anni '90, in tempi tuttavia ormai piuttosto sospetti anche per il pensatore di
maggior successo dell'epoca. Nel territorio della politica e in un'epoca di tracollo
di molti miti "postmoderni" ("fine delle ideologie", addolcimento delle
conflittualita' geopolitiche e altre amenita' del genere risulteranno presto delle
boutade senza senso) si e' sostanzialmente autoespulso, ne' alcuno, almeno a mia
conoscenza, se l'e' sentita di connotare gli attacchi dell'11 Settembre come un
evento postmoderno. Nel caso della prima "Guerra del Golfo" ci aveva provato
Baudrillard, parlando di un conflitto ormai totalmente virtuale e telegenico, ma
ancora nessuno l'aveva informato che sotto le sabbie e le paludi dello Shatt-el-Arab
riposavano i corpi di circa centomila irakeni in ritirata, fulminati in poche ore e
in assenza di emittenti televisive.
Il termine resta tuttavia onnipresente nel campo dell'arte e in specie in settori di
indubbia concretezza non solo visuale come l'architettura o il design, dove sembrava
essersi affermato tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80. E il design e' forse il
solo settore in cui le caratteristiche tipologiche cosiddette postmoderne sembravano
avere un fondamento credibile ben prima che il termine fosse coniato. L'eclettismo
decorativo, il disimpegno ideologico, la leggerezza arredativa furono gia' ben attive
negli anni '50, non solo nella miglior ceramica italiana. I primi ad accorgersene
saranno i collezionisti e i mercanti di "modernariato", che intravedranno sintonie
lunghe e sottili in manufatti che stavano per abbandonare persino le case della
borghesia di provincia. A partire dagli anni'80 il ritmo dei revival diverra' tale da
premiare i ritardatari. Gli oggetti traslocheranno dagli appartamenti imbolsiti ai
loft luminosi senza nemmeno riposare in qualche cantina.
E' stato lo stesso Derrida' ad arretrare agli anni '50 l'epoca in cui il termine
potesse avere una qualche plausibilita', almeno nel campo del pensiero. Forse c'e'
qualcosa di misterioso anche nella critica del gusto, filosofico o arredativo fa
poca differenza.
Che le Ceramiche Pucci possano ambire al pari di Heidegger e di Derrida al ruolo di
precursore del gusto postmoderno e' invero un po' forte. Ma appunto del gusto, che ha
il diritto di essere meno circostanziato del pensiero logico-formale. Marinella
Caputo e Angelica Pucci ricostruiscono dettagliatamente le vicende della Pucci e
fanno bene a precisare che tutte le convenzioni temporali durano un po' piu' o un po'
meno di quello che lasciano intendere. Gli anni '50 iniziano quindi nel 1947 anche
per la Pucci e non soltanto per la Repubblica Italiana che manda in esilio il Re.
Sorprendera' che il disimpegno decorativo di cui la manifattura umbertidese si fa
indistratta promotrice avvenga in tempi di dispute ideologiche feroci e di
formalizzazione internazionale di due blocchi nemici, contrapposti e inconciliabili.
Il gusto ha persino il diritto di sembrare meno incombente della storia in atto, e
tuttavia non meno capace di permeare la vita quotidiana in profondita'. Inquadrato in
questa congiuntura, il postmoderno ante litteram e' quindi una funzione rilassata,
una sorta di valvola di scarico della modernita' incombente e conflittuale. Se cosi'
fosse non dovrebbe mai perdere di vista quella modernita' che l'ha reso possibile.
Infatti, a voler ritornare ideologici e programmatici, o semplicemente volitivi,
negli anni '50 (a differenza che negli '80) c'e' solo l'imbarazzo della scelta. Una
tempra postmoderna ha qualcosa di eroico (o per meglio dire di giustificabile) solo
in un'epoca di conflitti.
Va anche rilevato che le Ceramiche Pucci nascono da una costola delle ben note
Ceramiche Rometti, che nell'agiografia del Fascismo e nel carattere propagandistico
avevano misurato il proprio equilibrio decorativo e il loro punto di massima
tensione. Il disimpegno degli anni '50 e' forse anche un portato dell'impegno
precedente e del suo fallimento storico. D'altra parte, anche in assenza di
cicatrici di tale portata come la Seconda Guerra Mondiale, la storia dell'arte
moderna, e delle avanguardie in specie, e' una sequenza ininterrotta di parricidi, in
cui le modificazioni lente del gusto sono soltanto l'omicidio lento e perfetto del
genitore. Ma la Pucci, e quasi tutta la ceramica moderna italiana nel suo insieme, e'
ben lungi dal porsi come avanguardia. Sa stare al suo posto ed entra nella modernita'
quasi senza accorgersene, che e' come dire intridendola in profondita'. I protagonisti
dell'avanguardia "vera" in ceramica, i Leoncillo o gli Jorn nelle loro opere mature
e piu' potenti, esibiscono un materiale "a basso tasso di modernita'" come sfida alla
modernita' stessa. Ma siamo gia' oltre le illusioni progressiste del dopoguerra; siamo
nei pieni '50 e l'impeto critico dei due artisti non filtra nelle Ceramiche Pucci ne'
in ogni altra manifattura. A pochi chilometri da Umbertide lavora anche Alberto
Burri, che gia' costituisce il maggior scandalo del dopoguerra artistico italiano e
che ripropone, sublimandole sull'orlo di un abisso, le questioni della sconfitta e
della memoria. Alcuni esemplari Pucci di ribadita sostanza materia si legano al
contesto di una generica koine' informale senza alcun'altra intenzione, tanto meno
quella di fare i conti con la sconfitta e con la memoria. E' invece accolto un
sorvegliato influsso dell'ottimismo "nucleare", che sa ben calibrare il lessico
ormai celeberrimo di Lucio Fontana con l'esigenza di compattare e equilibrare la
forma dell'oggetto, anziche' tendere alla sua esplosione formale. Il risultato,
principalmente ad opera di un artista come Orfei, e' di notevole eleganza, si
potrebbe dire di pura calligrafia; ma neanche Fontana era riuscito a liberarsi del
tutto di una profonda eleganza formale che contraddiceva gli stessi programmi
"nucleari".
Tuttavia il vettore della particolare cifra stilistica delle Ceramiche Pucci e' quel
segno sottile e non di meno nervoso che costruisce forme e figure. Il segno e'
insieme alla materia e al gesto uno dei caratteri centrali delle avanguardie
artistiche dei '50, negli USA come in Europa. Nelle Ceramiche Pucci e' naturalmente
anch'esso sottoposto ad una sorta di cura tranquillante.
L'Italia degli anni '50 inizia a liberarsi irreversibilmente delle sue profondissime
radici contadine. Il Paese e' in fase di modernizzazione accelerata, e il processo
lima e ammortizza le feroci contrapposizioni sociali e politiche. Le Ceramiche
Pucci, pur conservando l'eccellenza tecnica (e i tecnici) delle Rometti, costano
assai di meno e sono abbordabili da una nuova classe media che per acquistare il
Santone di Cagli del 1928 avrebbe dovuto investire due stipendi mensili. L'Italia
inizia anche a dimenticarsi di essere stata poverissima.solo dietro l'angolo della
sua storia recente. I prezzi dei nuovi manufatti industriali e artigianali la
aiutano a dimenticarsene. Tuttavia la polarizzazione sociale e politica segmenta il
milieu culturale. La cultura italiana si dispone tra il massimo e il minimo
dell'impegno, lasciando presto la seconda determinazione ai sistemi tecno-mediali
gia' scatenati. Ma la modernizzazione e' un tema forte, ideologico suo malgrado, che
impegna automaticamente anche chi cerca di disimpegnarsi. Le Ceramiche Pucci
sembrano esserne talmente consapevoli da evitarlo accuratamente, ma al contempo
evitano con la stessa accuratezza le banalita' inzuccherate o strapaesane della
ceramica popolare italiana, che gia' ripropone come revival i moribondi valori del
mondo contadino. La qualita' dei manufatti e la loro acquisita personalita' sono gia'
un impegno. Gli oggetti e la stessa clientela di Pucci pare definirsi in questa
sequenza di aggiustamenti e di contraddizioni: la modernita' e' un valore sottile, e'
una scelta estetica calibrata e consapevole di cio' che sta avvenendo nell'arte e
nella societa' moderna, ne' ha bisogno di rendersi plateale sbandierandone i valori Il
solo nodo modernista di quegli anni a venire affrontato direttamente nella
manifattura umbertidese, o piuttosto lambito, e' la trasformazione degli italiani in
inesausti guidatori di fiammanti "utilitarie". Pucci vi si cimenta in alcuni
esemplari di automobili che sembrano piuttosto bomboniere. Peraltro non le guida
nessuno.
Un altro dei logos forti della manifattura, l'oggetto di forse maggior successo
delle Ceramiche Pucci, e' il Vaso dei Ragni che per la sua sagoma ricorda un pallone
da football. Il calcio e' da tempo lo sport preferito dagli italiani. Val quindi la
pena di misurarlo con un piatto delle Ceramiche Rometti che affrontava, grosso modo,
lo stesso argomento e che fu realizzato da Baldelli in occasione dei Campionati
Mondiali di Calcio del 1934, vinti di misura dall'Italia in una combattuta finale
contro la Cecoslovacchia a Roma. Il piatto della Rometti presentava un
calciatore-silhouette acrobatico e ancor futurista che scagliava un pallone quasi
fuori dal piatto. Il pallone-bomba degli anni '30 e' ora diventato un elegante
oggetto tridimensionale afflosciato e morbido. La metafora degli insuccessi della
Nazionale Italiana dopo la tragedia del Grande Torino e' forse solo casuale. La
tipica raggiera cromatica degli oggetti Rometti, legata agli esiti dell'aereopittura
futurista, si placa del tutto nel cromatismo pacato e nelle dorature della Ceramica
Pucci. L'ironia lieve e sottile sostituisce il vitalismo modernista. I due oggetti
condividono la perfezione tecnica e l'elegante impaginazione, tuttavia appare quasi
programmatico l'intento leggero e disimpegnato della ceramica Pucci, pronta ad
aggirare persino la tensione delle passioni sportive.
Diventa quindi pressoche' un destino che un'anonima "signorina di Gubbio" sigli
alcune tra le opere piu' curiose e affascinanti della manifattura umbertidese. Le si
direbbe "naif", in un'epoca in cui tale definizione era gia' ben logora, se l'ironia
e qualche paradossale allegoria non ci spronassero a definirle "postmoderne", in
un'epoca in cui tale termine, seppur inedito, poteva significare ancora qualcosa.
Il catalogo di SKIRA Editore, contiene i testi critici di Enrico Mascelloni,
Angelica Pucci e Marinella Caputo; le schede e la riproduzione a colori e
bianco/nero delle opere esposte.
Ufficio Informazioni Turistiche di Umbertide
Tel. 075 9417099
e-mail: marisa.pazzaglia@iat.cittadicastello.it
Ufficio Stampa e Relazioni Pubbliche:
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Orario: Tutti i giorni 10.30-12.30 e 16.30-19. Lunedi' chiuso
Biglietto d'ingresso: Intero Euro 2, ridotto Euro 1