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Virus (1994 - 1998) Anno Numero 14 Nov '98



Shirin Neshat

Intervista di Francesca Caraffini



Mutation
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Nata a Qazvin, in Iran, nel 1957, Shirin Neshat vive attualmente tra il suo paese di origine e New York. Esplora da alcuni anni la complessità delle condizioni sociali all'interno della cultura islamica, rivolgendo uno sguardo particolare al ruolo che qui ha la donna: nelle sue foto e nei suoi video incontriamo corpi velati, martiri, sottomessi, che si devono relazionare con la violenza ed il terrorismo, immagini intense e fortemente connotate. Il suo è un corpo che sente, nel confronto intimamente vissuto delle culture, le possibilità di intersezione che l'hanno portata ad avere una visione anticonvenzionale e a mantenere un forte distacco dai pregiudizi, tanto quelli del mondo Orientale quanto quelli del mondo Occidentale.

Francesca Caraffini: Hai partecipato, lo scorso anno, alla Biennale di Istanbul, luogo appartenente ad una cultura, da cui anche tu provieni, in cui per tradizione il ruolo delle donne è stato sempre demandato alle decisioni degli uomini. In questa Biennale erano presenti molte donne che esponevano.

Shirin Neshat: Si, alla Biennale eravamo presenti in molte, ed è forse più di una coincidenza, credo che questo dipenda soprattutto dal fatto che ci sono veramente molte donne oggi che fanno arte e che si esprimono in questa maniera forte; è probabile che Rosa Martinez, (direttrice della Biennale ndr) sia stata sensibile a questo tipo di lavoro... perché tutte noi donne presenti, provenendo da differenti contesti e ambiti culturali, abbiamo fatto, più che delle opere, delle vere e proprie dichiarazioni, molto forti. Ci siamo imposte su argomenti sociali e politici che sentivamo ci riguardassero. Credo che la presenza di tante donne, anche nei video, non vada però confusa col fatto che le donne erano spesso solo protagoniste di opere, anche di quelle realizzate da artisti il più delle volte indifferenti alle tematiche sociali e politiche. In questa Biennale si sono viste molte opere di autrici che sono state portavoce di problemi sociali, politici, religiosi, culturali...un caso forse, vederle tutte insieme, a che probabilmente ha reso la Biennale di Istanbul anche più interessante.

Quali sono le poetiche che trovi più stimolanti in questo scorcio di secolo? Quali anticipano, secondo te, il prossimo millennio?

Credo di fare parte di un gruppo di artisti che considera l'artista stesso come un'espressione di realtà, non tanto per gli oggetti che produce ma proprio perché è incluso nella realtà delle cose e nel loro accadere. Per questo sto cercando di andare oltre i tradizionali mezzi dell'arte quali
la scultura e la pittura, per indagare i linguaggi multimedia, perché hanno una forza più coinvolgente. L'uso delle tecnologie è una delle intenzioni più stimolanti di questo momento, l'idea di realizzare sempre di più una contaminazione tra video, computer e corpo, come anche
l'idea di far partecipare sempre di più il pubblico all'interno dell'opera. Quello che interessa me è la possibilità di realizzare opere che siano il più possibile poetiche, opere in cui conta molto il fatto di esprimere delle emozioni, nonostante il fatto che toccano argomenti sociali, religiosi e politici.

Cosa intendi per emozioni?

La mia idea di emozione, credo si intuisca in Unveiled o Women of Allah . In questa serie di opere non ho cercato di entrare in merito all'aspetto politico del velo, ma piuttosto alla sua poetica, che era il campo che veramente mi interessava sin dall'inizio, l'idea di provare a guardare oltre la superficie. Per esempio, come fà una donna a relazionarsi con i mutamenti del mondo esterno quando c'è un velo tra lei e il mondo? Come il velo separa il privato dal pubblico, l'interno dall'esterno? Come un semplice pezzo di stoffa è realmente capace di dettare e imporre una tale limitazione su una persona? Io ero molto interessata all'idea di visibile e invisibile, e anche come, alla fine, una donna può esprimere se stessa nonostante una tale limitazione.

Oltre alla caratteristica di evidenziare dei contrasti, le tue immagini hanno anche un carattere di enorme ambiguità.

Credo sia una caratteristica del femminile il non pensare a una visione dualistica dell'esistenza.
Il gioco dei contrasti è molto più ovvio in Women of Allah che in altri lavori più recenti. La giustapposizione delle armi rappresenta la violenza come simbolo dell'immagine stereotipata dell'Islam del mondo occidentale. Tuttavia la complessità degli ideali spirituali della religione islamica è superficialmente ignorata. L'interesse per il velo nasce per me proprio dalla sua natura ambigua nella società Islamica: il velo protegge le donne dall'essere considerate un oggetto, dotandole di rispetto, e contemporaneamente nasce dalla consapevolezza degli uomini dell'incapacità di controllare la propria sessualità, costringendo le donne a coprirsi.
Comunque la rivoluzione ha costretto le donne ad occupare ruoli pubblici, mettendole su un uguale posizione con gli uomini. Il velo è anche un atto politico: le donne che vestono il velo mostrano la loro solidarietà alla lotta contro l'occidentalizzazione della loro società, e così il velo diviene anche un simbolo della battaglia contro l'imperialismo. Quello che cerco di fare è di uscire dalle ovvietà di discorsi su culture di cui si conosce, in fondo, ben poco. Come vedi le interpretazioni del velo sono molteplici, è un segno dei tempi iniziare a parlarne, è un argomento che continuerà a generare controversie.

Tu hai scelto proprio il tuo corpo come superficie per trascrivere dei segni molto forti, direttamente sulla tua pelle, che compare però pochissimo...questo rende sicuramente più forte il tuo messaggio essendo tu stessa a rappresentarti così.

La verità è che io ho iniziato a fare questo senza relazionarmi ad esso, ero molto sorpresa di trovare parti di me in questo tipo di tendenza. È stato quasi casuale l'utilizzo del mio stesso corpo. All'inizio, quando ho iniziatoa fotografarmi era semplicemente una questione di comodità. Ho fatto io stessa la performance perché sapevo cosa stavo cercando, era come vivere la mia stessa vita. Dopo le prime serie è come se avessi collocato la mia immagine nel passato del mio lavoro, come se mi fossi lasciata alle mie spalle...e ho scelto altre donne da fotografare, come nel caso della cantante nel video Turbulent, l'immagine di una donna che comunque corrispondeva perfettamente all'immagine che cercavo per rendere perfetto il progetto: io non ho necessariamente bisogno di essere di fronte alla camera, questo ha finito di essere una parte essenziale del mio lavoro. E questo è per me molto importante, perché molte persone hanno detto che io uso me stessa e gioco questo ruolo perché mi identifico con queste immagini nostalgiche. Siceramente non credo che sia così. Il corpo è molto importante nelle mie opere, perché sono tante le cose che sono passate nella cultura islamica attraverso il corpo della donna, soggetto a ferree regole sociali, diventando contemporaneamente un corpo politico e il referente visivo dell'effettivo svolgersi di alcuni accadimenti.

Spesso in opere come Seeking Martyrdrom o Rebellious Silence, la presenza delle armi è stata rapportata esclusivamente ad una situazione politica che esiste al momento nei paesi orientali, ma io considero anche il fatto che tu vivi a New York, un posto dove la violenza si vive ugualmente...

Si, è probabile che sia stata data una lettura di questo tipo, ma non era l'aspetto legato alla violenza o alla militarità quello che mi interessava indagare, era quello che più si riferisce all'idea del corpo femminile nel suo essere militante, che prende posizione, inteso cioè come corpo combattente.

Le tue immagini sono molto raffinate, c'è un senso diffuso della bellezza. Che cos'è la bellezza per te?

L'idea della bellezza è molto importante nella tradizione islamica. Tutta la società islamica ruota intorno all'idea della bellezza, lo stesso contatto tra l'uomo e il divino è stabilito attraverso un senso di bellezza, e la stessa ossessione di raggiungerla è qualcosa di molto intenso.
Nel mio lavoro, l'immagine delle donne, della violenza, del chador e l'intero complesso della bellezza delle immagini, viene trasformato in una dimensione di confusione, e lo stesso discorsovale per l'uso di poemi di autori che hanno opposti credenze e opinioni...Vedi, non è mai stata mia intenzione prendere un direzione univoca, o comunque prendere posizione. Io non penso che sia interessante per un artista diventare giudice di cosa è bene e cosa è male o decidere quali culture sono nel giusto e quali no...A me non interessa stabilire chi ha ragione, io sono una straniera, sono un'osservatore forestiero, e il lavoro che faccio è una combinazione di che cosa esperisco nella mia propria storia personale, che indubbiamente è molto legata a tutto questo.

Nell'opera che hai presentato nella scorsa edizione di ARCO, Turbulent , tu ritorni sul tema della sessualità nella società musulmana, inserendo come elemento portante la musica.

Quest'opera è stata per me un'esperienza molto importante perché la la musica è diventata un modo per ampliare le possibilità di collaborazione, non solo con i fotografi, ma anche con autori di altri ambiti. La musica è divenuta, per quel lavoro, uno dei mezzi per suggerire certe emozioni che io stavo provando e che volevo trasmettere. Uno spostamento mentale che tendeva ad un aspetto privato, un momento di intimità che lasciava momentaneamente da parte l'aspetto politico, nonostante il fatto che questa opera è estremamente carica di significati sociali. Questa è stata la tendenza costante nei miei ultimi lavori, una sorta di andamento in cui prelevo i miei dati dal privato, dalla mia sfera personale, più che dal collettivo.
In Turbulent , la canzone maschile rappresenta la cultura e gli aspetti positivi che essa genera, la cantante donna rappresenta l'esatto opposto. In Iran, le donne non possono esibirsi in pubblico dopo la rivoluzione. In Turbulent si evidenzia una identità mista, parliamo di un uomo-donna dinamico, di un pieno complesso di emozioni represse: affetto, desiderio, sessualità, e come queste possano divenire tabù che agiscono negativamente su di te. Come vedi mi interessa molto esplorare una forma di comportamenti controllati che entrano in conflitto.

Ci colpisce sicuramente l'ondata di inquietudine che trapela in un ansimo continuo da sotto il velo di The Shadow under the Web, il video che hai realizzato per la Biennale di Istanbul: una proiezione simultanea su quattro pareti, una corsa continua attraverso luoghi diversi, piazze, strade deserte, un'ombra velata che a volte ci viene incontro, altre volte ci sfugge...Quali sono i tuoi progetti per l'immediato futuro?

Vorrei proseguire ciò che ho iniziato a proporre coi video, per dirigermi ancora di più verso il cinema e il video. Vorrei però riuscire a rendere più coinvolgente per il pubblico questo nuovo lavoro, in modo che esso possa anche parteciparvi in certo senso. Sento comunque di avere molto da dire sulle culture diverse, che ogni tanto possono apparire molto strane, molto lontane, ma che penso alla fine diverranno un insieme universale. C'è molto che deve essere ancora detto e che dovrà essere detto. Forse l'interattività sarà un buon mezzo per veicolare questi messaggi e soprattutto potrà aiutarmi a cercare le varie possibilità di trasmettere e tradurre questi messaggi, senza sminuire il loro profondo significato, rispettando il loro senso e, cosa ancora più importante, fare in modo che possano raggiungere molte persone, e fare si che possano essere compresi al meglio.
Questo sarebbe quello che mi piacerebbe ottenere dai miei prossimi lavori.