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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 17 Numero 184 dicembre 2002



La poetica della trasformazione

Pia Vivarelli

La mostra su Alberto Savinio a Milano



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Alberto Savinio, Una strana famiglia (1947)

Alberto Savinio, Nascita di Venere (1950)

Alberto Savinio, Astrologue meridien (1929)

Pittore, musicista, poeta e teorico legato alla Metafisica del fratello Giorgio de Chirico, Alberto Savinio ha voluto rappresentare, attraverso i filtri dell'ironia e del meraviglioso, le sfaccettature di una realtà in continuo cambiamento. È ora protagonista di una mostra a Milano, di cui ci parla la curatrice.


La mostra in corso a Milano alla fondazione Mazzotta è organizzata seguendo le principali tematiche sviluppate dall'artista: il tema dell'infanzia e dei giocattoli, la riflessione sull'antico - nelle sue varianti di citazione dei modelli antichi e di stravolgimento di tali modelli - il motivo del continuo modificarsi della realtà naturale, che dà luogo a metamorfosi e a strabilianti "apparizioni", la ricerca sui primordi del mondo e della cultura occidentale, la consapevolezza infine - propria dell'ultima produzione dell'artista - di un'infezione che minaccia la materia e intacca in maniera definitiva le certezze razionali dell'uomo contemporaneo.
A questo nucleo portante si affianca una sezione che, per la prima volta, mette l'accento sull'attenzione dell'artista per le arti decorative (disegni per tappeti e stoffe, mosaici e ceramiche, bozzetti per pitture murali, decorazioni di interni di navi) e una larga scelta dei lavori realizzati negli anni Quaranta per le illustrazioni di libri e articoli o per rappresentazioni teatrali e musicali.
Emerge da queste tematiche una personalità di cultura assai complessa, che affronta l'analisi della realtà mettendo continuamente in discussione - come tutti i grandi intellettuali del Novecento - le presunte verità di una conoscenza che si affidi a soluzioni assolute e schematiche, siano esse di natura razionale o irrazionale. Savinio parte quindi dall'esempio della cultura tedesca ottocentesca cosiddetta "negativa" (Schopenhauer, Nietzsche) e a questa associa una rilettura del pensiero antico, che privilegia le riflessioni filosofiche presocratiche, piuttosto che la tradizione platonica e aristotelica, che l'artista pone all'inizio di quella predominante cultura occidentale volta all'idealismo.
Da questo intreccio tra riferimenti al mondo greco e scetticismo, disagio, dubbi tutti contemporanei, dovuti alla ferma convinzione di una totale assenza di valori nell'età moderna, nasce quella poetica della metafisica che Savinio elabora sul piano teorico e che trasferisce, negli anni Dieci, nella contemporanea produzione musicale e letteraria, in assoluta coincidenza temporale con le immagini pittoriche metafisiche del fratello Giorgio de Chirico.
Questa stessa poetica è alla base della produzione pittorica saviniana quando comincia, a metà degli anni Venti, a esercitare stabilmente l'esercizio della pittura, dopo probabili, ma sporadici esempi di pittura del decennio precedente, oggi perduti.
Il punto di partenza della pittura saviniana è uno scavo nella memoria individuale e storica: l'arte potrà sopravvivere, pur in un presente connotato da contraddizioni e mancanza di valori, se diventa operazione della memoria, ricordo di una natura e di un'umanità "originarie", non ancora contaminate dall'organizzazione razionale della realtà propria del pensiero greco da Socrate in poi. E, accostando a Nietzsche la filosofia di Giambattista Vico, l'artista rintraccia in quest'ultima ulteriori suggestioni intorno alle età primordiali, quelle in cui, dai terrori del troglodita di fronte agli inspiegabili eventi naturali, nasce la sapienza poetica, la capacità di interpretazione magica e divinatoria del mondo. Per l'artista contemporaneo, che non voglia porsi come semplice specchio delle contraddizioni del presente, ma che intenda rintracciare e indicare valori più stabili e certi, fare arte significa recuperare il proprio passato, sia individuale che storico.
Ecco quindi comparire, negli anni 1927-1928, le due serie parallele dei dipinti con immagini tratte dall'album familiare - se stesso bambino, i genitori, i fratelli, paesaggi della natia Grecia - e delle tele con precise immagini di dinosauri, elefanti, scheletri di mammut - ricavate dalle illustrazioni di libri e articoli di divulgazione scientifica - rappresentative di un mondo preistorico, che spesso è messo a confronto con il mondo classico e quello contemporaneo, come accade, per esempio, in Atlante (1927).

UNA REALTÀ IN DIVENIRE

Nel 1929 diventa invece predominante un'ulteriore sfaccettatura del concetto saviniano di preistoria. Già in uno scritto del 1921 - pubblicato sull'importante rivista romana "Valori Plastici", che fu strumento di diffusione e, insieme, di superamento della poetica della metafisica - Savinio ha affermato: "Gli aspetti vari e diversissimi che offre il mondo sono soggetti, al pari che la vita stessa, a un incessante movimento, e per conseguenza a una trasformazione continua".
In Savinio questo principio del continuo fluire della realtà - tratto dal filosofo greco Eraclito - permea a fondo la sua visione del mondo e rimane elemento costante della sua poetica.
Questa panteistica vitalità della natura si manifesta nella sua pienezza nella fase arcaica del mondo - prima dell'apparizione dell'uomo o quando è abitata da uomini che considerano animata tutta la natura e che interpretano gli eventi naturali come prodigi degli dèi - o, ancora, nel momento finale dell'universo, che per Savinio coincide con il suo inizio. Ecco quindi sorgere, nei titoli - da Le voyage au bout du monde (1929) al Fin d'un monde (1931) alle due tele del 1928 e 1931 denominate Souvenir d'un monde disparu - e nelle immagini dei dipinti che ruotano intorno al 1930, l'interesse per gli aspetti germinali dell'esistenza e per le epoche conclusive del mondo o per momenti che annunciano vitali e radicali cambiamenti.
Questa fase saviniana tra il 1929 e i primi anni Trenta è ricchissima di nuove iconografie che, spesso incrociando e sovrapponendo vari temi, indagano la fase arcaica della realtà attraverso il mito greco, ma anche attraverso i passi della Bibbia: accanto alle tele dedicate a Dedalo o ai Titani, compare il ricordo di Sodoma e Gomorra, della caduta degli angeli ribelli, dell'annuncio alla Vergine della nascita di Cristo.
Alla base di queste iconografie non c'è più la tecnica associativa di frammenti tratti dalla storia personale e dalla storia del mondo - tecnica che è prevalente nella produzione dei primi anni parigini - ma ci sono processi ideativi del tutto nuovi, che si concretizzano in segni e forme inedite: la vitalità universale ora si traduce nel dinamismo delle sagome geometriche intensamente colorate che animano i cieli delle tele del 1929 (come in Astrologue meridien), ora si oggettiva nelle apparizioni sorprendenti delle ruote dentate, degli oggetti geometrici trasparenti e dei giocattoli reinventati (nella serie delle "città trasparenti").
Tutto un repertorio di oggetti strabilianti, nato da un processo di manipolazione fantastica delle immagini, testimonia con forza che, nel dinamismo universale - quello che Savinio definisce "darwinismo metafisico" - si frantumano le categorie della conoscenza razionale e si annulla la separazione tra animato e inanimato, tra organico e inorganico o anche tra livelli diversi degli esseri animati, come accade nella famosa serie delle tele con gli uomini dotati di teste di animali. Questa fase della produzione di Savinio è quella più diffusamente nota, anche per l'oggettiva "piacevolezza" di molte di queste rappresentazioni di una natura "meravigliosa", resa in pittura da immagini di forte impianto teatrale - sottolineato dalla presenza di finestre e tendaggi che si aprono come quinte sulla scena centrale - e rivestite di seducenti colori quasi fluorescenti.

L'ULTIMO PERIODO

Meno conosciuta è, invece, la fase ultima del percorso saviniano - rappresentata con ampiezza nella mostra milanese - quella che coincide con la fine degli anni Quaranta, quando si approfondiscono le note di pessimismo della poetica dell'artista, spesso messe in sordina, nella produzione tra anni Venti e decennio successivo, da una costante ironia, che assume tutte le gamme del gioco, del divertimento e dell'aperta irriverenza per il mito e la storia.
Nelle tempere del 1950 appaiono, quindi, nuove tipologie di "apparizioni", in cui numi tutelari di un luogo - Il protettore dei porti, Il giorno sul borgo - si rivelano figure mostruose e le Veneri disfatte sono dipinte con colori impastati e grumosi, che appesantiscono la forma. Un'esplicita infezione della materia colpisce anche i volti dei protagonisti della propria infanzia, nell'inedita iconografia del dipinto Una strana famiglia del 1947.
Il mito, le capacità immaginative dell'infanzia non servono più a evidenziare visioni ambigue, ironiche, ma pur sempre visioni affascinanti e piacevoli, come negli anni Venti e Trenta. Natura e individui sembrano ora, invece, sul punto di diventare materia magmatica e incontrollabile, colpiti da uno stesso processo di decomposizione. Svelare attraverso l'arte gli aspetti sgradevoli e anche mostruosi della realtà significa per il Savinio degli anni Quaranta e Cinquanta compiere l'ultimo atto di artista cosciente del "vuoto" che si annida nel mito e nella storia individuale. E se anche questo ultimo atto può essere vissuto con la "leggerezza" propria dei filosofi stoici, proprio tale serenità è preannuncio di morte.
"Accanto alla storia che ferma via via le azioni degli uomini [...] c'è il fantasma della storia: il grande buco, il vuoto che assorbe via via le azioni degli uomini" afferma in uno scritto del 1940 e alcuni anni dopo ribadisce: "L'"uomo comune" dimentica la tragedia [...] ma l'uomo cosciente di sé, l'uomo di mente profonda non dimentica la tragedia, ma la risolve con i suoi propri mezzi e se ne libera. E dopo che ha risolto la tragedia dell'infanzia, ossia la sua tragedia intima e personale, risolve a poco a poco la tragedia del mondo, e quando ha finito di risolvere la tragedia del mondo e se ne è liberato, allora entra in quello stato di serenità, di leggerezza, di "frivolità" di cui la morte è la meritata conclusione".


La mostra
La mostra dedicata ad Alberto Savinio alla fondazione Antonio Mazzotta di Milano (Foro Bonaparte 50, telefono 02878197; www.mazzotta.it; orario 10-19.30, martedì e giovedì 10-22.30; fino al 2 marzo 2003), vuole ricordare il cinquantesimo anniversario della morte del pittore, protagonista di primo piano dell'arte europea del Novecento, ed è la prima grande esposizione dell'opera di Savinio dopo quelle organizzate a Roma nel 1978 e a Firenze nel 1981. Mostre incentrate su particolari aspetti o periodi della produzione saviniana sono state poi organizzate a Verona (1990) e Aosta (1991), ma da oltre venti anni nessun'altra esposizione italiana ha riproposto l'artista nella sua complessità di pittore, scenografo, illustratore, scrittore, musicita. Nell'ultimo decennio è invece accresciuto l'interesse internazionale per Savinio, grazie a una serie di traduzioni straniere dei suoi scritti e a un numero ampio di esposizioni antologiche ospitate in musei svizzeri (Lugano 1991), inglesi (Londra 1992), danesi (Humlebæk 1997), ungheresi e polacchi (2000) e infine tedeschi (mostra con De Chirico, a Düsseldorf e Monaco, 2001). La mostra, a cura di Pia Vivarelli con la collaborazione di Paolo Baldacci e Daniela Fonti, comprende settanta dipinti e circa altrettanti disegni, bozzetti per scenografie e opere grafiche, che documentano l'intero arco cronologico della produzione dell'artista, a partire dai primi collage realizzati a Roma nel 1925-1926. Alle opere pittoriche si affianca una sezione documentaria su Savinio scrittore, teorico dell'arte e musicista. Tra le opere esposte (provenienti da collezioni private e da musei italiani e francesi) sono presenti molti inediti (come i dipinti Le boxeur del 1927 e Quello che resta di Ercole del 1947 o un bozzetto teatrale del 1951), opere proposte al pubblico per la prima volta (come Suzanne et les veillards del 1930, Nature morte bleue dello stesso anno, il mosaico Il sonno di Eva del 1942, e Orphée del 1932, della collezione del Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris) oppure, ancora, lavori non più esposti da molti anni, come un Ritratto del padre del 1926-1927, Il vecchio e il nuovo mondo del 1927, Arianna del 1939, Ambizione e La mia famiglia degli anni Quaranta. Il catalogo, edito da Mazzotta, comprende un testo introduttivo di Pia Vivarelli, scritti di Paolo Baldacci (sui rapporti tra Savinio e il surrealismo), di Daniela Fonti (sugli scritti d'arte di Savinio), di Gerd Roos (sulle fonti iconografiche dell'artista) e un'antologia delle dichiarazioni saviniane dedicate a problemi generali di poetica o a specifiche situazioni culturali a lui contemporanee.