Attraversare le contingenze allargando le prospettive

05/06/2015
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My house is a Le Corbusier

Secondo appuntamento: "Dalla casa dell'io privato all'abitazione dell'uomo pubblico"

Intervista a Cristian Chironi a cura di Giovanni Viceconte



Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, veduta della cucina con diverse opere, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (millepiedi), 2015, tazzine e sottotazzine da caffe', © FLC e l'artista.




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier(Studio Apartment), 2015, veduta delle sala da pranzo, video conversation #1, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, veduta della camera da letto con tappetto Broken English, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, veduta della camera da letto, centrotavola in cemento e foto piegata, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, veduta del soggiorno con diverse opere, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (CC4), 2015, poltrona LC4 rivestita di pelle di pecora conciata, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Unite' d'habitation), 2015, portachiavi e chiavi, © l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (libreria), 2015, betoniera d'appartamento, libri tritati, copertine degli stessi libri, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (libreria), dettaglio




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Cite' de refuge), 2015, carriola, proiettore, video, sonoro, muro, mappa politica dell'Europa, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (CC5), 2015, materiali per ponteggio e stampe in pvc, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, veduta dello studiocon diverse opere, © FLC e l'artista




Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Studio Apartment), 2015, cartoline intagliate a mano sparse su tavolo, © FLC e l'artista




Cristian Chironi in collaborazione con Francesco Brasini, My sound is a Le Corbusier (Esprit Nouveau Pavilion)




Giovanni Viceconte: Riparti da Parigi, con il secondo appuntamento di My house is a Le Corbusier. Come nasce l'idea di vivere nelle case progettate dal grande architetto Le Corbusier?

Cristian Chironi: Sono potenzialmente trenta le costruzioni di Le Corbusier in cui potrei realisticamente vivere, o almeno così si dice. Non devo farle tutte, il progetto, infatti, si completa nell'attraversamento di dodici Paesi sparsi in tutto il mondo. Se nella stessa nazione c'è la possibilità di interagire con più opere abitali di Le Corbusier, ben vengano.
L'idea di vivere nelle case parte da un fatto realmente accaduto a Orani, paese al centro della Sardegna, dove sono cresciuto e tuttora vivono i miei parenti. Nella seconda metà degli anni Sessanta, l'artista sardo Costantino Nivola, legato da una profonda amicizia con Le Corbusier, di passaggio a Orani (anche suo paese di origine) affidò alla famiglia del fratello Francesco un progetto firmato dall'architetto, con l'auspicio che, lui e i figli muratori (Daniele e Peppe), in procinto di costruire una casa, seguissero le istruzioni contenute all'interno. L'importanza di questo lascito non fu però recepita. Tempo dopo Costantino, rientrato da Long Island, notò che la casa costruita non corrispondeva alle caratteristiche del progetto che, a detta di tutta la famiglia "non aveva né porte né finestre e assomigliava più a un tugurio che a una casa". Individuo in questo episodio il potenziale narrativo per un'analisi di una serie di relazioni nel contemporaneo, legate al concetto di comunicazione, lettura e interpretazione, con conseguenti implicazioni linguistiche e socio-politiche. Calandomi -in un periodo storico di difficile stabilità economica- nell'impossibilità di possedere una casa di proprietà, ma prendendomi in cambio la libertà di abitare le case di Le Corbusier nel mondo.

Come ha accolto il tuo progetto la Fondazione Le Corbusier e in che modo sosterrà questa tua esperienza artistica-performativa dilatata nel tempo e nello spazio?

Dandomi una borsa di studio, che ho investito all'inizio nella progettazione e nella conoscenza diretta di alcune opere di Le Corbusier. Permettendomi di risiedere al settimo piano dell'Immeuble Molitor, nell'appartamento-studio che Le Corbusier abitò dal 1933 al 1965. Che è un gran bel privilegio. Aiutandomi, dove sarà possibile, a farmi entrare in altre abitazioni.
Bénédicte Gandini è la figura della FLC con cui interagisco maggiormente e senza di lei avrei avuto più difficoltà a portare avanti questo progetto e a dialogare con un'istituzione devota soprattutto alla conservazione. Ho trovato in lei un prezioso supporto umano.
Il direttore Michel Richard, con My house is a Le Corbusier e la mostra Re-Corbusier, in corso a maison La Roche-Jeanneret, sta dando un segnale di apertura al contemporaneo rispetto agli anni passati, a mio avviso importante anche rispetto alla vitalità della fondazione. Penso che Le Corbusier, infatti, debba essere continuamente riposizionato, riletto e usato come uno strumento di lavoro per parlare di problematiche anche del contemporaneo.
La fondazione è rappresentata soprattutto da studiosi e specialisti come Giuliano Gresleri, J.L. Cohen, Stanislaus von Moos, Bruno Reichlin e altri ancora, ed è da queste persone appassionate che arriva il miglior supporto.
In termini di produzione economica sono i miei collezionisti che in questo momento mi stanno sostenendo ed è anche grazie a loro che il progetto si muove.

Quali sono gli aspetti che collegano la mostra "Broken English", realizzata al MAN di Nuoro nel 2014, con le residenze di My house is a Le Corbusier?

In questa tappa specifica ho voluto inserire la performance live "Broken English" presentata al padiglione Svizzero, costruito da Le Corbusier all'interno de la Cité Internationale Universitaire de Paris. In Broken English, terminologie mal strutturate coniate da soggetti non madrelingua, dall'essere semplici elementi comunicativi si trasformano in immagini, oggetti, suoni e azioni declinate in un percorso che integra problematiche linguistiche con quesiti di carattere socio-economico. Alla base del progetto c'è l'incontro tra culture e geografie diverse, creazione di nuovi soggetti linguistici, trasformazioni in corso. Caratteristiche che sono presenti anche in My house is a Le Corbusier. Sono due storie diverse che hanno alcune affinità.
La Cité Internationale Universitaire de Paris si contraddistingue per la costruzione di residenze per ricercatori e studenti stranieri in mobilità, favorendo gli scambi di persone provenienti tutto il mondo. Ho pensato che fosse il posto giusto per far rivivere insieme i due momenti della mia recente ricerca, l'intenzione era anche di presentare il catalogo che li raccogliesse, ma diversi problemi l'hanno fatto slittare in avanti nel tempo.
Alla Cité Internationale Universitaire sorge anche la Maison du Brésil, costruita anch'essa da Le Corbusier (in collaborazione con l'architetto Lucio Costa), dove avrei voluto fare la performance "Cutter", con uno specifico zoom sull'Amazzonia. Siccome non mi è stata concessa la possibilità da parte della direzione che gestisce lo spazio, ho l'ho dovuta spostare all'interno del padiglione svizzero. Qui ho trovato un'organizzazione accogliente, professionale e aperta a lavorare con qualsiasi disciplina.

Questo progetto evidenzia anche diverse relazioni tra l'architetto Le Corbusier, l'artista sardo Costantino Nivola, il maestro Salvatore Bertocchi e il tuo paese d'origine Orani (NU). Raccontaci questi legami...

Le Corbusier e Costantino Nivola si sono conosciuti a Long Island e da quell'incontro e nata un'amicizia e una collaborazione durata nel tempo. Fu Costantino a ospitare Le Corbusier a casa sua invitandolo a pranzo. Da quel momento le rispettive ricerche si sono influenzate a vicenda. Nivola sperimentava la tecnica de sand-casting, che attraeva Le Corbusier.
Salvatore Bertocchi è il cugino di Costantino e da lui fu presentato all'architetto, che ne apprezzò immediatamente l'abilità di muratore. L'esperienza e la capacità di Bertocchi nell'uso del cemento è la stessa che si può riscontrare nei muratori di Orani, che con l'edilizia ci sanno fare da sempre.
Orani è un paese di grande estro e creatività, dove non si aspetta un architetto per progettare una casa ma la si costruisce da sé. Ognuna a suo modo naturalmente.
C'è poi una quarta figura -quella che più mi attrae- che entra a far parte di queste relazioni, ed è quella di "Chischeddu" (con i suoi figli) che dice: "Noi la casa ce la facciamo così!"; aprendo porte e finestre all'immaginazione.

La tua prima residenza si è svolta a gennaio 2015 presso il padiglione dell'Esprit Nouveau di Bologna. Quali sono i legami e le differenze tra l'esperienza bolognese e questa di Parigi?

Nell'appartamento-studio, la luce naturale è ugualmente avvolgente come a Bologna. E' l'orologio non appeso al muro che scandisce la giornata: più solare in Italia, ma magica a Parigi quando il cielo si riempie di nuvole che entrano in casa e te le ritrovi nel piatto mentre mangi.
L'ora più affascinante è il tramonto, ogni volta di colore diverso, che dialoga con il cromatismo interno delle pareti della casa e si prolunga sulla lastra di marmo fatta a tavolo. Non serve la TV qui. Non avevo poi connessione internet se non un flebile segnale sul telefono. Tutto diventa più importante.
Come a Bologna gli spazi sono ampi, con uno studio che ti permette di lavorare. Fa caldo quando è caldo e freddo quando è freddo, parliamo però di una struttura costruita nel 1933, con materiali inediti che spesso non avevano avuto la possibilità di essere testati a sufficienza. L'indole di Le Corbusier era di cercare, scoprire, sperimentare, anche nell'uso dei materiali. Le Corbusier era un viaggiatore che trovava e portava a casa. Il suo viaggio in Oriente è significativo.
Vivere dentro un'opera d'arte abitabile comporta il prendere atto di livelli diversi di godimento. E' un'opera che ha un suo clima a cui ci si deve adattare. Con l'abitare si incide su questo clima, si trasforma, si cambia, apportando beneficio alla casa.
Didier Groux (esperto di "patologie" di vecchi edifici), che qui sta compiendo i suoi studi per l'imminente restauro, mi dice: "Cristian tu sei il termometro dell'appartamento" ed è interessante rispondere ai suoi quesiti sulla base dell'esperienza che sto vivendo.

Qual è stata la reazione del pubblico? In che modo ha interagito con lo spazio parigino dell'edificio "24 NC" e con il tuo lavoro?

Il pubblico parigino è distaccato e non si concede facilmente. L'ho trovato chiuso per certi versi. Alcuni pensano ancora che Parigi sia il centro del mondo, quando è da qualche tempo che un centro non esiste più.
Le visite che ricordo con maggior piacere sono state quelle in cui le persone arrivavano da fuori: rumeni, finlandesi, vietnamiti, tunisini, argentini e francesi di ogni città.
L'empatia con il progetto è stata immediata. My house is a Le Corbusier si trasforma in Your house is a Le Corbusier. Gli spettatori mi invitano a cena a casa loro, come Xavier, vietnamita che abita a Parigi da quindici anni, all'angolo della fermata Metro Michel-Angelo Molitor. Ti ritrovi con persone nuove e pare di conoscerle da sempre.
A Bologna è stato un continuo via vai di umanità di vario genere, a ogni ora. La città ha sentito l'Esprit Nouveau come uno spazio comune da poter condividere. Il padiglione è diventato "una casa per tutti", dove le persone dialogavano, interagivano, restavano. Oggi penso sia stata l'esperienza più bella del mio percorso artistico.
Viceversa l'appartamento studio è sicuramente più bello da abitare, ma l'umore che si è creato all'interno è stato differente rispetto all'Esprit Nouveau. La tappa parigina andava comunicata meglio e non c'è stato il supporto che ho avuto a Bologna sotto questo punto di vista. Il progetto non ne ha però risentito, perché si è dilatato su altri versanti, compresi i momenti di lavoro solitari, utili e indicativi.
Questo fino a quando non si è attivato il passaparola tra le persone e, nell'ultima fase, si è creata la sinergia che avrei voluto tutti i giorni dall'inizio.

L'appartamento tende a imprigionarti, è di una bellezza unica che non ti lascia uscir da casa. Il sabato è aperto al pubblico e preso d'assalto dai nuovi turisti cinesi, armati di macchina fotografica. In questo caso mi sono sentito invaso. E' sorprendente come questi non si fermino un attimo a toccare la realtà con mano. Tendono ad archiviare ogni elemento dietro il click della macchina fotografica, rimandando il piacere della scoperta sul display in poltrona.
Il Molitor sta inoltre al confine tra Parigi e Boulogne. Se metti la mano fuori dalle finestre (guardando la Tour Eiffel) sei a Parigi, ma dentro l'appartamento sei a Boulogne. Una linea di demarcazione forte. Il comune di Boulogne manca di vita sociale. Le famiglie si chiudono dentro le case, dentro sé stesse. Non trovi un vero spazio comune al di fuori delle strutture deputate dello sport. Forse Carrefour è l'unico non-luogo d'incontro. Non c'è una piazza. E' una bolla di ricchezza staccata dal resto. Le persone escono al mattino con la racchetta da tennis Wilson sottobraccio, entrano nelle decapottabili senza guardarsi mai attorno. Fare un bagno alla piscina Molitor ti costa quanto una vacanza in Sardegna. I costi delle case e dei servizi sono spropositatamente alti. Si sta perdendo l'equilibrio su tutto.
All'interno dell'Immeuble per alcune aspetti si respira quest'aria. L'ascensore è il posto che ti permette d'incontrare chi vive qui, senza però portare a un dialogo. Ho attaccato quindi un foglio nella bacheca della Hall, scrivendo che abitavo al settimo piano e mi sarebbe piaciuto offrire un caffè e far vedere la mostra a chi volesse farmi visita. Ho così conosciuto la famiglia che vive al primo piano del "24 NC" e che a sua volta mi ha invitato a conoscere la sua casa ed ho così scoperto come avevano adattato l'appartamento di Le Corbusier alle loro esigenze.
I vicini del quarto piano mi ha fatto visita poco dopo, incuriositi da questa nuova presenza nel palazzo. Infine ho conosciuto la signora che si occupa di badare al mantenimento dell'edificio, una simpatica portoghese che brontola sempre lamentandosi che il suo di appartamento di Le Corbusier è troppo piccolo e ne vorrebbe un altro.

Oltre al fatto di far di coincidere lo spazio privato con quello pubblico, quali sono gli aspetti culturali, sociali e politici del progetto "My house is a Le Corbusier"?

Il progetto vuole mettere in primo piano l'abitare. Una casa intesa anche come luogo comune: aperta, ospitale, che non teme il confronto. I fatti di questo periodo storico ci dicono che bisogna rivedere lo stare al mondo in relazione con l'altro.
Abitare una casa di Le Corbusier, immedesimandosi nell'impossibilità di tanti a possederne una propria, è una rivincita verso chi non permette che questo sia un diritto per tutti. Le città sono costose e soggette a continui processi di gentrificazione con prezzi che salgono alle stelle, non esiste più una distribuzione equa in campo sociale ed economico. Nei libri "La casa degli uomini" o "Maniera di pensare l'urbanistica" di Le Corbusier, si possano trovare anche indicazioni utili alla soluzione di questi problemi.

Dedichi molto tempo alla pagina facebook My house is a Le Corbusier, è solo uno strumento di promozione o lo fai per legare questa esperienza di condivisione domestica e personale di uno spazio tangibile con uno spazio-tempo più vasto e allargato?

Facebook funziona come una porta che ti permette di entrare all'interno dell'abitazione, è un tappeto con scritto Welcome. Molte delle immagini postate esistono solo dentro la pagina. Durante la residenza ho sperimentato anche il collegamento via Skype, coordinato insieme all'associazione Peninsula (artisti italiani residenti a Berlino), esplorando il tema della resilienza. Ovvero la capacità di trovare motivi di resistenza e di rinascita dopo fatti, situazioni o avvenimenti che indicherebbero la fine di ogni prospettiva. E' resiliente chi non si lascia stroncare dagli avvenimenti e li supera attraverso un approccio positivo.

  Hai soggiornato fino al 20 maggio nell'appartamento-Studio di Parigi dove l'architetto Le Corbusier visse dal 1934 fino alla sua morte (1965). E' stato emozionante abitarlo?

E' stato un grande privilegio e ringrazio la FLC per avermi concesso quest'opportunità. L'attenzione maggiore è stata per le poche cose che riempiono la casa: i mobili, il tavolo, le sedie, le porte e poi i muri, la scala, il pavimento. Le cose qui conservano una storia e una personale fragilità.
I primi giorni si udivano dei rumori strani, come botti improvvisi. Scendevo le scale della camera degli ospiti ma non c'era nulla. In seguito ho capito che il legno, durante le ore buie, si rilassa nel fresco della sera, rilasciando il calore che ha accumulato durante il giorno. Per esempio la porta-armadio nella stanza da letto di Le Corbusier. Questo non è poi più successo, perché di mattina aprivo le finestre a Ovest (cucina e camera) e di pomeriggio quelle interne a Est (studio), ristabilendo un equilibrio climatico all'interno della casa. Le case hanno bisogno di cura e di essere vissute. Le case sono di chi le vive. La sensazione è di normalità. Non sento il peso di Le Corbusier perché non lo santifico, a me lui serve perché costruisce dei ponti e mi aiuta a riflettere. Forse perché avendo condiviso gran parte dei suoi anni con due altri oranesi c'è una sorta di familiarità e complicità. Mi sento a casa in poche parole.

L'architetto Le Corbusier ha fissato cinque Punti ideali per l'architettura moderna; tu puoi individuare cinque elementi fondamentali per la costruzione armonica della tua attuale ricerca artistica?

Cinque elementi fondamentali all'interno di una ricerca che è ogni giorno un cantiere in costruzione... non è semplice! Posso far riferimento a un atteggiamento di apertura culturale e al confronto con linguaggi diversi - non nella purezza, bensì nell'intreccio e nell'incontro stanno le basi della ricerca attuale. Declinata tramite differenti media. Mantenendo ben presente il suo baricentro e modello generatore. Con una resa del lavoro attraverso l'esperienza diretta, trasformando sé stessi nella misura di uno stato attuale e restituendosi attraverso l'opera a una dimensione assoluta e a un immaginario collettivo. E' un processo di condivisione che passa attraverso una messa a nudo di sé, rinuncia a ogni preconcetto, ruolo definito o categoria. Trasformando gli handicap in affrancamento e riscatto.

Anticipazioni sulla prossima residenza?

Sicuramente ci sarà un passaggio all' Apartment 50 all'interno dell'Unitè d'habitation di Marsiglia, grazie a Jean Marc Druit, il mio prossimo padrone di casa.


Giovanni Viceconte (Cosenza, 1974), è giornalista e curatore. Si è laureato all'Accademia di Belle Arti, nel 2004 ha conseguito il Master in Organizzazione Eventi Culturali e nel 2005 il Master in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Ha collaborato con diverse testate nazionali di settore e curato progetti espositivi presso spazi pubblici e privati seguendo il lavoro di artisti delle ultime generazioni legati al linguaggio video e performativo. Attualmente si occupa del progetto 2Video su UnDo.Net e dell'archivio ArtHub.it