Attraversare le contingenze allargando le prospettive

25/07/2013
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Curare il curatore #2


In questa seconda puntata del progetto di Virginia Zanetti sono riportati ulteriori contributi che fanno parte di un "testo polifonico" in cui diversi autori rispondono ad alcune domande circa la relazione artista-curatore, nonché alcuni estratti della tavola rotonda sull'argomento che ha avuto luogo durante l'opening della mostra di Virginia negli spazi di riss(e) a Varese.
Muovendosi tra passato, presente e futuro...



Al Fadhil davanti all'installazione di una parte dell'archivio web stampato, in particolare Pier Luigi Tazzi, sala 1




Particolare dell'installazione di una parte dell'archivio web stampato, sala 1




L'installazione dei ritratti, sala 2




Virginia Zanetti (in collaborazione con Hans Ulric Obrist), Walter Hopps, 2011. Acquerello, 25,5 x 17,5 cm. Courtesy Galerie Eletto, Bern




L'installazione dei ritratti, sala 2




Tavola rotonda, sullo sfondo l'installazione degli interventi video di Francesca Longhini, Pier Fabrizio Paradiso, Davide Quadrio, per il testo polifonico, sala 3




Miki Tallone che ascolta l'intervento audio di Pietro Gaglianò letto da Elena El Asmar, per il testo polifonico, sala 3




Un momento della tavola rotonda di 'Curare il curatore', sabato 22 giugno 2013, riss(e), Varese


Caro Ermanno, continuiamo questo viaggio tra passato presente e futuro del progetto "Curare il Curatore" seguendo gli argomenti affrontati durante la tavola rotonda.
È interessante come il discorso muovendo dal ruolo di due “primi attori” della scena artistica, l’artista e il curatore, si sia piano piano spostato fino a coinvolgere i temi del linguaggio e quindi dell’opera, temi che per me, artista, alla fine rivestono un significato particolare.

Partirei dall’intervento di Alessandro Castiglioni per il testo polifonico:

“[…]vorrei raccontarti una piccola storia, parlare dell’opera “L’Arte Come Servizio - L’Artista Come Servo Vizioso” di un artista tragicamente scomparso e purtroppo dimenticato, Franco Ravedone.
Il lavoro, del 1975, è composto da una serie di fotografie in cui l’artista è ritratto mentre pulisce la macchina da scrivere di diversi critici milanesi. In ognuna delle foto Ravedone si trova ora nello studio di Gillo Dorfles, ora nello studio di Lea Vergine, ora nello studio di Jole De Sanna, ora in quello di Tommaso Trini.. e così via.
L’arte è un servizio e l’artista pulisce lo strumento con cui poi il critico lavorerà (occupandosi degli artisti stessi), la macchina da scrivere. Ogni critico ha una reazione differente, c’è chi finge indifferenza, chi prova imbarazzo, chi ride compiaciuto. L’azione è sempre la stessa. Mi sono chiesto più volte se quest’opera sia un cinico punto di vista sul mondo dell’arte o un gesto di spropositato amore.
Ed è questa domanda l’unica risposta sincera che ho trovato alle tue domande.”
Alessandro Castiglioni

Dunque ripartiamo da un rapporto d’amore ma non c’è un rapporto d’amore senza odio. E non c’è neppure un rapporto di amore-odio che resti entro confini tracciati a priori. C’è un bisogno di attraversamento continuo delle zone liminari che in fondo appartiene al mio stesso progetto; Davide Quadrio, che nel suo video messaggio per il testo polifonico si definisce un produttore piuttosto che curatore, prendendo spunto dalla mia domanda curatore -artista artista-curatore dichiara la fusione delle due anime in questo gioco di parole e trova nella mostra il luogo di comunione tra artista e curatore.
Virginia Zanetti

Non ho mai considerato il fatto di "curare" come una pratica differente da quella di dipingere o generare arte. La mia pratica curatoriale è il frutto di una riflessione sul mio ombelico peloso tanto quanto il lavoro che svolgo insieme ad Andréanne come artista.
È proprio quello che generi tu che mi interessa come esempio, perché tu non chiedi la differenza tra i due ruoli, tu chiedi se esiste questa differenza.
Ti rispondo dal mio punto di vista: NO.
Non diamoci troppa importanza etichettandoci in quanto tali. Diamoci dell'amore infinito coinvolgendoci in quanto umani.
Tu cara Virginia, ti prendi cura dei curatori. Ma la mia domanda è: come li riconosci?
Jean Marie Reynier

Mi incuriosiscono tutte le persone che in genere sperimentano le proprie mancanze come un’accezione positiva per una crescita personale; per questo non sarei propensa a vivere “rapporti di dipendenze” in quanto preferisco ricercare “rapporti di corrispondenze” fra persone.
Penso che così si possa sviluppare in modo sincero e paritario una relazione che possa essere aperta, in divenire e coltivata nel tempo.
Da circa un anno porto avanti “A first step towards coincidences & meetings”, un progetto in progress. […] Per conto mio sento di aver utilizzato la curatela come tecnica artistica con l’aspirazione di vivere l’arte come un viaggio continuo.
Con “A first step towards coincidences & meetings” ho sentito di voler provare a unire varie sensibilità e personalità affini alla mia, […] collaborare come anche di allontanarsi e poi chissà magari un giorno ritrovarsi.
Lisa Mara Batacchi

A proposito del creativo (artista-curatore) mi sovviene una frase di Munari: “Un individuo creativo é un individuo completo, non ha bisogno di tanti esperti per risolvere i suoi problemi”
Vénera Kastrati

D’altra parte, Virginia, se intendo bene l’intervento di Filippo Fabbrica di Love Difference, Fondazione Pistoletto, il problema alla radice è quello del comportamento creativo, dinnanzi al quale le categorie tradizionali di curatore e artista entrano in crisi.
Forse la spinta principale arriva da fuori il mondo dell’arte; arriva dalla volontà di intrecciare le discipline e di pensare ad operazioni che travalicano l’ortodossia del sistema dell’arte. L’esperienza di Love Difference va proprio in questa direzione: la questione del rapporto artista curatore- rientra in sua sorta di “economia dell’incontro” che si traduce in un continuo intreccio relazionale.
Ma la cosa che mi fa pensare è anche la posizione di Sergio Breviario. Sergio, con la sua consueta capacità di proporre uno sguardo “estraneo”, o meglio di “rovesciare il tavolo” ci ricorda che questa questione del rapporto artista-curatore non si deve appiattire in una sorta di “critica della critica”, o peggio in un bisogno di riscatto degli artisti che si traduca in un lamento poco produttivo, portando viceversa l’esempio di numerosi artisti che sono bene felici di stare all’ombra del curatore di turno delle varie Biennali pur di esserci.
Non solo, ma l’attitudine dell’artista a “curare”, ovvero a elaborare il “concept” delle mostre contiene un pericolo: quello del linguaggio. E l’opera, che è poi lo specifico del fare artistico, non può mai ridursi ad un fatto di linguaggio, perché il linguaggio è convenzione.
Non può esistere un’opera la cui idea preesista al suo farsi, altrimenti non è opera e il suo farsi non può essere semplicemente la comunicazione del suo preesistere in un’idea, altrimenti non è opera. Il problema deriva in gran parte da una visione equivoca delle posizioni del concettuale americano.
Questa posizione di Breviario credo che ci aiuti a porre la questione della curatela in modo tale da non perdere di vista la specificità del fare artistico, che contiene sempre una dimensione di scoperta, ed è per questo che se riguarda il linguaggio lo riguarda solo nelle aree del suo sgretolamento: è quel confine inesistente dove una convezione si sgretola ma ancora non c’è quella nuova, perché se ci fosse diventerebbe di nuovo linguaggio, ecc.
È il “Quando inavvertitamente il mio dito” del Werther; allora, io credo, il curatore può anche essere artista e l’artista curatore ma solo se sanno vestire senza dismettere mai i panni dell’innamorato.
Ermanno Cristini

La relazione tra artista e curatore è soltanto una delle tante relazioni scaturite da una più vasta scena contemporanea frutto di un profondo cambiamento avuto alla fine degli anni '60. Una situazione contraddittoria creatasi con l’avvento della figura dell’artista concettuale e al contempo di quella del curatore.
Si può dire che la nascita della figura del curatore è dovuta all’evoluzione dell’arte che a fine anni '60 si fece concettuale: una nuova pratica nella quale il curatore diviene agente indipendente a fianco dell’artista concettuale. […]
Si deve ad Harald Szeemann (1933-2005) l’idea e la pratica dell' exhibition maker o meglio, così come riportava il suo timbro ufficiale, la creazione della Agentur für geistige Gastarbeit (Agenzia per gli emigranti dello spirito). Con questo timbro Szeemann definisce una figura freelance esterna alle istituzioni e più verosimilmente paragonabile a un inventore di mostre intese come opera d’arte unica.
A più di quarant’anni dalla sua rivoluzionaria mostra a Berna, When Attitudes Become Form: Works, Concepts, Processes, Situations, Information presso la Kunsthalle di Berna (22 marzo - 23 aprile 1969), ci possiamo rendere conto come Szeemann fece sue modalità tipiche del pensiero di un artista. […]
Nel 1969 Szeemann realizza, quindi, qualcosa di alchemico ovvero una simultanea re-definizione del ruolo dell’artista e del curatore in termini identici. Per l’evento commissionò soltanto progetti site-specific.
Szeemann sostenne, nel suo intervento introduttivo alla mostra, che l'arte come work in progress quotidiano era riuscita a far superare quelle convenzioni obsolete, sul fare espositivo in uno spazio museale, mettendo in mostra piuttosto l'esperienza del processo di produzione e l'attitudine del produttore; ovvero il curatore e lo stesso artista anziché il risultato/prodotto finale ovvero l’opera d’arte.
Pier Giorgio De Pinto

Mi è capitato di chiedere a un bel numero di curatori se si siano mai sentiti artisti e hanno risposto di no.
Ambra Pittoni

Personalmente ho un bisogno viscerale di incontrare artisti, ma al canonico studio visit prediligo condividere un istante, il processo che porta a una mostra o una conversazione davanti ad un bicchiere di vino. Non mi interessa particolarmente discernere tra artista e opera, quindi ritengo più interessante il processo mentale che porta ad un lavoro che il risultato formale che ne deriva.
Naturalmente, la relazione tra queste due figure, è molto soggettiva e subisce delle variazioni in funzione delle persone che entrano in contatto. Per quanto riguarda, invece, il confine tra queste due figure credo debba essere abbastanza netto.
Angle Moya Garcia

Artista e curatore coesistono in un sistema di relazioni e di azioni che li concepisce presenti in modo contestuale ma autonomo. Il legame reciproco che struttura la coppia non è così evidente, e soprattutto non così necessario, nelle specificità che contraddistinguono (che rendono riconoscibili e accreditano) l’artista e il curatore.
Entrambi sono autori di una ricerca che trova nello spazio della mostra (qualunque possa essere il suo formato e il raggio di condivisione al quale questa si apre) e del dibattito critico la dimensione di incontro e confronto in cui: a) il curatore individua il necessario termine di verifica della propria argomentazione; b) l’artista chiarisce e amplifica il senso e la forma della propria visione.
La relazione quindi assume un carattere di mutualità. Ma all’interno e trasversalmente intervengono innumerevoli fattori - che possono essere di sintonia come di disturbo - che rarefanno la biunivocità della struttura coppia.
Infine, è inevitabile che l’artista agirebbe anche in assenza del curatore. Il curatore senza l’artista dovrebbe cambiare prospettiva. Questo crea delle gerarchie...
Pietro Gaglianò

[...] Un’altra distanza tra me e Elena sta nel fatto che per poter oggettivare il mio esercizio del lontano io ho bisogno di lei e della sua visione, lei non ha bisogno di me.”
Elena El Asmar legge il testo di Pietro Gaglianò, installazione sonora in mostra.



La prima puntata di Curare il curatore


Curare il curatore è un contributo di dibattito nella forma di un progetto in progress iniziato da Virginia Zanetti nel dicembre 2011, con i ritratti per il libro A Brief History of Curating di Hans Ulrich Obrist e con la mostra a Berna integrata da una tavola rotonda con Chistian Herren, Hans Ulrich Obrist e Fabrice Stroun alla Kunsthalle di Berna, proseguita nel 2012 con un intervento al Forte Militare di Chillon, a Montreaux, e con la partecipazione ad Arspolis a Lugano.
La mostra concepita per riss(e) è un nuovo step con un allestimento che raccoglie nuovi ritratti e materiali, nonché la presentazione di un “testo polifonico” scaturito dall’invito di Virginia a rispondere ad alcune domande sulla relazione artista-curatore poste in un file di condivisione in cui sono stati raccolti molteplici contributi.

Le domande erano:
Cosa significa per te la pratica della curatela?
Come vivi il rapporto di dipendenza artista/curatore: chi dei due ha più bisogno dell'altro o come ne ha bisogno?
Che tipo di relazione c’è nella coppia artista-curatore?
Artista-curatore o curatore-artista?


Allo stato attuale sono state raccolte le opinioni di (in ordine di apparizione): Antonello Tolve, Emilio Fantin, Matteo Innocenti, Ermanno Cristini, Pietro Gaglianò (con Elena El Asmar), Giancarlo Norese, Pier Giorgio De Pinto, Stefano Taccone, Ambra Pittoni, Emanuele Serafini, Luca Scarabelli, Valerio Deho, Pierfabrizio Paradiso, Angel Moya Garcia, Al Fadhil, Daniela Spagna Musso, Cecilia Guida, Yari Miele & Corrado Levi, Lisa Mara Batacchi, Francesco Lauretta, Francesca Longhini, Controcarretta della Speranza (Simone Ialongo & Tony Fiorentino), Massimo Marchetti, Gian Maria Tosatti, Alice Pedroletti, Vénera Kastrati, Studio ++, Davide Quadrio, Jean Marie Reynier, Alberto Zanchetta, Marcella Anglani, Katia Baraldi, Elena Bellantoni, Alessandro Laita, Alessandro Castiglioni. Sergio Racanati, Anna Stuart Tovini (UnDo.Net), Riccardo Lisi, Alessandro Di Pietro, Valentina Briguglio..., i quali in parte sono stati presenti sabato 22 giugno, durante l’opening, per proseguire la discussione nella dimensione “semidomestica” di riss(e).


Maggiori informazioni sulla mostra Curare il curatore