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4/06/99

 
Franco Bianchini 
 
 
I RISULTATI DELLE POLITICHE CULTURALI DEGLI ANNI '80 E LA SITUAZIONE ATTUALE

 
   
Il cultural planning: una strategia di sviluppo del territorio e della comunità 
 
   

 
 
In termini di creazione di occupazione e ricchezza, l?impatto delle politiche culturali urbane degli anni ?80 e ?90 è stato piuttosto marginale. Secondo la maggior parte degli studi sono stati creati nei migliori dei casi alcune migliaia di posti di lavoro: un risultato non insignificante, ma che non risolve certo il problema della disoccupazione legato alla ristrutturazione economica. È un impatto più interessante quello che riguarda il riutilizzo di edifici e quartieri interi degradati e/o dismessi. Ancora piu` importante, forse, e` stato l'impatto delle politiche culturali urbane sull'immagine esterna delle citta`. Abbiamo già visto casi di città in declino, legate a settori economici obsoleti, come Glasgow o anche Bilbao, che è intervenuta con progetti prestigiosi come il museo Guggenheim, non senza critiche, fra cui quella mossa all`amministrazione comunale di trascurare la manutenzione del centro storico a favore dei lavori sul progetto del nuovo museo, e di avere anche tralasciato di promuovere un bel museo già esistente, il Museo di Belle Arti che ha al suo interno degli esempi di pittura basca interessantissimi.

Città come le sopra citate, o anche come Rotterdam o Amburgo, hanno usato la politica culturale per acquistare un?immagine di rinascita, di modernita`, di dinamismo culturale. Sono numerosi i casi anche di città più piccole che hanno fatto use di simili politiche, come in Francia nel caso di Montpellier, città fino agli anni `70 piuttosto assonnata, relativamente fuori dai circuiti culturali, che ha scelto nel corso degli anni `80 di caratterizzare la propria politica culturale con progetti architettonici innovativi e iniziative sulle nuove tecnologie, cercando in tal modo di stabilire un collegamento tra la propria immagine (sia interna che esterna) e le industrie ad alta tecnologia, e di legittimare l'arrivo di nuovi investimenti in questo settore, concentrati in quattro nuovi parchi tecnologici.

Tra le questioni che rimangono da discutere alla fine degli anni '90 troviamo in primo luogo il divario crescente tra la condizione culturale del centro città e quella delle periferie urbane. C?è una tendenza alla rivitalizzazione dei centri città, che sono visti in queste politiche di competizione tra una città e l'altra sempre di più come un motore per il rilancio dell`economia locale, e in particolare per lo sviluppo del turismo. Quindi ci sono sempre più investimenti sulle infrastrutture culturali del centro città, compresi gli investimenti per la creazione di nuovi musei, ma al tempo stesso c'è una tendenza verso il degrado sia di alcuni quartieri periferici che, in parecchie citta`, delle zone immediatamente esterne al centro. Questi quartieri in alcuni casi sono diventati veri e propri ghetti e hanno assunto l'immagine di 'no go areas', all'interno delle quali gli investimenti fatti negli anni ?70 e nei primi anni ?80 per creare centri culturali polivalenti e biblioteche di quartiere non sono stati mantenuti.

Le risposte possibili a questa crisi sono ovvie. Si puo` tentare di facilitare l?accesso a tutti i livelli, tramite il miglioramento dei trasporti pubblici, la riduzione del costo dei biglietti d`ingresso alle attivita` culturali, e strategie di marketing dirette a tutta la città, non solo a chi è già interessato alla cultura . Si puo` anche promuovere un?idea piu` policentrica della città, come ad esempio nel caso dell'amministrazione comunale di Vienna , che ha ha sviluppato una 'rete culturale' in cui i centri culturali di quartiere sono stati potenziati per metterli in grado di offrire iniziative che attirino anche gli abitanti di altri quartieri, con una programmazione integrata che punta a incoraggiare il pubblico a usare i centri culturali di tutti i quartieri.

Tra le altre questioni che non si possono ignorare va analizzato lo squilibrio tra consumo e produzione: le opportunità di consumo culturale per i cittadini sono sicuramente aumentate, però dispiace notare che questo aumento è solo in pochissimi casi legato a politiche di sostegno alla produzione culturale locale. È chiaro che bisogna continuare a invitare in citta` dell`importanza di Milano il meglio della produzione culturale dall'estero, però è ugualmente necessario sia sviluppare una politica di sostegno alle imprese culturali locali e dar loro opportunita` di accesso ai luoghi culturali milanesi in grado attrarre un pubblico non solo locale.

Ci sono degli esempi interessanti, come a Sheffield in Inghilterra, dove è stato creato un 'quartiere delle industrie culturali' che ha anche una dimensione turistica, di consumo, ma che è soprattutto orientato a far crescere delle piccole imprese locali, che lavorano nei settori più vari, dal design alla moda, alla musica, alla grafica e al cinema. Un aspetto della strategia di Sheffield è il tentativo di spettacolarizzare attività di produzione culturale locali, tramite la creazione del National Centre for Popular Music, un centro nazionale e museo interattivo sulla musica pop, alla cui progettazione hanno lavorato vari produttori locali.

Altro problema è il vecchio dilemma tra effimero e permanente, cioè tra investimenti sugli edifici che ospitano attività culturali e spesa a sostegno di progetti di artisti, festival ecc... Se si va ad analizzare la spesa per la cultura nei diversi paesi europei sia a livello nazionale che locale si nota che la maggior parte di essa viene assorbita dalla manutenzione del patrimonio culturale e degli edifici per attivita` culturali (teatri, musei, sale per concerti, biblioteche ecc...) Per esempio, nel caso di Francoforte le possibilità di interventi culturali innovativi sono molto limitate dal fatto che la maggior parte del bilancio comunale per la cultura deve essere impiegata per la manutenzione dei musei costruiti negli anni `80, per cui in un momento come quello attuale di riduzione della spesa pubblica è problematico reperire le risorse per nuove iniziative che permettano alla città di mantenere e sviluppare la propria visibilitá come centro culturale di livello internazionale. Queste considerazioni valgono per citta` in altri paesi europei, e certamente anche per il caso italiano, data la ricchezza del patrimonio archeologico, artistico e architettonico del paese. Per questo sarebbe importante in Italia intensificare il dibattito sulle sovraintendenze, che potrenbbero aggiungere alla loro funzione attuale, quasi esclusivamente curatoriale e di protezione del patrimonio, un ruolo più orientato verso l?utilizzo strategico delle risorse culturali per lo sviluppo integrato del territorio. In un dibattito del genere potrebbe assumere un ruolo importante il concetto di `cultural planning`, gia` abbastanza diffuso in Australia e negli Stati Uniti. Cultural planning non significa `pianificazione della cultura`, che è un concetto stalinista, ma vuol dire un approccio culturalmente sensibile alla pianificazione del territorio.

Il 'cultural planning'

Secondo la definzione di Colin Mercer (1991 e 1996) il cultural planning e` la pianificazione e l?uso strategici e integrati delle risorse culturali per lo sviluppo urbano e della comunità. Per pianificazione (aggiunge Mercer) si intende un fondamento organizzativo dal quale hanno origine tutte le altre funzioni delle politiche pubbliche, e come tale, troppo importante per essere lasciato ai planners o urbanisti, così come noi li conosciamo, in quanto i planners creano spazi, mentre le persone nella loro vita quotidiana creano luoghi spesso in contrasto con le intenzioni dei planners stessi. Per questo motivo c?è bisogno innanzitutto di espandere gli orizzonti dei planners e di allargare la loro agenda attraverso la consultazione coi cittadini e la ricerca interdisciplinare sulle opportunita` e i/vincoli del territorio.

Il `cultural planning` come collegamento tra risorse culturali e pianificazione è anche un modo di ampliare la visuale di chi si occupa di pianificazione, incoraggiando la cooperazione tra la pianificazione strettamente urbanistica e architettonica, che guarda soprattutto all?ambiente fisico, e la pianificazione che fanno gli economisti, e arricchendo entrambi i/tipi di pianificazione con contributi di antropologi, sociologi, storici, nonche` degli imprenditori e del terzo settore.

La parola 'strategico' secondo Mercer significa che il ?cultural planning? deve far parte di una strategia più ampia per lo sviluppo del territorio. Deve stabilire connessioni con la pianificazione dell?ambiente fisico, con obiettivi attinenti allo sviluppo economico e industriale, con iniziative per la giustizia sociale e anche, per esempio, con le politiche per la casa, la sanità, ilavori pubblici e il turismo.

La parola 'integrato' significa che la riflessione sull'utilizzo strategico delle risorse culturali non può essere una cosa aggiunta alla fine, quando un progetto è già stato completato, ma deve essere presente fin dall?inizio del lavoro di progettazione. Spesso invece un elemento culturale viene aggiunto dopo che tutte le decisioni chiave sono state prese. Per esempio, nel caso della pianificazione e del design dello spazio urbano, basti pensare alla politica dei monumenti, alla 'public art'; è molto comune l'intervento di un artista per abbellire un edificio che è stato costruito senza sensibilità culturale, dando luogo ad un effetto che gli americani chiamano 'lipstick on the gorilla', il rossetto sulle labbra del gorilla.

Un altro concetto chiave nel cultural planning e` quello di 'risorse culturali', per definire il quale bisogna partire dalla definizione di ?cultura?. Il teorico inglese Raymond Williams (1981) ci insegna che la definizione di `cultura` si articola in almeno tre grandi categorie:
a) la cultura come arte;
b) la cultura come processo di civilizzazione, di coltivazione dello spirito e dellla mente, dal senso latino della parola cultura;
c) la definizione antropologica di `cultura` come stile di vita che comprende non solo l?arte e l?espressione creativa, non solo i processi dell?apprendere e del coltivarsi, ma anche tutte le varie attività della vita quotidiana (vestirsi, lavorare, andare a scuola, andare a fare la spesa, cucinare, divertirsi ecc...).

La mia definizione di `risorse culturali`, basata su un'accezione di `cultura` in senso antropologico, comprende i/seguenti elementi:

1) il patrimonio storico, artistico, archeologico e antropologico;
2) l'immagine interna ed esterna del territorio, che si esprime attraverso barzellette, canzoni, miti, guide turistiche, reportage sulla stampa, la radio e la TV, ed altre rappresentazioni culturali;
3) il repertorio di prodotti e capacita` produttive locali nell'artigianato, nell'industria e nei servizi;
4) l'ambiente fisico, comprendente il patrimonio architettonico, il paesaggio e la topografia del territorio;
5) la qualita` degli spazi pubblici;
6) la diversita` dei negozi e delle attivita` ricreative, di svago e culturali;
7) le tradizioni locali di vita associativa e di sociabilita`, comprendenti eventi come carnevali, sagre, festival ecc...
8) gli hobbies dei residenti;
9) le culture giovanili, delle minoranze etniche e di altre `communities of interest` presenti sul territorio;
10) le arti visive, lo spettacolo e le industrie culturali.

C?è una notevole differenza tra le politiche di `cultural planning`, che adottano questa definizione di `risorse culturali`, e le politiche culturali tradizionali che invece comprendono il piu` delle volte solo la prima e la decima componente della definizione stessa. Inoltre, .mentre le politiche culturali tradizionali vengono formulate e attuate secondo una logica settoriale (per esempio, politiche per il teatro, il cinema, la letteratura, le arti visive ecc...) le politiche di `cultural planning` sono basate sull?interazione tra le risorse culturali disponibili all?interno di un certo territorio e tutti i/tipi di politiche pubbliche aventi un ruolo nelle strategie di sviluppo del territorio stesso. Per questo l?approccio di `cultural planning` passa attraverso le divisioni tra il terzo settore e i/settori pubblico e privato, nonche` tra diversi tipi di politiche pubbliche e diverse discipline accademiche e professionali,

Esiste infine una dimensione spesso sottovalutata del `cultural planning` che val al di la` dello sfruttamento o, se si preferisce, della valorizzazione della cultura come risorsa per lo sviluppo del territorio, e che si concentra sul processo di produzione culturale locale come processo creativo, come approccio, come modo di pensare. Questa dimensione del `cultural planning` stabilisce un collegamento tra le risorse culturali e i diversi tipi di politiche pubbliche, puntando a trasformare i concetti e gli assunti fondamentali su cui esse poggiano, e, di conseguenza, il processo di formulazione ed attuazione di tali politiche.

È possibile rendere questo processo in tutti i/campi (per esempio, nei casi delle politiche sociali, economiche, ambientali, turistiche e di marketing del territorio) più simile ai processi di produzione culturale?

Per rendere quest`idea più concreta puo` essere interessante soffermarsi su alcune caratteristiche dei processi di produzione culturale, che tendono ad essere:

a) olistici, flessibili, reticolari, laterali, interdisciplinari (gli aggettivi in questo gruppo, come quelli nei gruppi che seguono, non sono sinonimi, ma individuano una serie di attributi che hanno molto in comune);
b) orientati all'esperimento, all'originalità e all'innovazione;
c) umanistici, e tendenti ad attribuire maggior valore al dato qualitativo che a quello quantitativo, e a rifiutare ogni forma di determinismo economico e tecnologico;
d) critici dello status quo, e tendenti a porre domande e lanciare sfides;
e) `colti`, e consapevoli in modo non superficiale delle tradizioni di espressione culturale del passato;
f) aperti, e non rozzamente strumentali.

Per esempio, la conoscenza dei metodi del `cultural planning` e` utile a chi si occupa di politiche per il marketing del territorio e per lo sviluppo del turismo per capire che una città o una regione non possono essere comunicate nello stesso modo in cui viene comunicato un qualsiasi prodotto. I principi generali del `product marketing` non sono del tutto inutili, ma devono essere affinati dalla conoscenza della complessità della cultura locale, e della citta` e/o della regione come sistemi ambientali, economici, sociali, culturali e politici. Questo puo` avvenire anche attraverso processi di collaborazione tra chi si occupa di marketing territoriale e turismo e antropologi, sociologi, psicologi, storici, urbanisti, architetti, geografi, economisti,artisti, giornalisti, politici, imprenditori, rappresentanti del terzo settore e delle culture giovanili, delle minoranze etniche e di altre ?communities of interest? locali. Tale collaborazione potrebbe essere organizzata seguendo per l?appunto iprincipi che caratterizzano il processo di produzione culturale: quelli di lateralita`, interdisciplinarita`, flessibilita`, originalita`, inovativita`, rifiuto di ogni forma di determinismo ecc...

Per concludere, può essere interessante discutere come potrebbe cambiare la funzione dei musei con il passaggio da un approccio tradizionale a uno di `cultural planning`.

In un approccio tradizionale c?è un triangolo tra l?edificio (il contenitore), il contenuto del museo e i visitatori. La programmazione dell?attività del museo si fa sulla base di questo triangolo. In un approccio di `nuova museologia`, che ha molto influito sulle strategie di `cultural planning` rivolte al settore dei musei, invece, il triangolo si modifica. Il museo sia come contenitore che come contenuto viene collocato su un vertice, e il patrimonio del territorio rilevante alle attivita` del museo stesso su un altro vertice, mentre non solo i/visitatori ma anche gli abitanti e gli utenti del bacino di utenza del museo appartengono al terzo vertice del triangolo. Il museo entrerebbe quindi a far parte di una logica di sviluppo integrato del territorio, creando progetti di collaborazione con scuole, Universita`, imprese, associazioni volontarie e istituzioni responsabili dei diversi tipi di politiche pubbliche. In quest'ottica il museo potrebbe diventarte non solo una base essenziale per l`esplorazione delle risorse culturali del territorio (per esempio, i/siti archeologici nel caso di un museo archeologico), ma anche un centro di riflessione, documentazione ed elaborazione: un luogo di memoria che può lavoare con i/policy makers per impostare un discorso sul futuro di un determinato luogo.

Riferimenti bibliografici

Matarasso, F. and Halls, S. (1996) The Art of Regeneration. Nottingham 1996: Conference Papers Nottingham e Bournes Green, City of Nottingham e Comedia.
Mercer, C. (1991) `What is cultural planning?``, relaziione presentata alla Community Arts Network National Conference, Sydney, 10 ottobre.
(1996) `By accident or design. Can culture be planned?`, in Matarasso e Halls (1996).
Williams, R. (1981) The Long Revolution Londra,. Chatto & Windus.

Sul concetto di `cultural planning` v. anche Bianchini, F. (1996) `Rethinking the relationship between culture and urban planning`, in Matarasso e Halls (1996).

Franco Bianchini

Professore alla De Montfort University di Leicester, Inghilterra. Direttore della Cultural Planning Research Unit e del Master in European Cultural Planning presso la stessa Universitá, oltre che consulente per le società Comedia Consultancy Ltd. e Noema Research and Planning Ltd., entrambe aventi sede in Gran Bretagna e specializzate nell?elaborazione di strategie strategie per valorizzare le risorse culturali di diverse cittá e regioni. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Cultural Policy and Urban Regeneration: The West European Experience (con M. Parkinson, Manchester, Manchester University Press, 1993), The Creative City (con C. Landry, Londra, Demos, 1995) e Culture and Neighbourhoods: A Comparative Report (con L. Ghilardi, Strasburgo, Council of Europe Press, 1997).
L'indirizzo e-mail del professor Bianchini è: fbianch@dmu.ac.uk

Questo testo propone l'intervento di F.B. al seminario Il museo imprenditore organizzato dal prof. Francesco Mauri nel 1997/98 all?interno del laboratorio tematico per il quinto anno del Corso di laurea in disegno industriale del Politecnico di Milano, Facoltà di architettura.