Attraversare le contingenze allargando le prospettive

20/07/2015
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Albanian Trilogy


La serie di “equivoci stratagemmi” messi in luce da Armando Lulaj nella sua mostra presso il Padiglione Albania alla Biennale di Venezia 2015.



Armando Lulaj, It Wears as It Grows (2011), Film, RED transferred to full HD, B/W and Color, Sound, 18'















Armando Lulaj, NEVER (2012), Film, Full HD video B/W and Color, Sound, 22'















Armando Lulaj, Recapitulation, 2015. Video, RED transfered to full HD, b/w and color, sound, 13'











Ingresso Padiglione Albania - riproduzione degli Aviatori(1966), di Spiro Kristo



di Giovanni Viceconte

Armando Lulaj (Tirana, 1980) a distanza di pochi anni dalla prima partecipazione alla Biennale di Venezia (2007) Pensa con i sensi, senti con la mente - Arte al presente, torna a rappresentare per la seconda volta il padiglione Albanese.
Il giovane Lulaj, già conosciuto a livello internazionale, propone per questa Biennale un intervento sulla memoria collettiva della sua nazione dal titolo Albanian Trilogy – A Series of Devious Stratagems.
Il Padiglione collocato al centro dell’Arsenale è riconoscibile dalla scritta rossa “ALBANIA” e dalla riproduzione del dipinto degli Aviatori (1966) di Spiro Kristo, esponente del realismo socialista. L’immagine degli aviatori, posta all’ingresso, ci invita a compiere un’esperienza visiva e temporale tra le vicende e i luoghi della storia albanese.
L'obiettivo è far riflettere sui sistemi del potere e sulle relazioni tra ciò che è stato e il suo riemergere ambiguamente nella nostra quotidianità.
Gli argomenti di questa Trilogia sono tuttora attuali e solo in apparenza lontani e “innocui” anche rispetto a noi visitatori dell'opening della Biennale, sempre più distratti e superficiali, coinvolti in una mondanità che è sinonimo di quel potere economico che trascina tutti nel suo vortice.

Lulaj oggi vive e lavora a Tirana, ma i suoi primi passi sono stati in Italia; infatti ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove, nel 2001, organizzò la sua prima performance Walking Free in Harmony per la quale fu radiato dall’istituzione fiorentina.
L’azione - conclusione naturale del manifesto Underground Movement, scritto nel 1999 - ha visto Lulaj vestito da militare camminare con uno stereo a tutto volume sui tetti dell’Accademia, fino a violare la cupola che copre il David di Michelangelo. Un’azione oltraggiosa che voleva mostrare metaforicamente le debolezze della scuola e dei suoi insegnamenti.
Questa prima performance segna i tratti distintivi di Lulaj e rivela la metodologia di un artista che non ha paura di esporsi e mettersi contro i conformismi delle istituzioni. Questi meccanismi al limite della legalità, la corruzione e il potere, sono i temi che emergono in tutta la ricerca artistica di Lulaj; ne sono un esempio lavori fondamentali come: Playcracy, 2002; Living in memory, 2004; Problems with Relationship, 2005; Time out of joint, 2006; Reflections on Black, 2006 e la più recente performance FIEND, 2013, realizzata presso il Teatro Nazionale di Tirana e ispirata ai documenti che raccolgono i 452 file di Wikileaks sull'Albania.
Tutti questi lavori raccontano la storia di un Paese che ha cancellato le basi della democrazia a causa del fallimento delle istituzioni e della loro corruzione interna. Manipolazioni e insolvenze che divengono immagine dei lati oscuri della politica mondiale, quella che costruisce e decide i “giochi” e il destino dell’umanità.
A comprovare il suo impegno artistico-sociale nel 2003 Lulaj ha fondato a Tirana, con alcuni suoi colleghi, il DebatikCenter of Contemporary Art- il nome è un omaggio ai giovani che combattevano il nazi-fascismo negli anni '40. Il Centro nasce dalla volontà di raccontare attraverso l’arte la storia di un popolo.

Anche il progetto Albanian Trilogy – A Series of Devious Stratagems (una serie di equivoci stratagemmi), proposto per questa 56ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, a cura di Marco Scotini (frutto di una selezione attuata attraverso un’open call internazionale, sotto l’egida del Ministero della Cultura albanese, che ha coinvolto personalità come Boris Groys, Kathrin Rhomberg, Adrian Paci e Alberto Heta), esibisce la “minaccia” che si cela dietro i funzionamenti del potere.

Questa scelta si lega al tema della Biennale All the World’s Future, secondo uno dei filtri proposti dal direttore Okwui Enwezor, usando l’immagine suggerita, in “Tesi di filosofia della storia”, da Walter Benjamin nell’interpretazione dell’opera di Paul Klee: “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”. L’opera di Klee diviene metafora della memoria e della storia collettiva che l’artista ripropone nei tre film di Albanian Trilogy: It Wears as It Grows, 2011; Never, 2012 e Recapitulation 2015 (concepito appositamente per questa Biennale) che, insieme all’estraniante scheletro di una balena e a materiale d’archivio, rivelano la capacità dell’arte di riesaminare il tempo cercando di ridefinire il futuro.

Il primo video della trilogia It Wears as It Grows (2011) ci riporta a uno storico incidente avvenuto nel 1963. Dopo la rottura dei rapporti con l'URSS la marina albanese, ossessionata dall'idea di essere attaccata, avvistò al largo di Patok un oggetto sospetto che appariva e scompariva in mare.
Pensando che fosse un sottomarino i soldati spararono e colpirono invece un capodoglio (Physeter macrocephalus) del Mediterraneo. I resti del cetaceo, dopo essere stati recuperati, furono conservati nel Museo di Storia Naturale di Tirana. Oggi quello stesso scheletro - lungo 11 metri - è esposto da Lulaj al centro del padiglione.
Il video di Lulaj riprende l'azione del 2011, quando lo scheletro fu trasportato per le strade di Tirana per sollevare dubbi e incertezze sul presente.
Il video si conclude con la sistemazione della carcassa nel mausoleo piramidale di Enver Hoxha a Tirana, edificio progettato dalla figlia e dal genero del dittatore per glorificarne la figura. Il legame tra il capodoglio e Hoxha è ribadito da Lulaj anche tramite una serie di libri che fanno emergere la strana relazione tra il numero delle vertebre dell’animale con i 71 testi in cui tiranno albanese ha scritto, cancellato e poi riscritto, la storia del suo popolo.

L’avvenimento riportato nel secondo video Never (2012), ci racconta la singolare azione che alcuni militari e studenti realizzarono nel 1968 per celebrare il leader Enver Hoxha.
Sul pendio scosceso della montagna Shpirag, vicino alla città di Berat, essi realizzarono la scritta “ENVER”. L’operazione divenne un rito collettivo-celebrativo, capace di meravigliare non solo per la spettacolarità delle dimensioni, ma per la sua forza nel rappresentare un sistema e una strategia utilizzando le stesse dinamiche della coeva Land Art.
Il nome del dittatore, nonostante un primo tentativo di cancellazione nel 1993, fu ripristinato nel 1997 a spese del partito comunista. Nel 2012 un’azione pensata da Lulaj porta gli abitanti del luogo a riscoprire la scritta tramutando “ENVER” in “NEVER”. Il semplice scambio delle prime due lettere - “EN” in “NE” - ne modifica completamente il significato. La nuova scritta segna la negazione di un passato totalitario, ma ci mostra un presente tuttora segnato dal vecchio sistema economico e politico.

A completare la trilogia è Recapitulatione (2015). Questo terzo video - illustratomi dallo stesso Lulaj - riferisce la vicenda storica avvenuta il 23 dicembre 1957, quando un Lockheed T-33 Shooting Star, aereo dell’US Air Force, entrò nello spazio aereo albanese. Rapidamente identificato da due MiG-15 jet da combattimento albanesi fu costretto ad atterrare all'aeroporto di Rinas, vicino a Tirana. Il pilota americano era il Maggiore Howard J. Curran, eroe della seconda guerra mondiale che fu rilasciato l’11 gennaio 1958.
Il velivolo invece, non abbandonò più l'Albania e fu custodito nel nuovo Museo delle Armi con un’etichetta che recitava "American Spy Plane". Nel 2009 apparve alla fine della scritta un punto interrogativo trasformando l'affermazione in una domanda: "aereo spia americano?" L'azione di Recapitulatione ambientata a Gjrokaster, reinterpreta l’evento attraverso l’atto di “liberare” e alzare in volo sopra i cieli dell’Albania la vecchia carcassa dell’aereo americano. La dinamica dell’azione giocata tra passato/presente, amichevole/pericoloso fa riemergere una sorta di linguaggio cifrato tipico della Guerra Fredda. Mentre l’atto di ripetizione dell’episodio riconduce ad angosce e segreti solo apparentemente sepolti.
A completare il progetto Albanian Trilogy, il catalogo-atlante chiarisce l’indissolubile legame tra il lavoro dell’artista e la storia della sua terra al tempo della Guerra Fredda.

Giovanni Viceconte (Cosenza, 1974), è giornalista e curatore. Si è laureato all'Accademia di Belle Arti, nel 2004 ha conseguito il Master in Organizzazione Eventi Culturali e nel 2005 il Master in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Ha collaborato con diverse testate nazionali di settore e curato progetti espositivi presso spazi pubblici e privati seguendo il lavoro di artisti delle ultime generazioni legati al linguaggio video e performativo. Attualmente si occupa del progetto 2Video su UnDo.Net e dell'archivio ArtHub.it