Attraversare le contingenze allargando le prospettive

11/07/2015
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Azioni e artifici

Claire Bishop è una critica da sempre impegnata nel dibattito sull'arte pubblica in ambito internazionale. Il suo ultimo libro è stato tradotto e curato da Cecilia Guida, che qui ci parla di slittamenti di ruolo dell'artista e di "liberazione" dalla condizione di spettatore...





























Annalisa Cattani: Cecilia Guida è una curatrice, ricercatrice e studiosa che dirige il dipartimento di educazione della Fondazione Pistoletto e insegna all'Accademia di Belle Arti di Firenze.
Cecilia ha curato la traduzione di un importantissimo libro di Claire Bishop che è stato pubblicato lo scorso marzo da Sossella Editore con il titolo "Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell'arte partecipativa"
Fare una traduzione vuol dire spendere molto tempo in studi e ricerche per arrivare a un'interpretazione. Ci puoi parlare di questo testo?


Cecilia Guida: è un libro che dà una cornice storico critica dell'arte partecipativa a partire dalle serate futuriste fino ai giorni nostri, parlando di progetti che arrivano al 2010. Questo infatti è un volume uscito nella sua versione originale nel 2012.
Riguarda anche la storia dell'arte extraeuropea in quanto comprende anche il Sud America e l'Argentina in particolare, l'Europa dell'Est con la Repubblica Ceca e Slovacca e l'ex Unione Sovietica. Claire Bishop fa un'analisi delle prime mostre che hanno avuto luogo nello spazio pubblico e di quelle più importanti che si sono svolte negli anni '90. Quindi l'autrice affronta la messa in discussione del concetto di "progettualità" in seguito alla caduta del muro di Berlino - inteso come progetto politico, sociale ed economico - fino ad arrivare a ricerche più recenti.
E' un percorso molto molto articolato, molto complesso... Claire Bishop ha impiegato 8 anni a scrivere questo libro e nella lettura si nota, perchè è un'analisi che ritorna sulle definizioni, sulle declinazioni, sugli artisti, sui progetti e sulla contemporaneità.

A.C.: Apprezzo molto la forza della Bishop nella pratica del definire, in Italia l'arte partecipativa (o cosiddetta arte relazionale) esisteva anche prima degli anni '90, però erano tutti piuttosto restii a definire e articolare.
Invece lei mi pare che, anche in pubblicazioni precedenti a questa, non abbia paura di sporcarsi le mani nel tentare di afferrare queste pratiche e anzi a rimettere anche in discussione definizioni che lei stessa aveva dato. A proposito, parlaci del titolo: perchè Artificial Hells (Inferni artificiali)?


C. G.: Il titolo, molto enigmatico, è preso in prestito da un testo di Andrè Breton che faceva a sua volta riferimento a Les Paradis artificiels di Baudelaire.
Breton ha fatto una "ripetitizione differente" mettendo il suggello sulla matrice romantica, decadente e negativa con riferimento a Rimbaud, Nietzsche, Schopenhauer, quella anarchica di Tzara e Picabia e anche scandalistica delle performance di Dada in Cabaret Voltaire. L'ha fatto per avviare un processo costruttivo in cui il pubblico potesse confrontarsi con un nuovo tipo di azione artistica e di spettatorialità.
Nel saggio che contiene questa espressione, Breton suggella la morte di Dada proprio con la sua proposta di scendere in piazza (che non viene accolta dai suoi colleghi) aprendo quindi una nuova fase: quella verso il progetto surrealista che voleva rifondare la società sul piano artistico.
Quindi questo titolo ripropone una rottura simbolica all'interno della storia dell'arte contemporanea. Però secondo me il titolo senza il sottotitolo (La politica della spettatorialità nell'arte partecipativa) non è molto significativo, perchè questo è un libro che vuole rivolgersi a un pubblico molto ampio, proprio per tutte le declinazioni anche sociali dei progetti analizzati dall'autrice e per le teorie che lei stessa mette in campo.

A.C.: In che posizione Claire Bishop mette il pubblico?

C. G.: Da un certo punto di vista questo è un libro sul pubblico. Lei preferisce alle diverse definizioni che esistono di arte che fuoriesce dagli spazi museali e dagli atelier l'espressione Arte partecipativa, ma l'argomento è la spettatorialità come categoria teorica.

A.C.: Ma si preoccupa anche della manipolazione del pubblico?

C. G.: Bishop analizza il ruolo dell'artista nella sfera sociale e quello del pubblico che viene invitato ad attivarsi e quindi a "liberarsi" dalla condizione di spettatore per assumere un ruolo di "partecipante" attivo alla realizzazione dell'opera.
Certo questo può portare il pubblico a seguire le istruzioni che l'artista ha dato... un aspetto particolarmente evidente nel capitolo 8 in cui si analizza la performance "per delega". Comunque l'aspetto performativo attraversa un pò tutto il libro, l'invito al pubblico ad attivarsi è infatti uno dei suoi temi principali.

A.C.: Come descrive invece il ruolo dell'artista e quello del critico? Ruoli che spesso si fondono e diventano osmotici?

C. G.: La messa in discussione dei ruoli dell'artista e del pubblico, cioè lo slittamento dell'autorialità, è l'altro grande tema trattato nel libro.
La messa in discussione dell'autorialità è proprio all'origine dell'arte partecipativa, in questo libro è presentata attraverso dei casi di studio sulle effettive modalità attraverso le quali l'artista crea un canale comunicativo sia con il pubblico che con altri artisti.
La dimensione partecipativa pervade la società e non è certo un'esclusiva del mondo dell'arte, quello che bishop fa è dimostrare come questi progetti artistici siano politici perchè riescono ad avere effetti nel reale.
Sono progetti che riescono a proporre delle modalità altre, mettendo in campo situazioni paradossali, creando cortocircuiti e rilanciando link con altri ambiti del reale, contribuendo a riflettere e a definire il concetto di partecipazione e collaborazione.

A.C.: Quali sono gli artisti italiani citati?

C. G.: Nonostante questo libro colmi delle lacune storico-artische molto importanti - come ad esempio il capitolo dedicato ad Artist Placement Group (APG) un'organizzazione fondata da Barbara Steveni e John Latham oppure dove si parla dell'ex URSS o del Sud America - gli artisti italiani citati in 400 pagine sono solamente tre: Maurizio Cattelan, Gino de Dominicis e il duo Premiata Ditta che sono oggi conosciuti come UnDo.Net e che appunto negli anni '90 sviluppavano progetti di tipo partecipativo nell'ambito di mostre importanti a livello internazionale. Bishop ha conosciuto il loro lavoro all'interno di una mostra che si intitolava "Unitè, Art, Architecture, Design" che si svolgeva nel 1993 all'interno dell'Unitè d'Habitation di Le Corbusier a Firminy. Il loro progetto aveva come titolo "Mappe relazionali", qui Premiata Ditta ricostruiva le relazioni stabilite dagli abitanti all'interno dell'Unite visualizzando le informazioni che aveva raccolto attraverso dei questionari.
Sviluppando in seguito UnDo.Net, Premiata Ditta ha condotto la propria ricerca passando da un ambito materiale ad uno immateriale (quello di internet), dove ha continuato ad analizzare la dimensione relazionale della pratica artistica.
Certo Cattelan non è esattamente un'artista di arte partecipata...

A.C.: Forse, senza voler essere polemica, è ovvio che dovrebbe partire anche dall'Italia l'approfondimento e la divulgazione di quello che accade. Cattelan l'han tirato un pò per i capelli perchè ha una risonanza internazionale... certo c'è della relazionalità nei suoi progetti però a livello europeo ci sono sicuramente altri progetti con ricadute partecipative molto più rilevanti... Comunque mi sembra già molto interessante poter sviluppare un discorso su questi argomenti a partire dal libro...

C. G.: Effettivamente non esiste un'analisi, una discussione che passi attraverso pubblicazioni sulle ricerche artistiche contemporanee italiane nelle loro declinazioni partecipative e collaborative. Quindi questa è innanzitutto una nostra mancanza. Io però spero che questo libro riesca a stimolare un dibattito che possa andare oltre l'Estetica relazionale - visto che il libro di Nicolas Bourriaud è stato tradotto tardi nel nostro Paese ma ha dominato a livello di riferimenti teorici i nostri saggi, i temi e gli interventi dei convegni, anche un pò le produzioni e le opere degli artisti italiani.
Ora spero che, considerando gli argomenti e gli stimoli che il libro di Bishop suggerisce, si vada oltre... è interessante che lei in 400 pagine, riesca comunque a non chiudere le definizioni, a non proporre una soluzione, ma a tenere invece gli argomenti aperti in modo che possano servire a un dibattito politico per storici, per critici e anche per artisti.
Io ho ovviamente fatto uno studio molto approfondito dei sui scritti e dei suoi interventi, una cosa che lei dice spesso è che probabilmente la forma libro per questa sua ricerca non è quella più adatta. Lei dice che le lezioni e le conferenze sono invece i momenti più adatti; prima di tutto perchè creano un dibattito, nel riprendere questa sua constatazione io spero che questo libro stimoli degli incontri e delle discussioni.
Che si tengano presenti diversi medium per affrontare aspetti differenti del discorso...

A.C.: Quali sono i tuoi prossimi progetti?

C. G.: Quello che sto sviluppando qui a Cittadellarte di Fondazione Pistoletto mi terrà occupata nei prossimi tempi, è un progetto formativo che consiste nella trasformazione di una residenza per artisti in un programma educativo basato sull'approfondimento di temi che l'arte affronta nel momento in cui dialoga con la sfera sociale.
Devo dire che l'ho impostato e lo sto sviluppando in un certo modo anche grazie alla traduzione del libro di Bishop. Tra l'altro l'ultimo capitolo riguarda appunto i progetti pedagogici e l'interesse degli artisti verso la formazione a partire dalle pratiche e dagli strumenti dell'arte.
Sicuramente la traduzione mi ha aiutato a disegnare e sviluppare il progetto in una maniera per me più convincente anche rispetto all'attualità.

Questa intervista è stata realizzata domenica 14 giugno 2015 nel corso di un evento organizzato da Annalisa Cattani presso lo spazio indipendente Novella Guerra in memoria di Enrica Bombardelli; durante la giornata si sono svolte performance, installazioni ed interventi di diversi artisti.

Annalisa Cattani è artista-curatrice, Ricercatrice di Pubblicità e Arte vs Retorica, insegna all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, al LABA di Rimini e allo IULM di Milano.