Attraversare le contingenze allargando le prospettive

13/06/2012
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Impressioni dOC

Ed ecco una prima collana di opinioni su dOCUMENTA(13) raccolte a caldo da Barbara Fässler durante i giorni di opening. Varie e appassionate come la gallery di immagini a cui si accompagnano...




Svetlana Boym









Paolo Bianchi









Milovan Farronato









Chiara Fumai










Paolo Parisi









Khaled Hourani










Amjad Ghannam









Piercarlo Borgogno









Claudia Sunder


Le foto ritratto sono di Paolo Bergmann


Svetlana Boym, scrittrice, artista e professoressa, Boston

Penso che questo tuo approccio sia già completamente nello spirito di questa dOCUMENTA. Vuoi catturare le impressioni a caldo prima che ci sia il tempo di elaborare una riflessione, quando si è ancora immersi nell'esperienza...
A me piace molto l'idea che non sia tutto dedicato all'arte con la A maiuscola, ma anche alle arti in generale. Ciò non svaluta l'arte, semmai la mette in un contesto interessante.
Da un lato la mostra è storica, dall'altro contemporanea: coincide con il nostro tempo.
Così vediamo da una parte lavori che avevamo dimenticato e dall'altra storie e geografie eccentriche. Si accostano Kabul, la Bulgharia, il Medio Oriente e l'America Latina in modo molto interessante.
Mi piace l'originalità, ma anche l'autenticità dell'esperienza. Quando non si intende come relazione statica o come interattività superficiale, ma si da' un senso più profondo all'esperienza. Arte come essere e agire sul palcoscenico. Mi piacciono questi concetti non-concetti.
Ho visto tante cose che mi hanno emozionata: come ad esempio il progetto dei libri di Michael Rakovitz, o quello Janet Cardiff e William Kentridge. Poi mi sono piaciuti molto anche l'insieme di piccoli oggetti e lavori dal passato, di diversi periodi e contesti.
Mi ha toccato particolarmente una radio fatta con un mattone a Praga del 1968. Il primo ricordo della mia infanzia sono i miei genitori a San Pietroburgo che cercavano di ascoltare la radio, che però era bloccata. Quando ho visto la radio-mattone mi ha molto colpito. Questi oggetti furono confiscati nonostante non funzionassero, erano radio simboliche, incapaci di comunicare.
Durante questi giorni di inaugurazione ho continuato a incappare in persone che ho conosciuto in diverse fasi della mia vita: dalla Russia, a Hong Kong, l'Italia e gli Stati Uniti.
Non ho mai incontrato le persone che avrei dovuto incontrare, ma mi sono sempre imbattuta, invece, in figure completamente inaspettate.


Paolo Bianchi, critico d'arte e curatore, Baden (CH)

La prima sensazione a dOCUMENTA è l'eccitazione; ogni volta, appena arrivati a Kassel, si inizia a fare un paragone con l'edizione precedente. E penso che questo primo momento sia l'impatto vero: che cosa mi fa vibrare oggi, che cosa mi faceva vibrare in passato.
Penso che questa mostra sia definita dal suo stesso nome e quindi che sia una sorta di cervello. Ma oltre alla sensualità dell'arte o allo spazio affettivo dell'arte, questa volta si percepisce anche uno spazio di razionalità e di ragione molto forte.
Questa sensazione è irritante perché il percorso così facendo è come già precodificato attraverso opere che si trovano in una sola testa.
Questo accesso individuale e soggettivo che percepisco, contraddice la mia idea che l'arte dovrebbe sviluppare un discorso collettivo, dialogico e aperto.
Trovo quindi dOCUMENTA (13) specialmente interessante, perché, venendo dal parco, dove si trovano degli artisti che rappresentano un po' l'idea di Szeemann delle mitologie individuali, si crea un contrasto con la razionalità. Ma in fondo questo individualismo è più una sensazione di pancia che un pensiero.
Ecco perché la mia posizione è ambivalente rispetto a questa dOCUMENTA. Mi sarebbe piaciuto trovare più ossessività, più passione e più specchiamenti sul piano curatoriale.
Ecco cosa cerco in questa Documenta, o forse questo me lo auguro nella prossima.


Milovan Farronato, curatore, Milano

Molto velocemente, suggerisco di visitare il cervello di dOCUMENTA, come lo ha definito la direttrice, che è al Fridericianum e che mi sembra veramente un modo coinvolgente di presentare tanti lavori. In generale il Fridericianum l'ho trovato il luogo più interessante.
Certo che ci sono cose molto attraenti anche sparse negli altri luoghi, come il lavoro di Villar Rojas, quello di Kahn Robin e come soprattutto quello di Tino Sehgal.
Sono tante le cose fantastiche, tanti gli highlight che voglio vedere, perché alla fine si va via da Kassel dopo tre giorni, senza essere riusciti a vedere tutto. E adesso scappo...


Chiara Fumai, artista, Milano, partecipa a dOCUMENTA ad Auepark

Mi è stato chiesto di portare un personaggio, Annie Jones, la "Bearded Lady", poi sono venuta a Kassel, ho visitato un riformatorio femminile e lì è stata generata sua sorella Zalumma Agra, una freak anarcofemminista, la celebrazione del caos.
dOCUMENTA mi piace moltissimo, mi piace davvero la direzione di Carolyn. Lei, Chus Martínez e Raimundas Malasauskas sono persone che influenzano molto le mie ispirazioni.
Questo lavoro è nato apposta per dOCUMENTA. Non credo che abbia un padre, ma una madre ce l'ha sicuramente ed è Carla Lonzi. Una vergine madre. L'opera che si genera da sola.
Il progetto è un'istituzione pseudoscientifica che presenta due mie opere. Una si chiama "Shut Up. Actually, Talk" ispirata a "Sputiamo su Hegel" di Carla Lonzi e l'altra, invece, "The Prodigy of Nature".
Tutti e due ruotano intorno a due freak. Una si chiama Zalumma Agra ed è una strega, l'altra è Annie Jones, una donna barbuta.
L'opera "Shut Up. Actually, Talk" è legata al Lucifer, a colei che porta la luce, l'antagonista secolare, il femminismo. Questa parte si basa su testi di Carla Lonzi, attraverso l'essere parlata. Il demone come principio di conoscenza superiore. E' una celebrazione del mostro, nello spazio della metafisica, dell'astrazione, della decostruzione.
La casa è stata costruita sul modello della casa delle Fox Sisters, due grandissime medium ottocentesche. Si tratta di un tributo alla matrice surrealista presente in tutte le pratiche spiritiche, specialmente quelle femminili.
Ho giocato con l'idea della "haunted house". Questi demoni, questi fantasmi, parlano di femminismo, di principi anarchici, di decostruzione, di superamento della dialettica e celebrano l'anormalità."


Paolo Parisi, artista, Firenze

Non ho ancora visto tutto, ma l'approccio con questo lavoro di Ryan Gander mi sembra molto bello. C'è questo ingresso vuoto con questo vento che ci accompagna all'interno dello spazio, che ci fa entrare nello spazio: è una delle immagini più belle.
Ci sono alcune sale molto interessanti, tra cui quella che ospita le opere di Fabio Mauri. E una bella energia che si espande tra le opere sparse all'esterno, nel parco.
Mi è piaciuta la parte di mostra alla Neue Galerie. Andrea Büttner, le grandi xilografie insieme alle proiezioni e le sedute, e all'ingresso la riedizione dell'opera di Rossella Biscotti. Poi il design minimalista del lavoro di Stuart Ringholt che si rivela essere un contenitore per performance, ma in realtà all'interno le persone sono invitate ad esprimere i propri sentimenti.
Dell'impianto modernista presente cinque anni fa oggi rimane solo un retrogusto, emergono altre urgenze, a dimostrazione della rapidità del mutamento in atto e di un sentire comune che la mostra ben rappresenta.


Khaled Hourani, artista, Ramallah, partecipa a dOCUMENTA al Fridericianum

È molto dura dopo soli tre giorni giudicare le opere e tutta dOCUMENTA. A quanto ho visto, ci sono tantissimi lavori meravigliosi, ma avrei bisogno di almeno una settimana per godermeli tutti.
Il concetto della mostra è molto chiaro e ci sono tante cose diverse. È come vedere il mondo con un obiettivo grandangolo.
Carolyn e la sua squadra hanno fatto un enorme lavoro e tutto è stato sempre organizzato dalla A alla Z. Non posso giudicare le esperienze degli altri, ma per me è stato eccezionale e tutti sono stati molto aperti e generosi.
Il mio lavoro „Picasso a Ramallah“ non è un intervento di arte politica, ma è una pratica artistica. Si tratta di un'opera d'arte da esporre a Ramallah e di un ritratto di donna. L'aspetto politico subentra con l'organizzazione.
Uno dei miei progetti artistici è l'Accademia d'Arte a Ramallah, in funzione dal 2007; come tutte le Accademie anche noi vorremmo portare i nostri studenti a vedere un museo. Non potendolo fare abbiamo deciso di portare le opere a Ramallah.
Gli studenti hanno partecipato alla scelta, tramite voto, di un'opera dalla collezione dell'Abbe Museo a Eindhoven.
Mi interessava portare un ritratto di donna della seconda guerra mondiale per fare luce su come le donne sono rappresentate nell'arte in generale: come metafora della casa, del femminile.
Le donne e i bambini sono sempre le prime vittime in tempo di guerra. Ciò che mi intrigava nell'opera di Picasso erano i toni grigi e verdi che mi facevano molto pensare a dei dipinti palestinesi nati in situazioni di guerra. Grigio e verde.
C'è della magia in questa idea: la faccia guarda nello spazio vuoto ma anche al Checkpoint. Come la Gioconda; che sembra guardare in tutte le direzioni nello stesso momento.


Amjad Ghannam, non solo artista, Jerusalem, partecipa al lavoro di Khaled Hourani a dOCUMENTA, al Fridericianum

È la mia prima mostra internazionale, in verità è la mia prima mostra in generale! È molto interessante vedere tutti questi lavori che in Palestina ci sognamo ed è bellissimo incontrare tutte queste persone coinvolte nell'arte.
Mi è piaciuta molto la performance e il video di Robbins Ruth sulla rivoluzione. E' stato molto toccante sentir parlare del popolo siriano con una prospettiva diversa da quella che passa in televisione.
Mi sono piaciuti molto anche i lavori con i libri distrutti di Emily Jacir e di Michael Rakovitz. Io partecipo a dOCUMENTA con il progetto di Khaled Hourani „Picasso a Ramallah“. Ho letto di questo progetto in una rivista culturale quando ero in carcere come prigioniero politico.
Mi piaceva molto l'idea di portare un dipinto di Picasso in Palestina e così ho deciso che volevo partecipare. Ho preso una cartolina vuota e ho dipinto il quadro di Picasso con inchiostro e caffé, visto che non avevo altro a disposizione, e l'ho mandato come regalo a Khaled.
Lui, in un secondo tempo, è riuscito a contattarmi attraverso la stessa rivista culturale e mi ha invitato a partecipare a dOCUMENTA con la mia cartolina dipinta stile Picasso.


Piercarlo Borgogno, gallerista, Milano

Il progetto complessivamente mi piace, al di là della scelta di un artista piuttosto che un altro. Anche l'atmosfera del progetto è ben diretta dal mio punto di vista.
Mi piace molto nel Fridericianum, il primo luogo che ho visitato, il lavoro di Ryan Gander, questo vento che ci introduce e accompagna nella visita. Ci porta in una dimensione di raccoglimento che ci consente di gestire senza particolare stress la visita alla mostra e induce alla riflessione, all'attenzione ai particolari, all'attenzione rispetto al significato di essere artista, di fare arte. Ma anche alle attenzioni molto precise che la regia della mostra riserva al significato, all'essenza della vita.
La stessa canzone di Ceal Floyer qui vicino, mette in loop delle note blues che introducono ad una dimensione temporale diversa. Alla necessità di prendersi il proprio tempo. Lo si vede anche in questo recupero costante della memoria. Ieri, parlando con amici l'ho definito un costante memento mori. Che vuole indurti a cogliere l'essenza vera dell'essere qui.
Questa mostra si costruisce in cinque anni e questi cinque anni si sentono in questo percorso molto chiaramente.


Claudia Sunder Plassmann, architetto, Kassel

Lavoro per la direzione tecnica di dOCUMENTA. Ciò che personalmente trovo molto interessante è che in occasione della mostra sulla "struttura di abitudini" del parco se ne pone un'altra.
Gli abitanti di Kassel percepiscono la "Aue" in modo molto diverso dal solito; in luoghi che solitamente si sorpassano in bicicletta adesso si trova una capanna oppure si rivela un albero gigante, quindi le dimensioni si chiariscono.
Il parco diventa quasi un altro medium. Soprattutto quando piove, è molto umido e quasi nebbioso, i sentieri si sciolgono e si deve guadare da un'opera all'altra spostandosi in atmosfere completamente diverse tra loro.
Quando si va da Pierre Hughe è una situazione davvero estrema: ci sono ortiche ed erbe alte come un uomo, è davvero impressionante, tutto rinchiuso da un muro circolare.
Ciò che mi piace inoltre di questa dOCUMENTA, è la scelta di occupare edifici in disuso come il cinema Kaskade, oppure la moschea, la casa degli Ugonotti piuttosto che la sala da ballo nel "Hessener Landhotel". Di solito questi spazi non sono accessibili. Mi piace questa riscoperta di luoghi abbandonati, si percepisce la città in maniera completamente diversa.
In questo senso il periodo di Documenta è sempre molto intenso e porta grandi vantaggi alle persone che abitano a Kassel. Ci si può andare regolarmente, vedere e partecipare. Cambia il rapporto con la città.
Inoltre mi piace molto che questi luoghi si riempiano di elementi artistici di altre culture e pensieri che ci portano in altri mondi. Anche questo aspetto costituisce un'ulteriore rete che si pone sopra Kassel creando nuove associazioni.







Barbara Fässler, artista zurighese, formatasi alla Villa Arson a Nizza, opera prevalentemente con i linguaggi della fotografia, del video e dell'installazione. Dagli anni '90 cura mostre per varie instituzioni (ProjektRaum a Zurigo, Istituto Svizzero a Roma, Belvedere Onlus a Milano). Scrive regolarmente per la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga e insegna 'Arti visive' al liceo della Scuola Svizzera di Milano.


Questo articolo sarà pubblicato anche sul prossimo numero della rivista Studija in inglese e lettone