Attraversare le contingenze allargando le prospettive

25/07/2014
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Una pratica indeterminata

Francesca Grilli e Alessandra Saviotti hanno curato insieme la mostra "Una pratica indeterminata" nell'ambito della 34ma edizione del festival Drodesera inaugurato il 23 luglio alla Centrale Fies di Dro (TN). L'esposizione raccoglie lavori di Michael Fliri, Jan Hoeft, Amalia Pica, Teatro Valdoca, Nico Vascellari e dà il via al progetto di creare una Collezione Fies con oggetti che conservino l'energia e la tensione delle performance.
Alternandosi in un dialogo a due, qui ci parlano dei lavori che hanno scelto e riflettono su quali possono essere possibilità di fare rivivere una performance, senza necessariamente cercare di raccontarla clinicamente.



Amalia Pica, Eavesdropper, performance. Foto di Alessandro Sala|CesuraLab per Centrale Fies




Nico Vascellari. Foto di Alessandro Sala|CesuraLab per Centrale Fies




Teatro Valdoca. Foto di AlessandroSala|CesuraLab per Centrale Fies




Michael Fliri. Foto di Alessandro Sala|CesuraLab per Centrale Fies




Jan Hoeft, We’ll Never Stop Living This Way, performance. Foto di AlessandroSala|CesuraLab per Centrale Fies




Jan Hoeft, We’ll Never Stop Living This Way, performance. Foto di AlessandroSala|CesuraLab per Centrale Fies




Francesca Grilli: Decidere di lavorare ad una mostra che accogliesse a Centrale Fies, opere performative ma che tuttavia avessero prodotto un oggetto potente quanto l’azione stessa, ha fatto scattare meccanismi aperti di interrogazione su pratiche impossibili da definire.
La scelta di curare una mostra in questo luogo, ha coinciso con la volontà di riflettere sulla mia pratica artistica da un altro punto di vista, in una condizione come quella di Fies, che ha sostenuto la mia produzione per molti anni. Alessandra ed io da molti anni abbiamo uno scambio intenso, attraverso le discipline artistiche, ma ricoprendo ogni volta, a seconda dei progetti, ruoli differenti. Questa conoscenza professionale esula dal rapporto curatore – artista, per questa e molte altre ragioni, abbiamo approfondito la questione oggetto performativo, lavorando ad un progetto espositivo.

Alessandra Saviotti: da molti anni collaboro alla produzione delle performance di Francesca curandone gli aspetti organizzativi e pratici, e da curatrice, mi sono sempre chiesta come poter preservare quell’attimo in cui avviene l’azione. E’ molto complicato parlare di performance in ambito espositivo, ma anche molto avvincente perché permette di cogliere l’essenza del gesto, il suo significato più profondo attraverso il concepimento di un’altra opera.
Per questa mostra poi si aggiunge un altro elemento importante, ossia il confronto con il teatro, dato che Centrale Fies è un’istituzione che lavora soprattutto con produzioni teatrali.
Attraverso la scelta del titolo - Una pratica indeterminata - abbiamo voluto aprire la riflessione accentuando le differenze tra le due discipline, ma sottolineandone lo sconfinamento. E siamo profondamente d’accordo con le parole di Jacques Rancière quando afferma che l’interesse subentra dove l’arte si fa indeterminata e perde i propri confini.

Francesca Grilli: Come artista per anni mi sono interrogata sulla necessità e funzionalità di documentare una performance, considerando che alcune vie di narrazione fossero inadeguate rispetto alla potenza dell’atto performativo. Nei miei lavori mi sono rifiutata di considerare la documentazione video, una degna sostituta dell’opera live. L’atmosfera dopo ogni performance, densa e carica, era pregna di un’altra energia, invisibile ma fruibile da tutti.
Ci siamo chieste se l’oggetto potesse essere il degno erede dell’azione stessa, respirando proprio quell’aria densa, ricercando spasmodicamente l’altra energia nelle opere. Quali siano i requisiti per fare questo tipo di scelta, rimane un aspetto ancora in divenire.

Alessandra Saviotti: Abbiamo voluto indagare la valenza dell’oggetto performativo intenso come innesco di un’esperienza autonoma rispetto alla performance originale.
L’allestimento, infatti, è organizzato in cinque differenti capitoli che evidenziano il ruolo dell’oggetto nell’azione performativa anche rispetto agli equilibri che si costituiscono all’interno degli spazi. L’opera di Amalia Pica e quella del Teatro Valdoca sono installate in modo da generare una relazione tra spazio vuoto e pieno, nel momento in cui un gesto si compie; sia da parte del pubblico che si siede per ascoltare le parole di ‘A chi esita’, sia da parte del performer che ascolta attraverso la parete in ‘Eavesdropper’.
L’attivazione dell’oggetto infatti è il capito che apre la riflessione intorno al lavoro di Pica: il bicchiere presentato semplicemente per quello che è, apre una serie di riflessioni ma anche un’azione concreta - spiare conversazioni molto private e rende il suono un atto visivo.
Sempre il suono o meglio le parole diventano oggetti per Teatro Valdoca. L’audio originale dello spettacolo crea letteralmente l’immagine nella mente di chi ascolta il lavoro che è come sussurrato dietro all’orecchio.

Francesca Grilli: Pensando al lavoro di Vascellari prodotto per il Premio Internazionale della Performance 2005, ma anche al più recente ‘Something uncovered can’t be covered again’ di Fliri donato dall’artista per la Collezione, abbiamo pensato al legame che queste opere, prodotte in loco, hanno ancora oggi con la centrale. Attraverso il racconto, l’esperienza di altri, l’eco dell’azione live era ancora presente nelle pareti di Fies. Era importante per noi sottolineare il vissuto che l’opera ha avuto nello spazio. La scelta di queste opere inoltre, vuole mostrare la modalità con cui Centrale Fies acquisirà da ora in avanti, le opere per la sua nascente Collezione.

Alessandra Saviotti: Per quanto riguarda il lavoro di Jan Hoeft invece, abbiamo fatto una scelta molto radicale lavorando sul concetto di composizione ed evocazione dell’oggetto. L’artista ha costruito la struttura durante la performance combinando il gesto lento e preciso del cucire a macchina, con una luce strobo a ritmo di musica techno. Il giorno successivo abbiamo spostato l’installazione nel parco della Centrale per creare un ulteriore effetto straniante: come è arrivato quel cubo? Che cos’è?
Abbiamo volutamente deciso di evitare di includere qualsiasi tipo di indizio che suggerisse risposte alle domande accentuando ancora di più la sensazione di disagio e inaccessibilità propria del lavoro di Hoeft e allo stesso tempo aprendo una serie di riflessioni intorno all’autonomia di quel preciso lavoro.

Francesca Grilli: L’unica verità contenuta nell’oggetto performativo, sta nell’attribuzione molto personale che l’artista compie nel momento in cui sceglie di fare vivere per sempre l’oggetto. Il dialogo con ogni artista ha permesso di individuare un successivo sviluppo dell’opera live in funzione della mostra.
La nostra riflessione rimane tuttavia aperta, non vuole definire regole o inquadrare situazioni, ma semplicemente riflettere apertamente, su quali possono essere possibilità altre di fare rivivere una performance, senza necessariamente cercare di raccontarla clinicamente.


Francesca Grilli e Alessandra Saviotti lavorano rispettivamente come artista e curatrice. Dal 2010 le loro strade professionali si sono incontrare molte volte attraverso formati diversi. Centrale Fies è stata un catalizzatore per entrambi i loro percorsi. Hanno collaborato con diverse istituzioni in Italia e in Europa tra cui Rijksakademie van beeldende kunsten, Jan van Eyck academie, Van Abbemuseum e 55 Biennale di Venezia e Drodesera Festival.


Maggiori informazioni sulla mostra

Maggiori informazioni su Skillbuilding, la 34ma edizione di Drodesera