Attraversare le contingenze allargando le prospettive

10/10/2012
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Lotta specifica

Isola Art Center è un progetto d'arte contemporanea inserito in un contesto di conflitto urbano dove interviene a fianco degli abitanti in mobilitazione. Termini come fight-specific, dirty-cube, dispersed center, sono tra le formule usate per raccontare questo esperimento di teoria e prassi, ricerca e organizzazione, attraverso una produzione artistica ed espositiva non convenzionale che rifiuta la cooperazione e l'auto-addomesticamento negli incubatori dell'industria creativa.
Quello che segue e' un percorso tra modi di leggere la storia del quartiere e le sue scelte, dagli anni '70 ad oggi, estratti dal libro di prossima pubblicazione.

























































































FIGHT-SPECIFIC ISOLA. The politics of urban space

testo a cura di Elvira Vannini

con contributi di: Atelier d’Architecture Autogérée, Christoph Schäfer, Marco Scotini, Gerald Raunig, Antonio Brizioli e Bert Theis, Tiziana Villani.


The right to the city is far more than the individual liberty to access urban resources: it is a right to change ourselves by changing the city.
David Harvey

“Un giorno i desideri abbandoneranno la casa e andranno nelle strade....”: così recitava, qualche anno fa lo slogan di Wunscharchiv (L’Archivio del desiderio) del collettivo Park Fiction di Amburgo, chiedendo alla popolazione residente nel quartiere ST. Pauli di visualizzare i propri desideri, allo scopo di definire un progetto collettivo di parco urbano lungo le rive dell’Elba. Dopo anni di scontri, il parco è stato realizzato, sottraendo l’ultimo spazio libero alla speculazione, fermando la costruzione fondiaria e immobiliare con un programma comunitario: l’organizzazione di un processo collettivo guidato dalle aspettative individuali e dalle aspirazioni degli abitanti del quartiere attraverso una pluralità di modelli sociali e l’azione di forze immaginative dal basso, funzionali alla lotta. Anche gli attivisti del Peti Park, una piccola area verde in un quartiere fondato negli anni Sessanta a Belgrado, hanno attraversato un simile iter. A metà del 2005, il consiglio comunale ha emanato il suo deforestamento, con la scopo di costruire un complesso commerciale. La popolazione locale ha articolato diverse forme di protesta, cercando di conservare l’area verde, mentre la municipalità affermava che la zona riservata all’edificazione già dal 1980, rendeva il piccolo parco solo una soluzione temporanea. A un certo punto anche la polizia è stata coinvolta per accelerare la demolizione dell’intera area, ma gli abitanti del quartiere alla fine hanno ottenuto quanto rivendicavano. Nel gennaio 2008 il distretto di Zvezdara ha reimpiantato trentuno abeti in un modello circolare.

Sono diverse le vicende a cui ho assistito nel corso dell’esperienza di Isola Art Center: sia da lontano che da una posizione di forte prossimità nell’analisi politica e culturale. La vicenda dell'Isola è attualmente riletta in una mostra in corso ai Frigoriferi Milanesi fino al 14 ottobre ed è esplorata in una complessa e quasi ‘monumentale’ pubblicazione di prossima uscita, significativamente intitolata Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città.
E' un’esperienza ‘istituente’, conflittuale e molecolare che ha catalizzato le mobilitazioni sociali e le istanze politiche di un quartiere, già a partire dagli anni Settanta, come documentano la mostra e il libro, tanto che oggi Isola può assumere la storia delle proprie vicende politiche e culturali in un percorso di riflessione teorica, attraverso una prospettiva di indagine storica e quasi ‘archeologica’, ma sempre sul terreno dello scontro, come percorso di insorgenza dal basso, contro gli assetti decisionali, di cementificazione sempre più verticalizzata e di ecologia come brand progettuale, della nuova connotazione urbana, di sfruttamento e di repressione soggettiva, sociale e culturale pienamente in atto.

Nel riflettere sulla propria esperienza Isola Art Center è giunta a un punto di svolta, che non sarebbe auspicabile se non attraverso un processo di analisi sul potere e delle dinamiche che lo hanno generato: la pubblicazione ha cambiato questa direzione di ricerca, teoria e militanza, attraverso un’investigazione che comincia proprio a partire dalla storia operaia del quartiere. E dimostra come le imponenti trasformazioni dell’assetto urbano, anche in vista del prossimo Expo2015, non siano altro che una complessa e dichiarata fenomenologia della governance politica delle gerarchie finanziarie, e del loro controllo sullo sviluppo della città e i suoi squilibri, dentro temporalità eterogenee, nell’espropriazione di soggettività, resistenza e dimensione del comune.

Nel pieno di quella che è stata individuata come una “crisi della pervasività finanziaria” (Christian Marazzi), nel consumo, nella produzione materiale, nella valorizzazione della vita fuori dal tempo e dal luogo di lavoro, nella delega del potere a logiche intergovernative che dipendono dal consenso dei mercati, all’interno di una precisa configurazione mondiale del processo di accumulazione, rileggere retrospettivamente la storia di Isola Art Center fornisce una serie di risposte possibili.
Una significativa esperienza di empowerment, a differente regime funzionale, semiotico ed espositivo, intorno al rapporto tra pratiche artistiche e istanze attiviste, attraverso due forme di produzione spaziale: la resistenza all’uso di spazi estetici e l’opposizione alla dominante edificazione della città, nei termini di una ridefinizione dei rapporti di classe e della composizione sociale delle lotte, il tutto attraversato dalla vita del quartiere e i suoi abitanti, strutturandosi, di volta in volta, come un laboratorio, un centro d’arte contemporanea, uno spazio community-based.

Atelier d’Architecture Autogérée: “Si costruiscono delle gated communities(1) e ci sono delle operazioni urbanistiche che non sono nient’altro che speculazioni immobiliari. Gli amministratori guardano alla città come se fosse di loro proprietà. È grave, ma entra in gioco il problema del debito pubblico, della debolezza finanziaria e politica delle amministrazioni; che ha quasi perso il controllo dello spazio urbano. Sappiamo che esistono delle città che non appartengono più all’amministrazione della città. Gli amministratori hanno venduto terreni e palazzi, tutto funziona in una logica neo-liberista. Se capita di andare in bancarotta, vendono altri terreni che sono ancora più importanti per pagare il loro debito. Si è dunque all’interno di una logica di debito generalizzata, incluso anche un debito di spazio”(2).




Per la città. Le lotte di base crescono e si estendono.
Contro la speculazione e il potere politico che la sostiene
(3).

“La città dei sogni si trovava, come si conviene a una città dei sogni, in un’Isola; separata dal centro da una stazione ferroviaria, all’ombra di un grattacielo postmoderno già invecchiato molto prima del suo completamento, che con i suoi timpani con decorazioni ad arco e le sue colonne classicheggianti sarebbe potuto comparire nel film Fountainhead di Ayn Rand, come emblema di corruzione estetica. Oggi la corruzione estetica, artistica, ecologica, sociale e politica compare sotto un’altra veste, con un arsenale completamente nuovo di armi, stratagemmi e inganni la cui analisi è il vero argomento di queste righe. Ma per la sua trattazione occorre attendere ancora un po'” (Christoph Schäfer)(4).

Anni Settanta. Un giovane docente del Politecnico, l’architetto Daniele Vitale e il suo gruppo di ricerca, costituito prevalentemente da studenti, lavorano sul quartiere Isola attraverso gli strumenti di indagine territoriale e urbana, propri della progettazione architettonica: planimetrie, rilievi tipologici, archivio delle pratiche edilizie. La città cambia insieme alla morfologia e alle sue funzioni: residenze operaie e forme di organizzazione del lavoro mutano insieme ai paradigmi sociali e produttivi. Come cartografare questa realtà in divenire?
La storia e i residui del passato industriale, il materiale documentario e le testimonianze dirette si mescolano, nella mostra ai Frigoriferi Milanesi, con i progetti alternativi di sviluppo urbano e architettonico del quartiere, elaborati dagli studenti di Vitale, che si pongono in modo antagonista rispetto al Consiglio di Zona e alle politiche di pianificazione promosse dall’allora vigente amministrazione comunale.

La storia delle lotte nel Quartiere Isola non è stata lineare. La sua radicata vocazione popolare e operaia fa parte di una lunga tradizione di insubordinazione, che inizia ancor prima degli anni Settanta, contro i piani amministrativi di edificazione ‘selvaggia’ e racconta di forti momenti di sollevazione, dove tutto si condensa nel presente. Nella creazione di uno spazio politico costituente e radicalmente alternativo. Anche negli scenari a venire. Nel quartiere Isola è ormai in atto, da alcuni anni, un’inarrestabile gentrificazione, cristallizzata dentro logiche speculative, ad opera di uno degli attori più influenti del capitale internazionale, la multinazionale texana Hines, riflesso di una sorta di contrassegno del comando capitalistico e dei suoi irrevocabili processi di finanziarizzazione di cui siamo ostaggio, che più insistono sulla produzione di libertà più ne attuano una vera e propria espropriazione, assumendo il vocabolario delle industrie creative.

Fight-Specific Isola, la pubblicazione, intende dimostrare - con intuizione e rigore scientifico, studio delle fonti, narrazioni dirette e documentarie, oltre a una serrata analisi iconografica - come le pratiche culturali ‘autonome’ abbiano avviato una contestazione ‘locale’ già negli anni Settanta e forse ancora prima: come testimoniano i murales di protesta del 1976, nello stesso periodo di quelli in piazza Duomo degli esuli cileni in un momento solidale di lotta collettiva. I murales all’Isola recavano scritte come «DEGRADAZIONE, DEMOLIZIONE, SPECULAZIONE» e «RIPRENDIAMOCI L’ISOLA», slogan quanto mai attuali, rivolti contro lo sviluppo di un centro direzionale, in una zona urbana vicino alla stazione Garibaldi, che, come scrivevano i giornali dell’epoca era «insidiata nella sua essenza e nelle sue lacerate conquiste dalla speculazione edilizia».

Questa era la ZONA 2, così come indicata a livello amministrativo e legislativo l’area urbana del quartiere Isola, le cui trasformazioni sono state successivamente osservate dall’alto e raccontate nel tempo, dal fotografo Stefano Topuntoli, a partire dal 1986 fino ad oggi, da una prospettiva aerea, per documentare il nuovo assetto architettonico e urbanistico, frutto di una logica speculativa ancora più feroce, che opera come indicatore economico e che capitalizza lo spazio metropolitano. La sequenza fotografica, per la sua natura indicale registra implacabile questi passaggi e svela i legami, nel tessuto urbano, tra gli interessi privati, le scelte urbanistiche e la nuova morfologia assunta dal quartiere con la sopraffazione. Un processo irreversibile, involontariamente raccontato da Topuntoli, per cui la città appare attraversata da reti produttive, sociali, economiche che eccedono ogni confine stabilito attraverso nuovi dispositivi di potere.




Arte e Attivismo. All power to self-organization!

L’imposizione violenta di un progetto di intervento urbano su ampia scala, attualmente in corso, ha radicalmente cambiato la struttura sociale del quartiere Isola. É ancora possibile continuare ad assumere lo spazio urbano come luogo della produzione cognitiva attraverso una diversa forma di soggettivazione politica e di autorappresentazione, artistica e comunitaria dal basso, così come è stata l’esperienza di Isola Art Center?

Termini come fight-specific, dirty-cube, dispersed center, sono tra le formule usate per raccontare questo esperimento di teoria e prassi, ricerca e organizzazione, attraverso una produzione artistica ed espositiva non convenzionale, capace di tradurre in pratiche e saperi un progetto di militanza e di azione nella città, per ripensare a un diverso modello sociale, in cui arte e politica non possono essere più dispositivi rigidamente separati, insieme a un nuovo concetto per la storia dell’exhibition making, nell’identificare le forze che controllano la governance urbana, attraverso pratiche istituenti, funzioni assembleari, format non espositivi, laboratori e seminari, progettazione dal basso e nuovi spazi di agibilità politica.

Tiziana Villani: “In questo contesto, l’uso alternativo della Stecca ha finito con l’essere un laboratorio sociale di pratiche urbane alternative all’uso privatistico del territorio, riuscendo inoltre a coinvolgere tutto il quartiere, che per una volta in modo trasversale - dalla parrocchia, all’Associazione Genitori Confalonieri, al Comitato I Mille - ha iniziato ad impegnarsi per trasformare la grande area interna della Stecca e lo spazio verde limitrofo. Si è così pensato ad un uso attivo di un quartiere ancora capace di forti aggregazioni sociali e di legami, non solo con la memoria storica del territorio, ma anche con pratiche fondate sulla valutazione dell’impatto ambientale (mantenimento delle aree verdi, edifici non elevati), e di ristrutturazione dello «spazio fabbrica» capaci di soddisfare una domanda dell’abitare connessa alla tipologia della popolazione residente, costituita da anziani, ma anche da molte famiglie con bambini e da giovani artigiani”(5).

Certo il 2007 è stata una data paradigmatica sia perché con un blitz delle forze dell’ordine il centro è stato smantellato, e successivamente demolito, sia perché il crollo dei titoli subprime e il fallimento della Lehman Brothers hanno segnato l’inizio della crisi e cambiato le sorti economiche mondiali.

Marco Scotini: “Che cosa hanno in comune il carattere locale e marginale dello sgombero di uno spazio occupato milanese con il grande capitolo della crisi globale del capitalismo finanziario? Perché disporli insieme in un unico concatenamento, a partire da una pura coincidenza cronologica? C’è un limite o un’interazione tra micro e macropolitica, tra l’esperienza diretta di un cantiere sociale e quella, meno visibile e meno materiale, della tesaurizzazione dei risparmi in titoli azionari? Qual è il rapporto che si instaura tra i due ordini di grandezza: tra la dimensione molecolare (come campo di rotture, discontinuità, soggettività, desideri, conflitti, aspirazioni) e quella molare (delle aree enunciative già date, delle determinazioni maggioritarie, delle rappresentanze istituzionali)?

Se è vero che nel 2007 con la perdita di un luogo fisico e di un focolaio di resistenza come la Stecca degli Artigiani l’attività di Isola Art Center sarà costretta a mutare tanto forme di mobilitazione politica che strategie di produzione estetica, è altrettanto vero che con la crisi finanziaria cambierà definitivamente, assieme al regime di appropriazione e di redistribuzione del valore, l’intero sistema dell’arte. Dopo quella data, esso non sarà più lo stesso. Chiamato a rappresentare permanentemente una sorta di attrattiva per i diversi pubblici verso forme sempre nuove di consumo culturale, lo spazio dell’arte contemporanea da quel momento in poi sarà costretto ad assoggettare il lavoro artistico e cognitivo al governo delle condotte e alla valorizzazione capitalistica delle industrie creative”(6).

Gerald Raunig: “Il cube è dirty, precisamente perché non è guardato come un incubatore che porta insieme l’arte e l’economia capitalista, ma perché permette il concatenamento trasversale di pratiche e di gruppi che non avevano mai cooperato prima gli uni con gli altri, e che invece adesso portano disordini, impurità, inquietudine nei mondi dell’Isola, minacciati da una deterritorializzazione asservente [...] Invece delle promesse luccicanti dell’Isola creativa sorge qui, nella mischia, la trasversalità selvaggia dell’industria Isola che rifiuta l’obbedienza, la cooperazione e l’auto-addomesticamento negli incubatori dell’industria creativa”(7).

Marco Scotini: “Se si può riscontrare una radicale differenza dopo il 2007 (come di fatto c’è stata) nell’efficacia delle strategie perseguite dal centro, questo è dovuto non alla perdita della sede come zona franca, ma al mutamento di contesto: economico, sociale, culturale. Nel 2007 questo spazio d’azione trasversale è stato catturato, ricanalizzato tanto dall’industria creativa che dalla speculazione immobiliare, ormai sotto regime securitario e finanziario. Oggi la difesa della libertà dell’arte come bene comune dimostra la propria insufficienza politica: c’è bisogno di una nuova indagine delle forme della produzione e della composizione sociale piuttosto che d’immaginazione”(8).




Where goes the neighbourhood?
Fight-Specific, On the institution of the commons.


Continuare ad assumere lo spazio urbano come luogo della produzione cognitiva attraverso pratiche di insubordinazione e forme di resistenza sotterranee che contrappongono al violento processo di verticalizzazione, nuovi modelli di organizzazione ‘dal basso’ del lavoro e della vita del quartiere è stato possibile attraverso la “specificità alla lotta”, una formula critica, un’indicazione teorica e operativa, una pratica artistica, semiotica ed espositiva che agisce in un contesto di conflitto urbano, in cui gli abitanti del quartiere sono inseriti nel suo stesso processo di produzione.

Antonio Brizioli e Bert Theis: “Sarebbe però sbagliato ricondurre queste pratiche alla cosiddetta arte comunitaria (o community-based art) solo perché trovano il loro contesto ambientale e oggetto di riflessione nel medesimo quartiere. Quello che è determinante è che Isola Art Center è un progetto d’arte contemporanea inserito in un contesto di conflitto urbano, dove interviene a fianco degli abitanti in mobilitazione. E dunque il progetto non è soltanto specifico al sito, in una connotazione strettamente spaziale, o relazionale in una connotazione sociale, ma specifico alla lotta di chi lavora e vive in quel sito. Da qui lo slittamento concettuale teorizzato come definizione di una modalità operativa inedita: da arte site-specific a arte fight-specific. In quanto quest’ultima non si rivolge a una comunità preesistente, ma crea una comunità nuova e la consolida lottando. Tutte le forme d’arte sono accettate purché inserite consapevolmente in questa dinamica”(9).

E la lotta è derivata da quello che Tiziana Villani ha definito come un “percorso di estetizzazione dello spazio pubblico” rappresentato pienamente dal “Bosco verticale” di Stefano Boeri e dall’avvio di un paradigma, ancora più infimo, di gentrificazione verde. E così come conclude Christoph Schäfer:

“In tutti questi casi la partecipazione funziona sempre come mascheramento, mimetizzazione: l’arte come strumento dell’inganno, e la natura come cavallo di Troia. La popolazione di Parigi aveva trovato già nel XIX secolo una definizione appropriata per questo tipo di abbellimento cittadino di stampo capitalistico; essi riconobbero infatti gli astuti interventi urbanistici, i sontuosi boulevards del barone Haussman per ciò che essi realmente sono: embellissement stratégique – provvedimenti di abbellimento strategico.
Ma dove si lavora a un’immagine, un’immagine si può anche distruggere. Smettiamo di essere gentili. Mettiamoci al lavoro”(10).


(1) Le gated communities, nate negli Stati Uniti, sono aree abitative protette con accesso controllato.
(2) Atelier d’Architecture Autogérée, “Agire urbano all’Isola”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(3) Titolo ripreso da “Per la città”, Giornale di coordinamento degli organismi di base dei quartieri e delle scuole di ZONA 2, 1974.
(4) Christoph Schäfer, “Abbellimento Strategico”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(5) Tiziana Villani, “Il Restyling di Garibaldi-Isola. Milano una set city ?”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(6) Marco Scotini, “Ceci n’est pas une exposition. Dai collettivi artistici al governo dei pubblici”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(7) Gerald Raunig, “Industria Isola”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(8) Marco Scotini, ibidem.
(9) Antonio Brizioli e Bert Theis, “Isola, la storia di una trasformazione urbana”, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
(10) Christoph Schäfer, ibidem.


Maggiori informazioni sulla mostra presso i Frigoriferi Milanesi

Informazioni su Isola Art center
tel: 339 6057111
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Elvira Vannini (1975) è storico dell'arte, critico e curatore indipendente. Dottore di ricerca in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Bologna, ha svolto un periodo di Visiting PhD Scholar al San Francisco Art Institute nel 2009. Diplomata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell'Arte e laureata in Fenomenologia degli stili al DAMS di Bologna, attualmente insegna Storia dell'Arte Moderna presso NABA-Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Ha tenuto seminari e lezioni in numerose Istituzioni, Università e Accademie. È stata autrice e co-conduttrice di uno spazio radiofonico dedicato all'arte contemporanea, trasmesso dalle frequenze di Radio Città del Capo, Popolare Network. Fa parte dell'Editorial Office della rivista No Order. Art in a Post Fordist Society, collabora con riviste specializzate.