emergenze a milano

Siamo stati in tanti, in questi anni, a domandarci perche' quella Milano fertile, audace, ricca di sensibilita' e di spirito innovativo, si sia dissolta nelle sue nebbie.
Ci siamo trovati in molti, in questa citta' irriconoscibile e sfuocata, vagare con le mani davanti, dicendo come il povero personaggio felliniano tra le nebbie di Amarcord: "Ma dov'e' che sono ? Mi sembra di non stare in nessun posto". Poi ci siamo rifugiati in qualche luogo per difendere la nostra identita' o coltivare il proprio isolamento.
In un clima, di desolata poverta' culturale e spirituale della Milano di questi anni, sono, nonostante tutto, sopravvissute e sono sorte una quantita' di piccole e tenaci iniziative, significative in tutti i campi della cultura e della ricerca. Isole piu' o meno felici, piu' o meno significative, piu' o meno ricche. Tante, ma senza alcun collegamento. Un arcipelago di energie sparse qua' e la', spesso pie' protese verso l'estero che coinvolte dalla propria citta'.
Come se un biglietto di aereo costasse meno di uno del tram.
Quello che e' venuto a mancare sono stati proprio i luoghi della cultura, i punti catalizzatori, gli aggreganti e con essi quella essenziale rete neuronica di scambi e di confronti che eleva le idee e il loro senso. Cosi' si e' sbiadita l'immagine della citta', in Italia e all'estero; si e' generato un clima di sfiducia, si sono dissipate le energie. E proprio mentre altre grandi citta' ritrovavano le fila della propria identita', Milano la perdeva, rimanendo appesa solo a qualche fenomeno comunicativo come la moda, la pubblicita' e forse il design. Chi ha la responsabilita' di questo ? Forse un po' tutti, ma in primo luogo emergono quelle di una classe dirigente, che nella varieta' di colori e umori elettorali, si e' mostrata incapace di mettere in moto e di valorizzare le risorse, che ha espresso e, anzi, alimentato un vuoto da far paura. Un vuoto di iniziativa e di cultura ma anche di buon senso.
Chi ha fatto le spese di questa situazione ? Prima di tutto i giovani. Anche se puo' apparire semplice l'affermazione, chi, come il sottoscritto, ci lavora in mezzo e sente le loro esigenze e le loro necessita', sa che e' drammaticamente vera. Ma in ogni caso, sono un po' tutti che stanno pagando, perche' si intuisce che in un territorio arido di moralita' e immobile di cultura anche la vitalita' restante e' destinata a esaurirsi. ‚ un po' per questi semplici pensieri e un po' per un chiaro sentore di urgenza, che ci siamo immaginati un'impresa come "Generazione Media". Un'iniziativa di connessioni, di accostamenti, di relazioni, che intende inoltre ricercare e studiare alcune "risorse" di questa citta' per valorizzarle, per alimentare nuovi scambi. Cio' che ci muove e' una sorta di "senso civico" di "volontarismo etico che" -come direbbe Goffredo Fofi- "ci distingue dagli animali". ‚ la sensibilita' acquisita nella frequentazione quotidiana di queste carenze e alla familiarita' con le tematiche giovanili. Non vivessimo ogni giorno nel nostro studio, la litania della ricerca del lavoro, la domanda di assistere, di conoscere, di "avere almeno un incontro", di semplicemente "potere stare a guardare". Forse non ci renderemmo nemmeno conto dell'enorme bagaglio di intelligenza e di ricchezza umana che sta' rischiando di disperdersi.

Un'iniziativa di connessioni si diceva, e infatti nasce proprio cos": mettere insieme l'entusiasmo di alcuni partecipanti al corso di Curators dell'Accademia di Brera; la stessa Accademia; alcune disponibilita' dell'Ufficio giovani del Comune, piccola isola sensibile delle istituzioni; e la volonta' ,tutta privata, di un laboratorio di sperimentazione come Studio Azzurro.
Gia' questa piccola alchimia definisce il carattere dell'impresa: c'e' un aspetto professionale, uno formativo, uno istituzionale. C'e' un referente privilegiato: i giovani. Un linguaggio: quello dei nuovi media. Un interesse: l'uso espressivo, artistico di questi linguaggi.

C'e' anche una volonta' che si aggiunge, che e' quella di non creare un evento, un'occasione, ma viceversa di avviare un processo, fatto di tante tappe con caratteristiche anche differenti, la prima delle quali e' la ricerca e l'avvio dell'archivio, la seconda questa esposizione-laboratorio, e un terzo passo, piu' remoto, la creazione di un riferimento permanente, un luogo, un servizio dedicato a chi vuole occuparsi di questi nuovi linguaggi. Un'osservatorio su un'area, gia' consistente, ma disgregata, magmatica, confusa nelle differenze. Con caratteristiche tutte da valutare e probabilmente da valorizzare. Certamente, a nostro modo di vedere, energie da connettere.
La scelta dei media, come area in cui circoscrive l'iniziativa, e' naturalmente dovuta alle competenze e alle visioni delle persone che la animano, ma e' legata anche ad alcune considerazioni piu' generali. Partiamo dal titolo "Generazione Media" e dalla sua imperfezione che si offre a due ambiguita' che vanno subito sciolte. Non c'e', oggi, definizione soddisfacente per indicare quella significativa mutazione del paesaggio comunicativo sorto intorno a noi e dentro di noi, indotta dalla invadenza della tecnologia e dei suoi linguaggi. Certo e' che l'importanza di tale fenomeno , piaccia o no, investe tutti e entra con grande naturalezza nella quotidianita' delle relazioni, e impone la consapevolezza di dovercene occupare, senza subirne il fascino, senza rifiutarne le potenzialita'. Cosi' come col termine "generazione" non si vuole individuare una fascia anagraficamente limitata di persone, ma piuttosto un'area ampia, una sorta di generazione trasversale, che si deve far carico di questi problemi, che ha una responsabilita' nel guidare, modellare, declinare l'esperienza di questa mutazione ora e nel prossimo futuro.

C'e' dunque un fattore per cosi' dire "epocale" che ci induce a focalizzarci su questo territorio di indagine, che abbiamo definito in modo provvisorio e approssimativo come quello dei "media", ma c'e' anche un elemento pie' contestuale. Milano, pur nella sua depressione, continua ad essere un centro dove confluiscono numerose imprese legate al mondo della comunicazione, dell'editoria, della televisione, della sperimentazione scientifica, dell'innovazione tecnologica. Dove esistono svariati ambiti universitari che si occupano di tecniche avanzate. Molte industrie che rappresentano questi settori. E' quindi teoricamente in una posizione avvantaggiata rispetto ad altre citta' italiane, che pur si muovono con pie' dinamicita' su questi temi. Non si puo' sprecare questo bagaglio di informazioni, di opportunita', di risorse. Se per altre situazioni, il motivo di identita' ha fatto leva sui tratti caratteristici di una tradizione ancora assai forte e vitale per poi riportarla sull'attualita' del momento storico e culturale (penso Napoli e Palermo), per Milano un'identita' possibile potrebbe essere proprio questa attenzione alla contemporaneita' e alla progettazione di futuro, questa grande sensibilita' alle esperienze del nuovo.

Del resto questa e' stata a forza di Milano da sempre. A rileggere a sua storia recente, i momenti piu' alti, e non solo da punto di vista culturale, sono stati quelli in cui si sono manifestate queste caratteristiche sperimentative. La Milano futurista ad esempio, quella degli anni 50 e 60, con i Fontana, i Manzoni, quella dello Studio di fonologia della Rai, dell'arte programmata, e di altre pie' brevi stagioni in cui questa spinta, questo sguardo rivolto in avanti e' stato capace di vedere l'essenza dei nuovi fenomeni e le loro potenzialita'. Oggi ancor piu' di ieri, di tutto cio' c'e' un'urgenza, perche' questo futuro va progettato, con una consapevolezza davvero straordinaria. E l'arte ancora una volta potrebbe esserne il faro. C'e' parsa quindi una scelta opportuna di circoscrivere un territorio specifico come quello dell'arte, della sperimentazione riferite ai nuovi media e di concentrarsi su Milano, per problemi di "emergenza" ma anche per avere un campione limitato ma significativo su cui ricercare. ‚ bastato poco tempo per farne uscire uno scorcio di straordinaria ricchezza; di contatto in contatto, si e' arrivati a conoscere un notevole numero di esperienze. Visionando documentazioni, ascoltano i pensieri di questi giovani artisti si e' arrivati a far emergere la vastita' del fenomeno e la sua complessita'. Si e' avuta la necessita' di costituire un archivio, di dare un ordine ad un materiale che via via si accumulava e che sembra ribellarsi a qualsiasi classificazione. Sulle possibilita' di mettere a fuoco questo materiale e di trarne qualche riflessione critica, rimando alle piu' pertinenti considerazioni scritte dai giovani curatori che attraverso il loro lavoro, il loro desiderio, la straordinaria passione hanno vissuto dall'interno questo universo, lo hanno esplorato e ce lo stanno facendo conoscere.

Un archivio cosi' rappresenta una vera ricchezza. Non solo per cio' che contiene, piu' di cento differenti esperienze, ma anche proprio per lo sforzo che ci sta dietro nel cercare dei nessi tra un modo e l'altro di produrre, nel trovare gli accostamenti, le sovrapposizioni.
Non ho notizie di altre indagini, altrettanto meticolose e condotte su un'area cos" omogenea, ne' in Italia, ne' all'estero.

Da questa materia cosi' instabile, e dalle continue sollecitazioni a cui ci induce, prende forma l'idea della mostra. Una mostra che non vuole rappresentare nulla di definitivo, di compiuto, ben lontana dalla mostra-vetrina, la mostra-enunciato. Qui non si vuole esprimere alcuna tendenza, nessun manifesto, ne' gruppo. Si tenta solo una lettura tra le tante possibili di un materiale raccolto che, crediamo abbia ancora tanto da raccontare. Una fotografia che identifica una "realta'", tra le varie che la potrebbero rappresentare. Ci si espone al rischio di non partire nemmeno da una scelta basata sulla qualita', e quindi questo non potra' essere nemmeno il criterio con cui osservarla. Tutto e' centrato sulla potenzialita', sull'energia che sta' dietro all'insieme. Tutto e' scommesso sulla capacita' di trasformare l'occasione dell'esposizione dei lavori (peraltro tutti prodotti per l'occasione) in un momento laboratoriale di confronto e di relazione, di elaborazione di idee e di messa a fuoco di esigenze.

E di cose su cui discutere ce ne saranno molte. Personalmente, ad esempio, pur sottraendomi ad ogni lettura critica sul materiale raccolto e su quello selezionato dai cinque curatori (mi sembrava giusto agissero in assoluta autonomia), non posso sottrarmi ad una considerazione generale . Cio' che si rileva con evidenza dalla quantita' di materiali che fanno capo all'archivio non e' tanto una carenza tecnica, che peraltro sarebbe comprensibile dati i costi delle attrezzature e la scarsa disponibilita' di chi le ha, e nemmeno espressiva, data la capacita' con cui sono effettuate certe realizzazioni, bens" manca quella che definirei come "visione complessiva". La capacita' cioe' di raffrontare storicamente le proprie esperienze e di leggerle alla luce di quelle gia' effettuate e la capacita' di contestualizzare, nel panorama contemporaneo, l'importanza dello strumento che si usa. Nel primo caso si rileva una sorta di predisposizione a ripetere, come se in questi piu' di trent'anni di ricerca artistica con questi linguaggi non fosse accaduto poco o nulla. Una predisposizione a ripetere, che sia detto come attenuante, e' molto diffusa, in questi tempi, all'interno di tutte le arti visive e audiovisive. Sembrerebbe cioe' che manchi una conoscenza di cio' che e' avvenuto, che e' necessario filtro per produrre esperimenti originali (sto bene attento a non dire nuovi, in quanto non sono cultore del nuovo a tutti i costi). Nel secondo caso mi pare di rilevare una parziale consapevolezza del portato che questi strumenti hanno, una scarsa conoscenza delle loro genesi, del bagaglio d'intelligenza confezionata che hanno in se', di quella parte cioe' che fa si' che ci sia un margine meno stretto d'oscillazione tra i concetti di "usare gli strumenti" e "il farsi usare dagli strumenti".
A questo punto, con nettezza, possiamo risalire le cause. Prima di tutto, la scuola. Tralascio tutto il discorso relativo ai primi cicli formativi; non sarebbe da fare, ma e' solo per condensare tutto il mio sdegno sul fatto che non esistano universita' o accademie dedicate a queste aree di conoscenza che tanto peso hanno nella costruzione o distruzione del nostro tempo; non solo, che non esista dipartimento universitario, scuola d'accademia o altro che sperimenti sul campo questi linguaggi. Che il tutto sia demandato a qualche seminario o workshop, a qualche occasione sporadica e spesso volontaristica, fatta qua e la', senza radicamento e' scandaloso. Possibile che una citta' come Milano non riesca a imporre la costituzione di un Centro Sperimentale, non tanto dedicato al cinema, ma proprio centrato sulle tematiche di cui parliamo? Questa cultura del contemporaneo non abita nella scuola, ne' la testa dei funzionari che la gestiscono. E i primi sintomi che si avvertono sono quelli che ho descritto: scarsa conoscenza storica, approssimativa consapevolezza dei mezzi che si usano. Le conseguenze: frammentazione delle esperienze, progressivo allontanamento dalle aree attive della ricerca artistica internazionale, svuotamento di motivazioni.
Se non esistono le scuole, come viceversa succede in Bulgaria, in Estonia o in Venezuela, tantomeno esistono centri di produzione pubblici come succede, tanto per restare un po' piu' vicini, in Francia a Montbeillard o in Germania o in Olanda. Scuole o centri che, tra l'altro, diventano non solo luoghi formativi ma veri e propri enti promotori dei propri studenti e artisti, e organizzatori di manifestazioni a risonanza mondiale. Si sa che, come stanno le cose in Italia, si fa fatica a pretendere le scuole, figurarsi richiedere dei centri di produzione o una legge specifica. Ma con un po' di iniziativa, non si potrebbero trovare forme di collaborazione tra vari enti per creare un modello originale e consapevole di non potere basarsi solo su risorse pubbliche? Prendiamo Milano, che e' oggetto di questa mostra. E' cosi' difficile, ad esempio, trovare un' area dismessa (quante ce ne sono) e aggregare fisicamente una serie di realta', diversificate e collaudate sul piano della loro attivita' e della loro storia, e creare un luogo, piu' luoghi, dove l'iniziativa privata (intesa anche come conservazione della propria indipendenza) s'intrecci con una funzione pubblica e diventi un centro attrattivo per la citta' e propulsivo verso l'esterno.
Costerebbe molto meno che costruire un nuovo museo (e forse in questo momento un laboratorio ci serve piu' di una vetrina). Uno spazio cosi' potrebbe, con certe modalita', divenire un luogo dove si effettua il delicato passaggio dalla formazione all'occupazione , dalla simulazione alla realizzazione. Un luogo di riferimento, in cui trovare servizi e spazi collettivi, ma anche esempi di attivita' che inducano all'iniziativa, invoglino la ricerca. Una spazio per la cultura, una cultura che pero' si confronta con il radicale cambiamento avvenuto in questi anni.
Un sogno? No, e' un sentimento diffuso, credo di interpretare, da parte di chi in questi anni si e' avventurato in questi territori di sperimentazione, e sono tanti, che meriterebbero di essere citati come ispiratori di questa iniziativa che, solo per casualita', ho promosso io. Ma e' anche una esigenza altrettanto diffusa e decisa, credo anche qui di poter intendere, dei tanti giovani che si sono organizzati autonomamente, nei centri sociali o altrove, che desiderano ritrovare luoghi di scambio, non solo virtuale. E' un sentimento che scorre da tempo sotterraneamente come quei misteriosi Navigli che attraversano Milano e che attualmente sono coperti da parcheggi e strade asfaltate. E chissa' che un giorno o l'altro allo scorrere delle auto si preferisca tornare a vedere il fluire delle acque. Forse la citta' sarebbe non solo piu' viva, ma anche piu' bella.

paolo rosa